Il mondo si prostra ai piedi dell’autocrate di Ankara. La realpolitik cancella la “grande purga”, le carceri riempite di oppositori, il bavaglio alla stampa libera, giornalisti indipendenti zittiti, imprigionati o costretti all’esilio, la repressione brutale dei curdi.
Tutto cancellato
Recep Tayyp Erdogan è stato riconfermato battendo lo sfidante Kemal Kilicdaroglu nel ballottaggio per il rinnovo della presidenza della Repubblica turca. Con il 99,67% dei voti conteggiati, Erdogan ha ottenuto il 52,13% dei voti, mentre Kilicdaroglu, candidato unitario di una coalizione di 6 partiti d’opposizione e leader del principale partito di opposizione di centro-sinistra Chp, si è fermato al 47,87%. . “La nostra gente ci ha dato fiducia ancora una volta, questa vittoria apre le porte al secolo della Turchia”, ha dichiarato Erdogan dopo l’ufficialità del suo terzo mandato consecutivo. L’affluenza è stata di poco più dell’85%: al primo turno si era attestata all’88%.
Il leader turco si assicura in questo modo il potere per altri cinque anni, fino al 2028, dopo avere vinto tutte le elezioni dirette per il rinnovo della presidenza. Erdogan è al potere in Turchia da vent’anni, prima come premier e poi come presidente della Repubblica.
“Vorrei ringraziare tutti i miei colleghi che hanno lavorato con sacrificio ai seggi elettorali fin dalle prime ore del mattino”, aveva affermato Erdogan subito dopo la chiusura dei seggi. “Invito tutti i miei fratelli e sorelle a proteggere i seggi fino a quando i risultati non saranno definitivi. È ora di proteggere la volontà della nostra nazione fino all’ultimo momento”.
Compreso il numero dei residenti all’estero, gli elettori chiamati alle urne sono stati in tutto oltre 64,1 milioni. Durante il primo turno, il 14 maggio, Erdogan aveva registrato il 49,5% dei consensi (27,08 milioni di voti), mentre Kilicdaroglu il 44,9% (24,56 milioni di voti). La Commissione elettorale suprema ha fatto sapere che, durante le procedure di voto, “non si è verificata alcuna situazione negativa”.
“Continueremo la lotta, la nostra marcia continua, noi siamo qui”. Lo rivendica durante una conferenza stampa ad Ankara il leader 74enne delle opposizioni Kemal Kilicdaroglu, uscito sconfitto dal ballottaggio delle presidenziali.
Putin e Orban i primi a congratularsi
Uno dei primi leader internazionali a congratularsi col “sultano” turco è stato il premier ungherese Viktor Orban. “Indiscutibile vittoria elettorale, complimenti presidente”. Poi è arrivato il messaggio di Vladimir Putin, che si è detto pronto “a continuare il nostro dialogo costruttivo su questioni di attualità dell’agenda bilaterale, regionale e internazionale”. La vittoria elettorale di Erdogan è stata il risultato del suo lavoro, ha scritto il presidente russo in un messaggio, e “una chiara prova del sostegno del popolo turco ai tuoi sforzi per rafforzare la sovranità statale e perseguire una politica estera indipendente”.
Il messaggio di Biden e quello in turco di Zelensky
Anche Joe Biden si è congratulato con Recep Tayyip Erdogan. Lo riferisce la Casa Bianca in una nota. Su Telegram il presidente ucraino Zelensky scrive in turco: “Congratulazioni al presidente Erdogan per la sua vittoria alle elezioni presidenziali. Ci auguriamo di sviluppare la nostra cooperazione per la sicurezza e la stabilità dell’Europa e di rafforzare ulteriormente il nostro partenariato strategico a beneficio dei nostri Paesi”, ha aggiunto il presidente ucraino.
Meloni: “Insieme per la crescita e la stabilità globale”
Anche la premier Giorgia Meloni si è congratulata. “Italia e Turchia – si legge nel messaggio – sono alleate e condividono importanti responsabilità nel Mediterraneo e nel mondo. Insieme possiamo fare di più per i nostri popoli e la crescita e la stabilità globale”.
Anche Michel, Macron, Scholz e Sunak si congratulano
Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, si è detto pronto a “lavorare ancora con lei per approfondire le relazioni Ue-Turchia negli anni a venire”. Per il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, “la Germania e la Turchia sono partner e alleati stretti, i nostri popoli e le nostre economie sono profondamente intrecciati”. Anche il premier Britannico, Rishi Sunak, ha inviato un messaggio a Erdogan: “Non vedo l’ora di continuare la forte collaborazione tra i nostri Paesi, dalla crescita del commercio all’affrontare le minacce alla sicurezza come alleati della Nato”. Per il presidente Emmanuel Macron, “Francia e Turchia hanno enormi sfide da affrontare insieme: il ritorno della pace in Europa, il futuro della nostra Alleanza euro-atlantica, il Mar Mediterraneo”.
Due analisi importanti
Scrive Futura D’Aprile per il Fatto Quotidiano.it: “ Comparando i risultati del primo e del secondo turno, l’opposizione ha vinto nelle stesse province in cui era risultato vincitore nel primo turno, ma con percentuali in alcuni casi più basse. In una sfida alla presidenza così serrata anche pochi punti hanno fatto la differenza. Interessante poi il caso di Hatay, provincia del sud-est colpita dal terremoto e in cui al secondo turno ha vinto Erdogan dopo un risultato invece favorevole all’opposizione nel primo. Gli elettori di Ogan hanno probabilmente deciso di supportare il presidente uscente, mentre una parte dei curdi ha scelto di non recarsi alle urne, disillusa dal risultato del primo turno e dalle alleanze siglate da Kilicdaroglu negli ultimi giorni. L’affluenza nelle regioni curde è infatti passata dall’81,7 al 75,7 per cento.
La capacità del presidente di far approvare le sue riforme e in particolare quella costituzionale per eliminare il limite di due mandati dipenderà anche dalla posizione che prenderanno alcuni partiti fino ad oggi parte dell’opposizione, tra cui l’Iyi Parti. Seconda formazione per importanza all’interno del Tavolo dei sei, il Buon partito potrebbe avvicinarsi a Erdogan e abbandonare i banchi dell’opposizione. In cambio di una ulteriore limitazione dei diritti, il presidente dovrebbe continuare ad approvare politiche di welfare e di sostegno alle fasce meno abbienti della popolazione come già fatto nel corso dei suoi precedenti mandati e ancora di più negli ultimi mesi. Molto però dipenderà dallo stato dell’economia, al momento in forte crisi e con poche prospettive di ripresa nel breve periodo. Erdogan non sembra intenzionato ad abbandonare le sue politiche economiche né a smettere di tenere bassi i tassi di interesse, due elementi che insieme al controllo che lui stesso esercita sulla Banca centrale hanno causato l’aumento del costo della vita in Turchia e la diminuzione del potere di acquisto dei cittadini. Nel breve periodo Erdogan potrà fare affidamento sui finanziamenti di alcuni stati del Golfo, in particolare del Qatar, e sul posticipo del pagamento del gas importato dalla Russia, ma nel medio-lungo termine dovrà tornare ad alzare i tassi di interessi o rischia di condannare l’economia al collasso.
Una maggiore dipendenza economica dall’estero avrà degli effetti anche sulla politica estera, soprattutto per quanto riguarda la sua posizione verso la Russia. La scelta di porsi come mediatore nel conflitto ucraino però ha certamente permesso ad Erdogan di evitare tensioni con Mosca e gli ha anche garantito maggiore riconoscimento sul piano internazionale, permettendogli allo stesso tempo di bloccare l’entrata della Svezia nella Nato senza particolari ripercussioni. Un dossier che dovrebbe risolversi entro breve, soprattutto se gli Usa decidessero finalmente di approvare la vendita dei caccia F-16 ad Ankara. Nel prossimo futuro Erdoganri coprirà ancora il ruolo di mediatore e non romperà i rapporti con la Russia, anche perché ha bisogno del supporto di Mosca per raggiungere un accordo con il governo di Damasco e avviare il rimpatrio “volontario” di almeno un milione di siriani.
Il ruolo che la Turchia gioca in Ucraina continuerà anche a regolare i rapporti con l’Unione europea e con gli Stati Uniti. Sia Bruxelles che Washington avranno bisogno della mediazione di Erdogan sul dossier ucraino, ma dovranno bilanciare questa necessità con la difesa dei propri interessi nel Mediterraneo. Ankara ha una contesa aperta con la Grecia riguardo la sovranità di alcune isole, la questione di Cipro – isola divisa in due dal 1974 – e quella legata allo sfruttamento delle risorse energetiche nel Mediterraneo sono ancora sul tavolo e la Turchia non metterà da parte i propri interessi nazionali. Senza contare la questione migratoria, usata come arma di ricatto nei confronti dell’Ue e su cui si tornerà presto a discutere. Un discorso simile vale poi anche per la Libia, dove Ankara è presente in sostegno del governo di Tripoli con l’obiettivo finale di posizionarsi in un paese strategico dal punto di vista delle rotte commerciali e migratorie, nonché utile punto di partenza per ampliare la propria penetrazione in Africa. La Turchia infatti sta investendo sempre di più nel rafforzamento dei rapporti con i paesi africani, sfruttando prima di tutto l’export di materiale bellico e in particolare dei droni. D’altronde Erdogan non ha mai fatto mistero della sua fascinazione per la gloria dell’Impero ottomano e punta a rendere la Turchia quantomeno una potenza regionale, attirando sotto la sua ala anche i paesi dell’Asia centrale.
Erdogan dunque continuerà a muoversi lungo le direttrici dell’autoritarismo interno e di un rinnovato attivismo in politica estera, ma la sua presa sulla Turchia è meno forte di prima.”.
Una vittoria con tante incognite
Ne scrive Roberto Bongiorni per Il Sole24Ore: “Non è certo stato un plebiscito. Tutt’altro. Ma Recep Tayyip Erdogan sarà ancora presidente della Turchia. Per altri cinque anni. Il presidente uscente, 69 anni, è stato riconfermato con uno scarto di circa quattro punti percentuali (52,1% contro il 47,9% ottenuto dallo sfidante, Kemal Kiliçdaroğlu, 74 anni ). Dunque, sostanzialmente in linea a quanto prevedevano i sondaggi. Erdogan si conferma così lo statista più longevo nella storia della Repubblica turca. È il suo terzo mandato da presidente (dal 2003 al 2014 è stato primo ministro quando però la Turchia era ancora una repubblica parlamentare). Nemmeno Kemal Ataturk, il fondatore della patria, aveva guidato il Paese così a lungo. La vittoria di Erdogan acquista un alto valore simbolico soprattutto perché avviene nell’anno in cui si celebra il centenario dalla fondazione della Repubblica. E perché conferma che lo zoccolo duro del suo elettorato, ubicato nell’Anatolia e sulla costa del Mar Nero, ha riconfermato il presidente nonostante la grave crisi economica in corso da quattro anni, esacerbata da un’inflazione galoppante che ha eroso il potere di acquisto delle famiglie. E che getta un’ombra inquietante sul periodo post-elettorale, quando tutti i nodi – economici – verranno al pettine. Diversi elettori che hanno riconfermato Erdogan riconoscono al loro Rais (capo), così come lo definiscono, il merito di aver fatto crescere l’economia turca ed aver tirato fuori milioni di turchi dalla povertà. Insomma, di esser grati per quanto fatto in passato.Fuori dal seggio del quartiere di Aksaray, sulla sponda europea di Istanbul, Ayva, 50 anni, è l’emblema di questa fetta di fedeli elettori che hanno contribuito alla vittoria di Erdogan nonostante la crisi. «Negli ultimi venti anni siamo diventati comunque più ricchi grazie a Erdogan – ci spiega avvolta nella veste grigie che la ricopre dal capo ai piedi -. E’ cresciuto il benessere collettivo, è cresciuto il benessere spirituale. Stiamo meglio nonostante le difficoltà di oggi. Sono sicura che le cose andranno meglio». Certo, durante il suo “Regno” Erdogan ha premuto sulla crescita ad ogni costo. Senza curarsi troppo dei pesanti effetti collaterali. Il pil pro-capite è passato dai circa 3.600 dollari del 2003, quando divenne primo ministro, ad oltre 10mila dieci anni dopo. Il conto, tuttavia, da pagare è stato molto salato.
L’economia si è surriscaldata. L’inflazione si è gonfiata toccando l’84,5% lo scorso autunno, per poi scendere al 45% in queste settimane. La Lira ha accusato negli ultimi quattro anni una pesante svalutazione sul dollaro. I conti pubblici sono peggiorati in modo preoccupante. «Ringrazio ogni cittadino della nostra nazione per avermi affidato la responsabilità di governare per i prossimi cinque anni ancora una volta questo Paese», ha affermato un raggiante Erdogan circa tre ore dopo la chiusura dei seggi . Il presidente turco non ha resistito alla tentazione di prendere in giro lo sfidante. «Ciao ciao, Kemal» ha ironizzato sul palco, mentre i sostenitori fischiavano. «L’unico vincitore oggi è la Turchia», ha concluso. Quella di Erdogan è comunque stata una vittoria prevedibile e prevista, non un trionfo. A Kiliçdaroğlu, il leader del Partito repubblicano (Chp), resta la consolazione di esser stato il solo sfidante che ha costretto Erdogan al turno di ballottaggio. La sua svolta populista durante la campagna elettorale delle ultime due settimane non sembra tuttavia aver pagato. Fuori dai seggi, sul volto dei suoi sostenitori si intuiva un’espressione quasi malinconica. In tanti ci avevano creduto al primo turno. Al ballottaggio erano consapevoli che sarebbe stata dura. «Sarà davvero molto difficile – confidava Kemal, 65 anni, pensionato – ma sperare è doveroso. Se dovesse vincere Erdogan, economicamente sarebbe davvero finita».«Ci toccheranno tempi durissimi – si è lamentato Hussein, 23 anni, tecnico sanitario – Io non ce la faccio con il mio stipendio. Ho votato Kiliçdaroğlu non perché mi piaccia particolarmente, ma non voglio più Erdogan. Avrei votato chiunque si fosse candidato per sfidarlo». Anche questa volta, gli elettori turchi hanno comunque dato una grande prova di democrazia. L’affluenza ha superato l’85%, secondo i dati diffusi dalla tv di Stato Trt. In lieve calo rispetto al record raggiunto al primo turno delle presidenziali, quando aveva sfiorato il 90%, ma ancora molto alta.
Al di là dell’entusiasmo per la vittoria, l’avvio del terzo decennio al potere non sarà affatto semplice, né facile. Quella di Erdogan somiglia ad una vittoria di Pirro, puntualizzano i suoi rivali . Dovrà governare gestendo una crisi economica e finanziaria che rischia solo di peggiorare. «Se vince Erdogan non mi resta che lasciare il Paese ed andare ad abitare all’estero», ha confidato Fazil, studente universitario, nel distretto centrale, e laico, di Beyoğlu . Diversi giovani delusi dicono di pensarla così. L’estero, appunto. Per far uscire dalla crisi la Turchia, Erdogan sa bene che la fiducia dei mercati e degli investitori internazionali è molto importante. La sua poco ortodossa politica monetaria – abbassare i tassi di interesse per combattere l’inflazione – ha sortito l’effetto contrario. Portando ad una pesante svalutazione della Lira. Se sarà coerente con quanto detto in campagna elettorale, ovvero di voler mantenere i tassi di interesse bassi, difficilmente otterrà la fiducia da parte di chi non l’aveva accordato prima. In un contesto di questo tipo, gli indispensabili flussi di capitale straniero, in valuta pregiata, rischiano di arrivare tardi. Col contagocce”.
Tante incognite sul futuro della Turchia. Ma sia pure con una vittoria non trionfale, nel paese della Mezzaluna rossa il voto di domenica ha rafforzato la democratura di Erdogan. Su questo, non ci sono dubbi.