Un “Vertice” che ci piace. Per chi ci partecipa, per le finalità che lo anima. La diplomazia dei popoli contro quella delle armi.
A Vienna
Da una nota di Rete Italiana Pace e Disarmo: ” Sono già oltre 400 i partecipanti in presenza registrati, e molti di più sono quelli che seguiranno da remoto i lavori del Vertice Internazionale dei Popoli per la Pace in Ucraina in programma a Vienna nelle giornate del 10 e 11 giugno. Un incontro promosso dalla società civile internazionale per definire un contributo “dal basso” a percorsi di pacificazione, partendo da una forte richiesta di “cessate il fuoco” che sfoci in negoziati concreti e condivisi.
Anche la coalizione italiana “Europe For Peace”, composta da circa 600 organizzazioni ed organizzatrice nei mesi scorsi delle manifestazioni nazionali di Roma e delle giornate di mobilitazione territoriale per la Pace che hanno coinvolto centinaia di migliaia di persone, è tra i promotori del Vertice di Vienna. Il gruppo promotore comprende anche l’International Peace Bureau (Premio Nobel per la Pace 1910), Codepink, la World Assembly of Struggles and Resistances of the World Social Forum, Transform! Europe, l’International Fellowship of Reconciliation, la Peace in Ukraine Coalition, e la Campaign for Peace Disarmament and Common Security.
L’obiettivo prinvipale del Vertice di Pace (che ha come titolo “Peace by Peaceful means – Se vuoi la Pace costruisci la Pace”) è di concordare e diffondere un appello urgente globale, una “Dichiarazione di Vienna per la Pace”, che che inviterà i leader politici ad agire in sostegno di un cessate il fuoco e di negoziati in Ucraina. Cessare il fuoco non significa riconoscere le attuali linee del fronte come confini, ma solo mettere fine alle uccisioni e fermare la distruzione. Non deve essere per i contendenti la scusa per riarmarsi e prepararsi a ulteriori combattimenti ma dovrebbe servire a generare un clima per una soluzione negoziata. Fuori dalle trincee e dai bunker, verso una nuova vita libera!
E negoziare non significa approvare o riconoscere la guerra di aggressione della Russia contro un’Ucraina sovrana, guerra contro il diritto internazionale, e nemmeno perdere di vista tutti gli antefatti di questa guerra, ma sviluppare percorsi per definire un futuro insieme al tavolo dei negoziati, con la possibile partecipazione attiva di moderatori e mediatori internazionali del Sud Globale.
Rappresentanti della società civile provenienti da Europa, Nord America, Russia e Ucraina si confronteranno con i partecipanti del Sud del mondo per raccontare e discutere le drammatiche conseguenze di questa guerra per le popolazioni dei loro Paesi e per capire come contribuire alla pace.
Nelle intenzioni degli organizzatori, infatti, il Vertice non dovrà focalizzarsi solo su critiche e analisi ma dovrà mettere a fuoco anche soluzioni creative per far finire la guerra e preparare i negoziati. Le soluzioni di Pace non dipendono solo dalle azioni di Stati e di diplomatici, ma sono sempre il risultato dell’agire della società civile. Oggi serve urgentemente costituire un movimento globale che chieda a tutte le parti di cessare di combattere e di iniziare a negoziare. E’ urgente imporre il silenzio alle armi e lanciare una forte attività diplomatica che risolva il conflitto.
Da Vienna il movimento per la pace della società civile internazionale lancerà proposte e iniziative su come contrastare la logica della guerra con la logica della pace.
Tra i relatori confermati: l’ex colonnello e diplomatica Ann Wright (USA), la prof.ssa Anuradha Chenoy (India), Padre Alejandro Solalinde, consigliere del Presidente del Messico, Clare Daly, membro del Parlamento europeo (Irlanda) il vicepresidente David Choquehuanca (Bolivia), il prof. Jeffrey Sachs (USA), l’ex diplomatico delle Nazioni Unite Michael von der Schulenburg (Germania), il coordinatore di Stop The War Now Gianpiero Cofano (Italia) e il componente dell’Esecutivo di Rete Italiana Pace Disarmo Fabio Alberti, nonché attivisti per la pace dell’Ucraina e della Russia. Introdurranno i lavori i saluti video di Noam Chomsky (USA) e del Cardinale Álvaro Leonel Ramazzini Imeri (Guatemala)”.
Una intervista illuminante
“Si può discutere se sia efficace o meno inviare armi all’Ucraina per sostenere la resistenza, ma per noi resta chiaro un punto: non è vera la tesi dei governi occidentali secondo cui dare più armamenti a Kiev significa accelerare la fine di questo conflitto. Al contrario, come i fatti dimostrano, lo sta prolungando, con costi inimmaginabili per i civili e profitti enormi per le aziende produttrici di armi”. Ne è convinto Francesco Vignarca, il coordinatore campagne della Rete italiana pace e disarmo. Il commento all’agenzia Dire giunge in coincidenza di varie date importanti: tra un mese ricorrerà il primo anniversario dello scoppio del conflitto in Ucraina, una data anticipata da nuovi impegni assunti nel vertice del gruppo di contatto per l’Ucraina a guida Usa che si è svolto venerdì scorso alla base tedesca di Ramstein. In particolare, il Pentagono ha annunciato oltre 2,3 miliardi di dollari in nuovi armamenti, mentre Berlino ha promesso che ne stanzierà un miliardo. Il governo ucraino ha però fatto appello ai carri armati, a cui ha risposto la Polonia promettendo i Leopard 2, di fabbricazione tedesca. Una mossa che non ha incontrato l’entusiasmo della Germania che, tuttavia, ha garantito che “non si opporrà” alle scelte di Varsavia.
Il 22 gennaio, ricorda Vignarca, ricorreva anche il secondo anniversario dell’entrata in vigore del Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari (Tpnw), la prima norma internazionale che dichiara illegali le armi atomiche, a cui però l’Italia non ha aderito assieme a Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti, nonché tutti gli altri membri Nato ad eccezione dei Paesi Bassi. Il rischio dell’uso di armi nucleari “è concreto” avverte Vignarca, “e probabilmente sarà al centro della denuncia degli scienziati del Doumsday clock”, ‘l’orologio dell’apocalisse’ che oggi alle 16 ora italiana, come ogni anno, riveleranno quanti minuti mancano simbolicamente alla fine dell’umanità.
Vignarca rilancia quindi la proposta invocata dalla Rete e dagli oltre 600 organismi che hanno aderito alla piattaforma Europe for peace: “serve una conferenza di pace. Non abbiamo in tasca la soluzione, certo, ma ricostruire sulle macerie non ci sembra un’opzione sostenibile”. La guerra in Ucraina d’altronde “non è la sola: non a caso a fine gennaio Papa Francesco andrà in Repubbloca democratica del Congo e Sud Sudan”, altri paesi colpito da conflitti “terribili”, ma ci sono anche “Siria, Yemen Etiopia..”.
Riportare pace nel mondo è un compito complesso che per l’esperto necessita “di impegni su più fronti, come quello umanitario: le associazioni di Europe for peace, infatti, non fanno solo chiacchiere, ma ogni giorno lavorano per portare aiuti alla popolazione in Ucraina, fino a Kherson”.
Perché per il coordinatore di Rete pace e disarmo “è vero che assistiamo a tanta retorica sulla pace, ma questa arriva soprattutto da quei Paesi che si affrettano a riarmarsi e che, di fatto, fanno gli interessi dell’industria bellica”. Una corsa che, informa Vignarca citando una previsione della Foundation for Defense of Democracies’ Center on Military and Political Power, “potrebbe valere 23 miliardi di dollari di profitto ai produttori di armi americani”.
Un export vantaggioso che però “resta in ombra” nel discorso mediatico e politico sulla guerra, ma che risulterebbe evidente “anche osservando le scelte degli ultimi governi dell’Italia: con l’osservatorio Milex- informa l’esperto- abbiamo calcolato un aumento di 800 milioni nel comparto militare, passato da 25,7 miliardi del 2022 a 26,5 previsti per il 2023. Di questi-riferisce- 8,2 miliardi saranno spesi per nuovi armamenti. Negli ultimi cinque anni quindi si è quasi raddoppiata la quota per i sistemi d’arma e questo avvantaggia ovviamente l’industria. Denaro pubblico che invece- conclude- si potrebbe investire nella scuola o nella sanità”. A fine novembre Milex ha calcolato che il conflitto in Ucraina sta costando all’Italia oltre 450 milioni di euro, secondo le valutazioni derivanti dal valore dichiarato delle cessioni e dal contributo italiano all’European Peace Facility (lo strumento europeo con cui tali invii di armi avranno copertura finanziaria), a cui si potrebbero aggiungere ulteriori costi di rifornimento magazzini della Difesa”.
L’intervista è del 23 gennaio 2023. Quasi cinque mesi dopo, la situazione si è ulteriormente aggravata. E le ragioni del pacifismo sono ancora in campo.