Libia, elezioni vo cercando.
Nel 2023 non se ne parla
Da un report di Agenzia Nova: “La strada per portare gli elettori libici alle urne nove anni dopo le ultime elezioni, tenute nel lontano giugno del 2014, è più breve ma resta ancora molto lunga, dopo che ieri il Comitato misto per la preparazione delle leggi elettorali in Libia (6+6), formato da parlamentari della Camera dei rappresentanti e da membri dell’Alto consiglio di Stato ha annunciato di aver raggiunto il “pieno accordo” sui punti relativi alle elezioni del capo dello Stato e i membri del Parlamento. L’intesa, di cui non si conoscono ancora i dettagli, prevede a grandi linee che le elezioni parlamentari e presidenziali si svolgano in simultanea e che la prossima autorità legislativa sia composta da due camere, l’Assemblea nazionale e il Senato. Una nota del Comitato, tuttavia, osserva che c’è ancora bisogno di tempo per “formulare e completare il quadro legislativo”. Tradotto: è necessario un ulteriore passaggio nelle due camere prima che la legge entri in vigore.
Ma il tempo stringe e, allo stato attuale, non sembrano esserci i tempi tecnici, né una reale volontà politica, per organizzare il voto nel Paese diviso in amministrazioni parallele rivali. Il Comitato 6+6 ha inoltre chiesto la formazione di “un governo unificato” che prepari il Paese alle elezioni prima che le nuove leggi elettorali entrino in vigore, ammesso e non concesso che queste ultime vengano approvate dalla maggioranza dei membri della Camera dei rappresentanti (il Parlamento con sede nell’est) e dell’Alto consiglio di Stato (la “camera alta” basata a Tripoli). L’inviato delle Nazioni Unite in Libia, Abdoulaye Bathily, ha più volte dichiarato pubblicamente che tutti devono potersi candidare in Libia, inclusi quindi personaggi divisivi come Saif al Islam Gheddafi, figlio del defunto colonnello libico Muammar, il generale a capo dell’Esercito nazionale libico (Lna), Khalifa Haftar, e il premier di Tripoli, Abdulhamid Dabaiba. L’ulteriore passaggio alla Camera dei rappresentanti guidata da Aguila Saleh, politico dell’est fermamente contrario alla discesa in campo del misuratino Dabaiba nelle elezioni presidenziali, potrebbe impedire il successo dell’iniziativa e rimandare “sine die” le elezioni quantomeno presidenziali.
Una fonte dell’Alto Consiglio di Stato ha spiegato a “Nova” che le elezioni devono necessariamente tenersi entro 240 giorni dall’emanazione delle leggi. Siccome tali leggi non sono ancora state emanate, e nella migliore delle ipotesi non saranno approvate prima di giugno, è altamente improbabile che il voto si tenga entro il 2023 come richiesto dalle Nazioni Unite. “Si voterà forse all’inizio del prossimo anno. A patto, però, che siano risolte alcune questioni”, aggiunge la fonte. Questioni come la doppia cittadinanza del futuro presidente: l’Alto consiglio di Stato di Tripoli (una sorta di Senato con funzioni prevalentemente consultive ma comunque indispensabili per le nomine e le decisioni più rilevanti) è fermamente contrario al doppio passaporto, mentre la Camera dei rappresentanti è favorevole. Un altro nodo riguarda gli incarichi militari: per il “Senato” i potenziali candidati non dovrebbero provenire dalle Forze armate, mentre per il Parlamento dell’est del Paese, regione dominata dal generale Haftar, la questione non sarebbe un problema. C’è divergenza di vedute anche sulla divisione dei poteri tra il premier e il presidente, così come sull’imposizione della Shari’a, la legge islamica.
Inoltre, dal febbraio 2022 la Libia è divisa da due coalizioni politiche e militari rivali: da una parte il Governo di unità nazionale con sede a Tripoli del premier Dabaiba, riconosciuto dalla Comunità internazionale e appoggiato soprattutto dalla Turchia; dall’altra il Governo di stabilità nazionale, di fatto un esecutivo parallelo basato in Cirenaica, sostenuto inizialmente da Egitto e Russia ma ormai sempre più abbandonato a sé stesso. A detenere il potere nella Libia orientale è infatti il generale a capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), Khalifa Haftar. Per uscire dallo stallo politico, l’inviato dell’Onu Bathily ha lanciato, il 27 febbraio, un piano per l’istituzione di un nuovo “Comitato di alto livello” che dovrà per redigere gli emendamenti costituzionali e le leggi elettorali necessarie per tenere elezioni “libere, inclusive e trasparenti” entro il 2023. Tuttavia, la nuova iniziativa presentata dall’inviato delle Nazioni Unite, accolta con freddezza a Tripoli e a Bengasi, non sembra prendere slancio. Nel Paese vige al momento una stabilità parziale, basata su un implicito accordo tra due potenti famiglie: i Dabaiba e gli Haftar al potere rispettivamente a Tripoli (ovest) e a Bengasi.
E intanto l’Italia insiste
Ne scrive, con la consueta perizia documentale, Nello Scavo per Avvenire: “Appena lunedì Papa Francesco aveva parlato ai vescovi italiani del dramma dei “lager libici” e della necessità di non tacere quando migranti e profughi vengono rinchiusi nei centri di detenzione, spesso dopo le intercettazioni in mare da parte della cosiddetta Guardia costiera libica. E proprio in queste ore sta per compiersi un nuovo respingimento in mare dai contorni ancora poco chiari. Un gruppo di 27 naufraghi salpati a bordo di un barcone dalle coste libiche non lontano da Bengasi, nell’area fuori dal controllo delle autorità di Tripoli, è stato soccorso da una petroliera che anziché dirigersi verso le coste di Paesi europei, sta conducendo il gruppo verso la Libia e di nuovo verso uno dei porti sotto l’egemonia degli uomini di Haftar.
A quanto si apprende da fonti ufficiali italiane, il coordinamento del soccorso era stato inizialmente assunto dalla centrale di Roma, ma nonostante l’intervento italiano si sta svolgendo un respingimento vietato dalle convenzioni internazionali.
La petroliera “Long Beach”, battente bandiera delle Isole Marshall, risulta gestita da armatori greci e proveniva dal porto di Trieste dove fa spesso scalo dopo aver caricato idrocarburi proprio in Libia.
La barca in pericolo era stata individuata non solo grazie alle chiamate di soccorso ad “Alarm Phone”, il “centralino umanitario” che raccoglie gli Sos dal mare, ma anche da “Seabird”, il velivolo di osservazione di Sea Watch che ha poi fornito le esatte coordinate alle autorità. “Ci risulta che il Centro di coordinamento del soccorso marittimo di Roma abbia assunto il coordinamento del caso e abbia diretto sulla posizione indicata più di una nave mercantile”, si legge della piattaforma umanitaria italiana “Mediterranea”.
La petroliera ha compiuto il salvataggio dei migranti in piena notte ma poi si è diretta, come evidenziano le mappe elettroniche che in tempo seguono la rotta delle navi e ne indicano la destinazione dichiarata dal comandante, verso il porto libico di Marsa Brega, nella Cirenaica del generale Haftar, reduce da recenti incontri a Roma con il governo italiano. Nelle ultime ventiquattrore la Guardia costiera italiana ha soccorso più di 1.200 persone nel Mediterraneo centrale. Ma negli ultimi giorni è stato notato la sostanziale inazione della Guardia costiera libica che, secondo dati dell’Organizzazione Onu per i migranti (Oim) a partire dal 14 maggio non ha effettuato alcuna intercettazione in mare nonostante siano riprese le partenze proprio dalle coste libiche. Fonti da Tripoli confermano ad Avvenire che le varie guardie costiere affiliate alle autorità centrali libiche in questo momento “sono impegnate a preparare una esercitazione congiunta con la Marina militare di Malta”.
Così stanno le cose. La vergogna italiana continua.
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