Ecatombe nell'Egeo: non è una tragedia ma un crimine contro l'umanità
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Ecatombe nell'Egeo: non è una tragedia ma un crimine contro l'umanità

Un cimitero di cadaveri nel mar Mediterraneo, al largo di Pylos, nel sud del Peloponneso. Una nuova strage di migranti nelle prime ore del 14 giugno in Grecia ma con dimensioni ancora più gravi di quella avvenuta al largo di Cutro

Ecatombe nell'Egeo: non è una tragedia ma un crimine contro l'umanità
Naufragio di migranti a largo della Grecia
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14 Giugno 2023 - 19.13


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Non parlate di tragedia. E’ stato un crimine. Un crimine contro l’umanità. 

Ecatombe 

Un cimitero di cadaveri nel mar Mediterraneo, al largo di Pylos, nel sud del Peloponneso. Una nuova strage di migranti nelle prime ore del 14 giugno in Grecia ma con dimensioni ancora più gravi di quella avvenuta al largo di Cutro, in Calabria, tra il 25 e il 26 febbraio 2023 con un bilancio di 94 morti accertati oltre a un numero imprecisato di dispersi. L’ultimo naufragio è avvenuto nelle scorse ore al largo delle coste della Grecia e ha visto protagonista una imbarcazione di trenta metri salpata dalla Libia orientale che ospitava oltre 500 persone (c’è chi dice addirittura 750). Imbarcazione in pericolo, segnalata più volte da un aereo di Frontex e dalle Ong e mai soccorsa dalle autorità greche, che si è ribaltata lasciando in mare centinaia di esseri umani. Era diretta in Italia.

Al momento il bilancio provvisorio è di almeno 79 cadaveri recuperati in mare dalla Guardia costiera greca che ha salvato altre 104 persone. Stando proprio alle prime testimonianze dei superstiti, portati a Kalamata, a bordo erano presenti circa 750 persone. Sono state le autorità italiane ad allertare le autorità greche del naufragio, intorno alle 2.30 di questa notte. I superstiti hanno raccontato che già ieri sera, intorno alle 22, l’imbarcazione era stata avvicinata da due navi che avrebbero tirato loro delle bottiglie d’acqua. Per prenderle le centinaia di persone a bordo avrebbero fatto pericolosamente oscillare il peschereccio rischiando di farlo capovolgere.

La Guardia costiera greca era stata “informata dal Rcc Roma di un peschereccio nella suddetta zona, a bordo del quale si trovava un gran numero di stranieri”. Un’altra tragedia nell’Egeo che, secondo l’Oim, “rafforza l’urgenza di un’azione concreta e globale da parte degli Stati per salvare vite umane in mare e ridurre i viaggi pericolosi ampliando percorsi sicuri e regolari verso la migrazione”.

 «Un’altra tragedia nell’Egeo che rafforza l’urgenza di un’azione concreta e globale da parte degli Stati per salvare vite in mare e ridurre i viaggi pericolosi, ampliando i percorsi sicuri e regolari per la migrazione», scrive su Twitter l’Oim. Secondo il portavoce Falvio Di Giacomo «fino a ieri, nel 2023, erano 1.039 i migranti morti nel Mediterraneo Centrale, 1.277 in tutto il Mediterraneo».

Oim ha spiegato ieri che un totale di 3.789 migranti sono morti nella regione del Medio Oriente e del Nord Africa nel 2022, il bilancio più alto dal 2017 quando i morti nelle rotte migratorie sono stati 4.255. Lo scorso anno si è assistito a un aumento dell’11 per cento dei decessi tra gli migranti rispetto al 2021, che ha registrato 3.428 decessi. Oim ha spiegato che il numero di decessi nella regione del Medio Oriente e del Nord Africa rappresenta più della metà del totale dei decessi registrati in tutto il mondo che sono complessivamente 6.877. In particolare, 203 persone sono morte durante rotte terrestri nella regione del Nord Africa, mentre altre 825 persone hanno perso la vita in Medio Oriente. La Libia ha registrato il maggior numero di vittime nelle rotte migratorie terrestri in Nord Africa con 117 decessi, seguita da Algeria (54 morti), Marocco (13 morti), Tunisia (10 morti) ed Egitto (9 morti).

I “desaparecidos” di Lesbo

Sono circa 940 le persone migranti scomparse sull’isola di Lesbo dallo scorso giugno. A renderlo noto è Medici senza frontiere, seriamente preoccupata per le condizioni di vita delle persone migranti sull’isola greca. Durante alcuni interventi, lo staff di Msf ha visto non lontano veicoli non identificabili e senza targa, spesso guidati da individui con il volto coperto. Msf si dice “seriamente preoccupata per il continuo deterioramento delle condizioni di vita dei migranti e rifugiati sull’isola greca di Lesbo, dove sono state registrate numerose segnalazioni di violenze, presunti rapimenti e respingimenti, e privazioni di cibo e riparo”. Diversi pazienti hanno raccontato ai team di Msf di essere stati intercettati in modo traumatico e respinti con la forza in mare durante i precedenti tentativi di raggiungere la Grecia.

“Quando veniamo avvisati di persone appena arrivate che hanno urgente bisogno di assistenza medica, passiamo ore, a volte giorni, a cercarle perché spesso si nascondono nelle foreste” dice Osman di Msf: “Le persone ci hanno raccontato di aver incontrato uomini mascherati che si spacciavano per medici per ottenere la loro fiducia o, come recentemente riportato nell’articolo del New York Times, addirittura per membri dello staff di Msf”. “Se questo venisse confermato, si tratterebbe di un’inaccettabile e grave manipolazione degli aiuti umanitari”. In alcuni casi, lo staff di Msf ha visto nei dintorni dei luoghi degli interventi veicoli non identificabili e senza targa, spesso guidati da individui con il volto coperto. L’assistenza umanitaria per i nuovi arrivati è seriamente ridotta a causa dei timori di criminalizzazione. Msf è ora l’unico attore indipendente a fornire aiuto ai migranti che arrivano a Lesbo. I migranti e i richiedenti asilo che arrivano a Lesbo vengono inviati in due centri a seconda del luogo di arrivo: Mavrovouni e Megala Therma. A Mavrovouni, uno dei diversi centri chiusi ad accesso controllato (Ccac) finanziati dall’Ue, sono state fatte entrare fino a 2.700 persone nel 2023. I Ccac sono stati presentati come migliorativi delle condizioni di vita dei migranti ma progettati per limitare fortemente i movimenti delle persone e tenerle rinchiuse in strutture simili a prigioni. Il 17 maggio – informa Msf – “le autorità greche hanno smesso di fornire cibo a persone riconosciute come rifugiati e a chi era stata negata la protezione internazionale, annunciando l’intenzione di sfrattarli. Inoltre, ai bambini appartenenti a famiglie a cui è stata negata la protezione internazionale, viene tolto il numero di previdenza sociale, rendendoli non idonei a ricevere le vaccinazioni di base, violando così i loro diritti”.


A Megala Therma, sulla costa settentrionale di Lesbo, dove Msf fornisce assistenza sanitaria dal 2020, la situazione è allarmante. Precedentemente adibito a centro governativo per la quarantena da Covid-19, la struttura ora ospita le persone prima del loro trasferimento al Centro chiuso ad accesso controllato di Mavrovouni. Le persone che si trovano a Megala Therma non sono registrate e sono detenute arbitrariamente per giorni, in alcuni casi per più di due settimane, prima di essere trasferite al centro di Mavrovouni. Le persone vengono sistemate in unità abitative per rifugiati sovraffollate e prive di letti: a volte 14 persone in un’unità che potrebbe ospitarne solo cinque. “Tutti, inclusi i bambini, sono alloggiati insieme, indipendentemente dalle loro vulnerabilità, senza tenere conto delle procedure di sicurezza e protezione” dice Osman di Msf. Inoltre, la struttura è isolata, il che rende notevolmente difficile l’accesso degli operatori sanitari per rispondere alle emergenze mediche. Msf chiede perciò alle autorità greche di “indagare sulle segnalazioni di centinaia di migranti dispersi, presumibilmente respinti con la forza in mare, e di attuare condizioni di accoglienza sicure e dignitose per coloro che rimangono sull’isola”.

I centri di accesso chiuso e controllato 

I migranti e i richiedenti asilo che arrivano sull’isola vengono inviati in due centri a seconda del luogo di approdo: Mavrovouni e Megala Therma. A Mavrovouni, uno dei numerosi centri di accesso chiuso controllato (Ccac) finanziati dall’Unione Europea, nel 2023 sono state accolte fino a 2.700 persone. I Ccac sono stati presentati come un miglioramento delle condizioni di vita dei migranti, ma di fatto sono stati progettati per limitare il movimento delle persone e tenerle rinchiuse in strutture simili a prigioni. Il 17 maggio le autorità greche hanno smesso di fornire cibo sia ai rifugiati sia alle persone a cui è stata negata la protezione internazionale, annunciando piani per sfrattarli. I bambini che appartengono alle famiglie a cui è stata negata la protezione internazionale sono stati privati della previdenza sociale e in questo modo non possono ricevere le vaccinazioni di base.

Le detenzioni arbitrarie

 Nel campo di Megala Therma, sulla costa settentrionale di Lesbo, dove i team di Msf forniscono assistenza sanitaria dal 2020, la situazione è allarmante. Megala Therma prima era un centro gestito dal governo e adibito alla quarantena dei malati di Covid-19, oggi la struttura ospita i migranti prima che vengano trasferiti al Ccac di Mavrovouni. Le persone a Megala Therma non sono registrate e vengono arbitrariamente detenute per giorni, in alcuni casi per più di due settimane, prima di essere trasferite a Mavrovouni.

Vivere a Megala Therma

 Le condizioni di vita in questo campo sono terribili. I profughi vengono ammassati in unità abitative senza letti, a volte quattordici persone vengono schiacciate in una stanza che potrebbe accoglierne al massimo cinque. Tutti, bambini compresi, vivono insieme, indipendentemente dal livello di vulnerabilità e senza nessuna considerazione della sicurezza. La struttura inoltre è isolata, il che complica l’accesso degli operatori sanitari quando ci sono delle urgenze mediche. I medici di MSF visitano Megala Therma due volte a settimana, ma se si verifica un’emergenza in altri giorni, sul posto non ci sono sanitari e un’ambulanza impiega più di un’ora per arrivare. “Il campo di Megala Therma è emblematico dell’approccio crudele e adottato nei Ccac e sostenuto dagli Stati membri dell’UE e finanziato dalla Commissione europea”, afferma Osman.

Gli abusi sulla terraferma

 Ad Atene le cose non vanno meglio. L’Ong Intersos Hellas ha pubblicato un’analisi dell’insicurezza alimentare vissuta da rifugiati e persone prive di documenti in Grecia: essere affamati in Europa: un’analisi dell’insicurezza alimentare vissuta da rifugiati, richiedenti asilo, migranti e persone prive di documenti in Grecia. Le conclusioni si basano sui dati raccolti attraverso il progetto Food for All, supportato dal Greek Forum of Migrants, che ha l’obiettivo di soddisfare i bisogni primari dei gruppi più vulnerabili di migranti e rifugiati che vivono ad Atene.

I risultati dell’analisi. Dal dossier emerge un quadro desolante per le persone che hanno trovato protezione in Grecia. Il 30,1 per cento di coloro che hanno ricevuto assistenza attraverso il progetto Food for All ha già lo status giuridico di rifugiato, con tutti i diritti annessi. La maggior parte delle persone che ha beneficiato degli aiuti, il 54 per cento, sono bambini, di cui 1 su 3 – il 23,7 per cento –  ha meno di 4 anni. Il 59,4 per cento delle persone accede al cibo da una a tre volte a settimana.

Gli ostacoli alla piena realizzazione dei diritti

 Le complesse e lunghe procedure burocratiche, insieme all’applicazione di criteri discriminatori che di fatto escludono i beneficiari di protezione internazionale e i migranti dalla maggior parte delle prestazioni sociali in Grecia, ostacolano la parità di accesso al sistema di assistenza sociale per i cittadini che provengono da paesi terzi, denuncia il rapporto. In pratica anche chi ha diritto a misure di sostegno sociale, di fatto non ne fa richiesta a causa della burocrazia.

Il rinnovo del permesso di soggiorno

 Particolarmente preoccupante – si legge nel rapporto –  è il tempo necessario per rinnovare i permessi di soggiorno, che a volte può richiedere anche più di 6 mesi. Durante questo periodo, l’accesso all’assistenza sociale, a quella sanitaria e al mercato del lavoro è quasi nullo e questo crea un circolo vizioso di reiterata esclusione dai diritti.

 Un rapporto illuminante

Le prove dei respingimenti e dei sistematici abusi dei diritti commessi dalle autorità greche continuano ad aumentare. Un recente rapporto del Consiglio greco per i rifugiati (Cgr), intitolato “Ai confini dell’Europa: tra impunità e criminalizzazione”, documenta casi di rimpatri sia nella zona del fiume Evros che nelle isole dell’Egeo. Nella parte finale del dossier, l’Organizzazione scrive che quella dei respingimenti è una politica migratoria e di frontiera attentamente pianificata dal governo ellenico e porta con sé due conseguenze: l’impunità degli autori delle violazioni e il diniego della giustizia per le vittime.

Dove avvengono i respingimenti? 

Hanno luogo principalmente nella regione del fiume Evros e nelle isole dell’Egeo. Ma il dossier del Cgr documenta casi di arresti informali anche nelle zone interne della Grecia e anche di persone che avevano già ottenuto lo status di rifugiato e dunque avevano i documenti in regola. Come è accaduto a un cittadino afghano respinto in Turchia.

La denuncia dell’Unhcr e di altre Ong

Nel periodo 2020-2021 l’Agenzia Onu per i rifugiati ha registrato 539 casi di “rimpatri forzati informali” sia sulle frontiere terrestri che marittime. Nel giugno 2021 Amnesty International ha pubblicato un rapporto sui rimpatri violenti effettuati dalle autorità greche. Nel marzo 2022 Human Rights Watch  ha raccontato delle aggressioni da parte di uomini incappucciati nei confronti delle persone migranti nella zona dell’Evros. Ad agosto 2022 Medici senza frontiere ha reso noto un rapporto che documenta in modo approfondito i respingimenti nell’isola di Samos, nell’Egeo nord-orientale, contro persone in cerca di protezione internazionale. LAlto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha persino rilasciato una dichiarazione a febbraio 2022, nella quale esprimeva preoccupazione per le notizie ricorrenti di respingimenti, che tra l’altro non scoraggiano le partenze, ma spingono solo le persone a percorrere rotte più pericolose.

L’indagine di El Pais e Solomon.

 Secondo una investigazione condotta dal quotidiano spagnolo e da Solomon, le autorità greche hanno sottratto più di due milioni di euro tra contanti e oggetti di valore ai migranti irregolari tra il 2017 e il 2022. Un arco di tempo durante il quale più di ventimila persone sono state respinte in Turchia attraverso il fiume Evros. Quando è scoppiata la crisi sul confine greco-turco, la pratica dei respingimenti si è estesa anche nell’entroterra per centinaia di chilometri. L’inchiesta condotta da El Pais conferma un modus operandi ben preciso: furto dei beni, diniego della possibilità di fare richiesta di asilo, detenzione nelle caserme oppure in magazzini adibiti agli arresti arbitrari, violenze e respingimenti verso la Turchia, spesso su gommoni affidati alle acque dell’Evros.

La strategia delle autorità. “Quando togli loro i telefoni, ti sbarazzi di ogni prova. Quando prendi i loro soldi, gli rendi la vita più difficile. Quando gli togli i vestiti e li lasci nudi – un’altra pratica sempre più diffusa – li umili e li demoralizzi. Fa parte di una strategia per dissuaderli dall’idea di tornare di nuovo in Grecia”, ha commentato con il quotidiano spagnolo Eva Cosse di Human Rights Watch. I risultati dell’indagine si basano su testimonianze di persone in movimento, varie ONG, istituzioni, esperti di diritti e residenti sul confine.

La testimonianza

 Un uomo siriano di 22 anni, arrestato in una foresta vicino al fiume Evros dalle forze greche e successivamente respinto in Turchia, ha denunciato di essere stato picchiato e rubato di tutti i suoi averi, incluso il telefono. “Quando mi hanno messo in macchina mi sono reso conto che lì dentro c’erano un sacco di telefoni e di power bank. Quando uno degli uomini ha tirato fuori una sigaretta dalla tasca, ho visto che aveva una mazzetta di banconote. Penso che siano state prese da altri in precedenza”, ha raccontato.

Respingimenti, deportazioni, omissioni di soccorso. E’ il “modello greco”.  Quello che piace ai securisti italiani. E all’Europa complice.

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