Altro che stabilizzazione. La Libia è un mosaico “impazzito” di tribù e milizie in guerra tra di loro.
Mosaico libico
“Nella Libia nata dopo il crollo del regime quarantennale di Muammar Gheddafi, nel 2011, e sprofondata nel caos, il controllo di sicurezza è finito nelle mani di centinaia di milizie (si stima siano almeno 300) sparse su tutto il territorio. Pesantemente armate, anche con i carri armati sottratti al disciolto esercito del ‘rais’, finanziate anche dall’esterno, alcune sono riconosciute e più vicine al Governo di accordo nazionale, altre sono appoggiate dall’esercito libico del generale Khalifa Haftar. Spesso, però, entrano in conflitto tra loro per espandere la propria giurisdizione e soprattutto controllare i pozzi petroliferi. È quello che sta avvenendo dal 26 agosto nella zona sud di Tripoli, dove la Settima Brigata ha voluto prendere il controllo di nuovi territori, in nome della lotta alla corruzione delle altre milizie.
Le fazioni armate godono di sostegno anche esterno, in particolare dalle due coalizioni impegnate a distanza: quella formata da Egitto e Emirati Arabi (che appoggia Haftar) e quella formata da Qatar e Turchia che sul suolo libico è contro le milizie di Tobruk.
Settima brigata
È la milizia legata alla città di Tarhuna, 60 chilometri a sud di Tripoli, ed è guidata da quattro membri della famiglia Al-Kani. Il leader attuale è Abdel Rahim Al-Kani. Ha giocato un ruolo di rilievo nella guerra civile tra il 2014 e il 2015 prima di sparire dalla scena e riaffacciarsi con il Governo di accordo nazionale, a metà 2016, quando ha annunciato fedeltà al nuovo esecutivo ed è entrata sotto l’ala del ministero della Difesa di Tripoli. La milizia si è però scontrata in più occasioni con le Brigate rivoluzionarie di Tripoli, in particolare a Garabulli e a Ben Gascir, a est della capitale. Di recente anche ex fazioni vicine al regime di Gheddafi, che godono dell’appoggio di Haftar, si sono unite alla Settima Brigata. Negli ultimi giorni ha lanciato un’offensiva a sud di Tripoli e il governo di Fayez Serraj non è riuscito ad arginarla. Il leader Abderl Rahman Al-Kani ha più volte dichiarato di voler “liberare Tripoli dalle milizie che prosciugano il denaro pubblico”, riferendosi agli uomini pagati dal governo di Tripoli per la sicurezza.
Brigate rivoluzionarie Tripoli
È la milizia guidata da Haithem Tajouri ed è la più importante dalla capitale libica (riunisce diversi gruppi del centro e dell’est di Tripoli). Ha giurato fedeltà al Governo di accordo nazionale e si occupa della sicurezza del sud e del sud-est della capitale, finendo spesso in conflitto con la Settima Brigata.
Forze di dissuasione
È la milizia guidata da Abdul Raouf Kara e ha come base l’aeroporto di Mitiga di Tripoli. Fa capo al ministero dell’Interno del Governo di accordo nazionale e aveva preso parte ai combattimenti contro la Settima Brigata nei primi giorni dell’offensiva ancora in corso, prima di ritirarsi. La milizia, altamente addestrata, si occupa della sicurezza dell’aeroporto e del penitenziario collegato che ospita oltre 1.300 detenuti, tra cui diversi ex combattenti del sedicente Stato islamico.
Brigata Abu Salim
È la milizia formata per lo più da ex carcerati, è guidata da Abdel Ghani Al Kakali e si occupa della sicurezza nella zona di Abu Salim, a Tripoli. Nell’ultimo scontro ha combattuto contro la Settima Brigata ad Abu Salim e nella strada che porta all’aeroporto.
La conoscenza del territorio, fondamentale in ogni situazione assimilabile a questa, nel caso della Libia è particolarmente importante. Il paese arabo infatti è da sempre un insieme di tribù e di clan – per l’esattezza 140 – più che una nazione. Ognuno controlla una parte più o meno piccola del territorio nazionale, ed hanno interessi più o meno forti nell’estrazione delle risorse naturali del Paese. Senza considerare le rivalità (non tanto di carattere religioso: sono tutte sunnite) storiche, ed una certa predisposizione a cambiare costantemente alleanze.
I Warfalla, il clan più numeroso
Considerata la più numerosa della Libia – un milione di persone su una popolazione complessiva di sei – la tribù dei Warfalla è stata una delle prime a rivoltarsi contro Gheddafi nel 2011, dopo averlo a lungo appoggiato. Originari di Misurata, sono disseminati soprattutto nell’est del Paese, dove infatti sono tra i gruppi tribali che hanno stretto un’alleanza con Haftar, in controllo della parte orientale della Libia. Nel 1993 i Warfalla – con il sostegno di un’altra tribù, i Magarha – provarono a realizzare un colpo di stato contro Gheddafi, chiedendo maggiore rappresentanza nel governo. Il golpe fallì, molti suoi membri furono uccisi, imprigionati o esiliati, ma i Warfalla sono rimasti importanti soprattutto perché hanno potuto contare su una forte presenza all’interno dell’Esercito libico. Sono divisi in sei sottoclan, che talvolta hanno avuto dei dissidi tra loro.
I Magarha, alleati ma non troppo
La seconda tribù più numerosa del Paese, originaria del sud ma nel tempo spostatasi sulla costa, visto il suo crescente ruolo politico già durante l’era Gheddafi. Fino agli anni ’90 il loro leader Abdel Salam Jalloud era considerato il secondo uomo più importante del Paese dopo Gheddafi. Ma i rapporti tra l’uno e l’altro si incrinano nel 1990 e Jalloud e la tribù dei Magarha si uniscono al tentativo di colpo di Stato portato avanti dai Warfalla. Una volta fallito il golpe, i Magarha più dei Warfalla sono stati in grado di mantenere rapporti più o meno normali con il Colonnello.
I Qadhadhfa, che sperano in Seif
Sono la tribù da cui proveniva Gheddafi, una delle più esigue del Paese, e fino al 1969, storicamente non molto potente. La loro roccaforte è la città natale del Leader, Sirte, negli anni scorsi presa di mira dall’Isis. Durante l’era Gheddafi la tribù si è arricchita molto, tuttavia molti suoi membri nel 2011 si sono uniti ai movimenti di rivolta.
Attualmente il capo del clan viene considerato Seif al-Islam, figlio del Colonnello.
Gli Zuwayyah, la forza emergente
Storicamente una tribù che abita aree rurali nell’est del Paese, in Cirenaica, il suo ruolo è cresciuto nel 2011, vista la loro collocazione all’interno delle regioni petrolifere libiche che permetteva loro di usare il petrolio come leva politica. Tra i più strenui oppositori di Gheddafi durante il 2011, sono considerati un gruppo tribale non molto numeroso ma ben armato. Nell’est ci sono anche i Ferjan, la tribù di provenienza del Generale Khalifa Haftar e con cui gli Zuwayyah hanno saputo mantenere ottimi rapporti”.
Il report dell’Agi è del settembre 2018. Cinque anni dopo, la situazione è ulteriormente degenerata.
A darne conto è Vanessa Tomassini per Strumenti politici
La Libia tribale
“Il tessuto sociale e tribale della Libia – annota Tomassini – è in pieno fermento dopo la decisione da parte del Parlamento libico, la Camera dei Rappresentanti (HoR) di sospendere il Primo Ministro dell’autorità parallela dallo stesso istituita, Fathi Bashagha. Mentre si profilano nuove alleanze e nuovi attori sulla scena politica, sabato 20 maggio, si è svolto nella capitale Tripoli, presso la tenda presidenziale in Tariq Al-Siqqa, il “Forum Costanti nazionali per mettere fine alla crisi in Libia,” sotto gli auspici del Consiglio Supremo degli Anziani e dei Notabili, che ha convenuto dignitari, NGOs, istituzioni ed organizzazioni della società civile.
“A causa dell’attuale divisione politica che sta attraversando il nostro Paese, la Libia, e degli organismi politici aggrappati al potere, considerato il fallimento delle elezioni presidenziali previste per il 24 dicembre 2021, siamo riuniti in questa sede per respingere il tredicesimo emendamento approvato dagli stessi organi che continuano ad essere aggrappati al potere perché porta a ripetere le elezioni presidenziali nello stesso modo in cui sono fallite in passato”. Si legge nel documento conclusivo, che aggiunge: “Secondo questo emendamento, le elezioni legislative non si terranno e questi organi politici (HOR e HCS ndr), che hanno terminato la loro legittimità, rimarranno al potere. Così la divisione e la crisi continueranno”.
I partecipanti al forum hanno riaffermato che le costanti nazionali per porre fine alla crisi libica sono: l’unità del Paese contro la frammentazione utilizzata da alcuni Paesi stranieri per perseguire i propri interessi, una Libia per tutti, unendo i ranghi e la parola per far uscire la Libia dalla sua attuale crisi. È necessario porre fine all’attuale stato di divisione politica conducendo elezioni legislative per creare un unico corpo legislativo politico che rappresenti tutti i libici, le loro tribù e le quote regionali”. Prosegue il documento, e ancora: “Il nuovo parlamento completa il processo legale e adotta la costituzione permanente del Paese come preludio per tenere le elezioni generali e far uscire la Libia dalla tutela internazionale. Il nuovo parlamento completa inoltre le leggi necessarie per una completa riconciliazione nazionale”. Elezioni legislative dunque, prima di quelle presidenziali, per poi approvare una Costituzione permanente per il Paese nordafricano, precipitato nel caos dal rovesciamento del colonnello Gheddafi nel 2011, che ha lasciato spazio ad una proxy war con l’ingresso di nuovi attori spesso lontani, come Cina, Russia, Stati Uniti e Paesi del Golfo. A tal proposito, i gli anziani e i notabili della Libia, hanno riaffermato tra le costanti da sostenere per raggiungere la stabilità, la necessità che la Libia esca dall’onere del Capitolo VII delle Nazioni Unite e che tutte le forze straniere vengano ritirate. Secondo questa iniziativa, sarà il presidente eletto a completare la riconciliazione nazionale globale in conformità con la legislazione approvata dal nuovo Parlamento.
Infine i dignitari hanno espresso le proprie raccomandazioni alla Comunità internazionale: “Per evitare che la missione ONU venga citata come missione di supporto ad un partito, la invitiamo a non approvare soluzioni che non portino alla fine della crisi libica e ad adoperarsi per sostenere ciò che è logico, pratico e possibile, ossia tenere elezioni legislative e non fare pressioni per approvare le attuali elezioni presidenziali, che chiediamo siano rinviate di alcuni mesi fino all’adozione della costituzione permanente per la Libia”. Rivolgendosi ai Paesi che interferiscono nei loro affari interni, gli anziani e i notabili hanno chiesto: “In queste circostanze critiche caratterizzate dallo stato di divisione politica, che richiede ai libici di unificare il corpo politico che li rappresenta, chiediamo a tutti i paesi di non interferire nelle elezioni legislative che si terranno, a Dio piacendo, e di lasciare che i libici eleggano qualcuno che li rappresenti per unire la Nazione”. Ed infine, un appello ai loro concittadini: “Cari libici, non c’è modo di porre fine alla crisi nel nostro Paese se non rompendo il nostro silenzio, chiedendo la ripresa delle elezioni legislative, la nostra collaborazione e intensificando i nostri sforzi. Spetta a noi preservare il nostro prestigio e vegliare sulla nostra sicurezza e stabilità, perché ognuno è responsabile e interessato a osservare Dio nell’eleggere un rappresentante dei libici in questo organismo prospettico, sul quale faremo affidamento nella scelta di un Governo di competenze”.
Simultaneamente nella Libia orientale, a Ras Lanuf, la Commissione nazionale degli sceicchi e notabili della Libia, insieme ad organizzazioni e partiti politici, sindacali, giovanili e femminili, ha tenuto il proprio forum. “Questo progetto nazionale – si legge nel documento conclusivo dell’evento – si basa su una lettura obiettiva e realistica dei fatti per raggiungere una serie di risultati richiesti dalle fasi di dialogo e della costruzione della fiducia e della stabilità duratura, i più importanti dei quali sono: condurre elezioni presidenziali e parlamentari simultanee ed eque e accettarne i risultati; garantire l’indipendenza e la sovranità dello Stato attraverso l’unificazione dell’establishment militare e di sicurezza; lavorare per trovare un’unica autorità esecutiva che imponga il suo controllo sull’intero territorio libico e crei l’ambiente appropriato per lo svolgimento delle elezioni”. I notabili riunitisi a Ras Lanuf hanno fatto sapere di pensare alla formazione e alla convocazione di una conferenza costituente nazionale globale per la soluzione in Libia, mentre continuerà a seguire gli sviluppi nel Paese.
Insomma tutti d’accordo su pace, unità e sovranità territoriale, ma punti di vista differenti sulle modalità con cui accompagnare il proprio Paese fuori dalla crisi, tra chi sostiene la roadmap presentata già da tempo dal Governo di Unità Nazionale che prevede elezioni parlamentari come primo step ed elezioni presidenziali secondo una Costituzione che dovrebbe essere approvata dalla nuova Camera, e chi invece crede che l’unica soluzione, affinché tutte le parti accettino i risultati, sia indire elezioni presidenziali e legislative simultaneamente. Un processo già destinato a fallire quest’ultimo senza una chiara base legale che indichi chi possa correre alla carica di presidente e chi no. Intanto sembrano essere riprese le consultazioni del comitato paritetico formato da HoR e HCS (6+6) per risolvere questo gap e concordare una base legale per legittime elezioni.
Sul terreno, a provare ad unificare le posizioni espresse durante i due forums, è Mohammed Al-Mubashir, capo del Consiglio tribale per la Riconciliazione che afferma: “Benvenuto al desiderio di salvare il Paese e lo sforzo di unire il mondo e serrare i ranghi per questo nobile obiettivo. Spero di vedere le costanti nazionali confermate a Tripoli ea Ras Lanuf, ferma convinzione nella coscienza di ogni libico. Vi invito tutti ad un incontro unitario che includa tutte le élite libiche presenti nelle due città in una città al centro del Paese che non è affiliata né all’est né all’ovest, né a questo orientamento politico, né a quello”.L’agenda proposta da Mubashir consiste fondamentalmente sul “mettere pressione popolare ad HoR ed HCS per porre fine all’attuale stato di futilità politica; sostenere l’unificazione dell’establishment militare; l’uscita di tutte le figure controverse dalla corsa alle elezioni presidenziali fino all’adozione di una costituzione per il paese attraverso il Consiglio giudiziario supremo; lavorare in tutta serietà per l’uscita di tutte le forze straniere dalla Libia a qualsiasi costo”.
Tutto ciò arriva dopo che il Parlamento ha approvato martedì, a maggioranza, la sospensione del primo ministro designato Fathi Bashagha mettendolo sotto inchiesta e nominando al suo posto il ministro delle Finanze nello stesso esecutivo, Osama Hammad. Diversi i motivi che avrebbero portato alla rimozione di Bashagha, il mancato ingresso a Tripoli ha avuto di certo il suo peso, ma non sarebbe stato determinante. Alcuni sostengono che Bashagha avrebbe rifiutato di pagare somme di denaro ai figli del Generale Khalifa Haftar; poi c’è la mancanza di chiarimenti sulle fonti dei suoi finanziamenti, che ammontano a miliardi di dinari da spendere per il suo governo; infine, e non ultimo, l’accordo di condivisione del potere tra Abdel Hamid Dbeiba nella Libia occidentale ed Haftar, a capo dell’esercito orientale. Bashagha ha tentato ripetutamente di entrare a Tripoli facendo affidamento sul sostegno di alcuni gruppi armati rifugiatisi a Zawiya e Zintan, tra i ranchi del generale Osama Juwaily. Il premier fu costretto a restare a Bengasi e Sirte, così come avvenne per il suo predecessore, Abdullah Al-Thani, rimasto a capo di un governo parallelo che non ebbe alcun riconoscimento internazionale. Bashagha, che secondo fonti del suo entourage avrebbe appreso della decisione dei parlamentari solo due giorni prima, da mesi starebbe negoziando una nuova posizione che lo vedrebbe a capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale organo che risponde direttamente al Consiglio di presidenza, guidato da Mohammed Al-Mnefi e sotto il controllo dell’HoR”.
Così stanno le cose. E a Roma c’è ancora chi vaneggia di elezioni in Libia.