Una luce di speranza si affaccia nell’oscura vicenda di Ilaria De Rosa, la giovane hostess che è stata rinchiusa da settimane in un carcere situato nelle vicinanze di Gedda, in Arabia Saudita.
La ventitreenne originaria del Veneto – la sua famiglia risiede a Resana, nelle vicinanze di Castelfranco (Treviso) – ha finalmente ricevuto la prima visita delle autorità italiane nella sua cella. I vertici sauditi hanno concesso il permesso per la visita consolare alla ragazza, la quale è stata arrestata due settimane fa con l’accusa molto grave di detenzione e traffico di droga, un reato che nel vasto territorio dell’Arabia Saudita viene punito severamente.
Sta bene
Il console generale d’Italia a Gedda ha visitato in carcere la giovane hostess, che è apparsa scossa ma in buone condizioni fisiche e psicologiche, ed è stato firmato il mandato per avere avvocati locali. Ilaria ha raccontato al console che mentre si trovava con altre persone a cena a casa di un amico nel giardino di una villa in un compound, sarebbero stati improvvisamente circondati da una decina di persone in borghese ma armate, che li avrebbero fermati e perquisiti (sostiene di essere stata l’unica donna a subire tale trattamento piuttosto invadente probabilmente – dice – in quanto non araba). Sostiene anche che la prima impressione fosse quella di una rapina.
Nessun consumo di droga o alcol
Si è resa conto della situazione, ossia di essere stata arrestata, soltanto una volta condotta in una stazione di polizia ma di essere stata formalmente interrogata (in inglese) solo dopo 5 giorni e in tale occasione di avere contestato ogni tipo di addebito circa consumo o detenzione di sostanze stupefacenti. Nega anche qualsiasi consumo di bevande alcoliche. Secondo il racconto della hostess, avrebbe firmato all’esito dell’interrogatorio un non precisato documento in arabo di cui ignora il contenuto.
Piccola quantità di stupefacente
A Resana Marisa Boin, la mamma dell’assistente di volo della lituana Avion Express, trascorre lunghe giornate segnate dall’angoscia. Le notizie che Rijad fornisce alla diplomazia italiana arrivano con il contagocce, e non consentono di intravvedere una soluzione a breve. Marisa Boin fino a domenica era convinta che l’arresto della figlia fosse dovuto “a un grande equivoco”, perché Ilaria – ha detto in un’intervista a La Stampa – “non ha mai fatto uso di droghe: non è una ragazza che si fa le canne”. E abituata a studiare e a lavorare all’estero “sa bene che in Paesi come l’Arabia è un rischio enorme farsi trovare con della droga addosso”.
L’ultima telefonata alla famiglia
Marisa, 55 anni, un lavoro da operaia, vive da due settimana attaccata al telefono, in contatto con il nostro ministero degli Esteri, con l’altra figlia, Laura, che vive a Bruxelles, e il marito, ufficiale dell’aeronautica impiegato in una base Nato in Belgio. L’ultima contatto telefonico tra madre e figlia risale al 4 maggio. Poi il buio. Temendo un rapimento l’8 maggio, la famiglia ha fatto denuncia di scomparsa ai carabinieri.
L’accusa e i dubbi
Quarantotto ore dopo è giunta dalla Farnesina la conferma che Ilaria, invece, era in carcere, accusata di aver avuto della droga addosso durante una perquisizione subita mentre era in auto con altri amici. Da Resana, la madre si dice sicura che la figlia non c’entra con la droga, e ipotizza che possa essere stato uno degli amici con i quali si trovava a essere stato scoperto con una canna. Resta da capire, allora, perché la polizia saudita abbia messo nei guai anche la giovane l’hostess italiana.