Il vergognoso rituale post strage si ripete. Dalle lacrime di coccodrillo alle riunioni che non decidono. Dopo l’immane ecatombe di esseri umani – esseri umani, non carichi residuali – a largo delle coste greche, l’Unione Europea tiene oggi l’ennesima, inutile riunione per gli inesistenti soccorsi in mare. Vergogna nella vergogna. Neanche dopo una strage che quasi sicuramente ha causato la morte di almeno 600 persone, l’Europa ha trovato una sua unità di facciata. La Polonia, uno dei Paesi del fronte Visegrad più ottusamente anti migranti, vuole un referendum sui ricollocamenti Ue. In Europa, nel Mediterraneo, pietà l’è morta.
Vergogna Europa
Ne scrive, in un ampio e documentato report, Lucrezia Tiberio per Valigia Blu A fronte di quello che potrebbe essere l’episodio più tragico mai avvenuto nel Mediterraneo, le recentissime decisioni politiche dell’Unione Europea non solo non sembrano comprendere la portata di questo fenomeno, ma addirittura procedono in senso contrario. L’8 giugno il Consiglio dei ministri dell’Interno europei, riuniti a Lussemburgo al Consiglio affari interni, ha individuato un accordo per riformare due regolamenti relativi alle procedure di frontiera e alla gestione dei richiedenti asilo in Europa; il patto, che modifica solo alcuni punti dell’intera materia, rappresenta il risultato di un processo decisionale e politico iniziato nel 2015. Il sostegno è stato ampio e i voti contrari sono stati solo quelli di Ungheria e Polonia. Le riforme proposte andranno a sostituire alcune di quelle previste nel regolamento di Dublino III, criticatissimo da molti paesi europei, soprattutto quelli del bacino Mediterraneo. L’obiettivo del patto, almeno in teoria, era quello di attuare finalmente un vero meccanismo di solidarietà e cooperazione tra tutti gli Stati.
I punti principali sono quattro. Gli Stati europei dovranno partecipare alla redistribuzione dei migranti con una quota minima di 30mila ricollocamenti ogni anno; alternativamente potranno pagare un contributo di 20mila euro per migrante al fondo comune per la gestione delle frontiere esterne. L’esame delle domande di asilo seguirà la cosiddetta ‘procedura di frontiera’, un iter accelerato e sommario che si dovrà concludere entro 12 settimane dalla presentazione della domanda. Questa procedura verrà applicata ai migranti che attraversano illegalmente il confine europeo o ai richiedenti asilo provenienti da “un paese terzo ritenuto sicuro”. Lo Stato responsabile dell’esame della domanda di asilo rimane quello di primo approdo in Europa e il periodo durante il quale uno stato ha la responsabilità dei migranti arrivati sul suo territorio raddoppia fino a ventiquattro mesi. Per quanto riguarda i respingimenti e rimpatri, gli Stati europei avranno autonomia nel definire un paese di partenza o di transito come “sicuro” e quindi potranno attuare respingimenti anche verso un paese di transito per i migranti, e non solo verso quello di origine. Ora il Consiglio procederà ad un confronto con il Parlamento europeo, che dovrà approvare il nuovo patto; il tutto quindi non è ancora concluso, ma è la prima volta che l’Europa trova un accordo comune sulla gestione dei flussi migratori e le procedure di regolarizzazione nei territori nazionali.
Il risultato dell’accordo, ancora una volta, non sembra essere tanto quello di gestire una situazione di emergenza – umanitaria prima di tutto -, ma di correggere alcune procedure organizzative nella spartizione dei migranti. Le proposte non si discostano dalla visione egemone sulla gestione dei migranti, frutto dell’inadeguatezza delle politiche europee e nazionali. Già nel 2021, quando gli Stati europei cercavano di accordarsi sul nuovo patto, le associazioni a tutela dei diritti umani avevano espresso il loro forte disappunto…Asgi, facendosi portavoce delle associazioni no profit e delle organizzazioni internazionali, aveva divulgato delle raccomandazioni, che non sono state ascoltate. Tra le tante, le preoccupazioni maggiori riguardavano le prassi accelerate, l’esclusione arbitraria dal diritto di asilo, la detenzione extralegale in frontiera e la mancanza di un’effettiva valutazione individualizzata relativamente al rischio di respingimento o di invio in uno Stato in cui lo straniero potesse subire persecuzioni o danni gravi. A distanza di due anni dall’ultimo tentativo di trovare un accordo e dopo numerosissimi fallimenti, il nuovo patto conferma che la questione dei flussi migratori continua ad essere affrontata solo da un punto di vista, quello economico.
Rimane la clausola del paese di primo ingresso
La perplessità principale che emerge è che non viene modificato il principio cardine del regolamento di Dublino, vale a dire la previsione di tutte le procedure di asilo a carico del paese di ingresso. Nonostante da anni sia chiaro che la maggior parte dei migranti non intenda soggiornare, per esempio, in Italia, il patto non si è occupato di distribuire equamente l’esame delle domande nei diversi territori europei. Una diversa organizzazione delle procedure di asilo permetterebbe un esame più attento, nel luogo in cui il migrante vuole radicarsi. Saranno previsti invece maggiori oneri a carico del paese di primo approdo e di conseguenza un intensificarsi dei problemi: una pubblica amministrazione totalmente impreparata alla gestione delle procedure di asilo, sistematiche discriminazioni istituzionali anche all’interno della macchina giudiziaria e la formalizzazione del sistema hotspot con le criticità connesse che ben conosciamo nel nostro paese.
La politica europea sull’immigrazione e l’asilo dovrebbe essere, come noto, “governata dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario” (art. 80 TFue). In concreto, però, l’applicazione di tale principio ha sempre incontrato delle difficoltà a causa di una diffusa resistenza degli Stati membri a farsi carico della gestione dei migranti irregolari, e ad aiutare così gli Stati alla frontiera esterna, come Grecia e Italia, che nel 2021 si rivolsero alla Corte di Giustizia per provare ad alleggerire il carico di sbarchi sulle coste del Mediterraneo, senza successo.
Lo stravolgimento del concetto di paese sicuro
Il patto è stato duramente criticato dalle organizzazioni che si occupano di tutelare i diritti dei migranti, soprattutto per lo stravolgimento del concetto di paese terzo sicuro. Durante la trattativa, c’è stato un confronto duro per l’organizzazione dei rimpatri, sia per questioni organizzative sia perché tocca da vicino i rapporti che i singoli paesi europei intrattengono con gli stati di provenienza dei migranti. Il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha insistito per l’approvazione dei respingimenti dei migranti anche nei paesi di transito, mentre la Germania chiedeva maggiori garanzie, come la presenza di legami familiari in questi paesi. La decisione rappresenta un rischio per il pacifico esercizio del diritto d’asilo per due ragioni: il venir meno di un esame della domanda basato sulle ragioni del singolo migrante e, ancora di più, il pericolo di lasciare l’autonomia ai paesi europei di ritenere sicuro uno stato terzo di provenienza dei migranti. Significative le dichiarazioni del Ministro Piantedosi: “Volevamo che non passassero formulazione dei testi che depotenziassero la possibilità di fare accordi con paesi terzi, sempre nell’attuazione della proiezione sulla dimensione esterna. È un compromesso che non lede il quadro giuridico internazionale”. L’intenzione era quella di precisare che sarà lo Stato membro a decidere con quali paesi stabilire accordi.
L’Europa non è nuova a queste politiche e già in passato ha fatto prevalere gli accordi economici bilaterali sui diritti dei migranti, con paesi come la Turchia o la Libia. In questo caso è rilevante la recente visita di Giorgia Meloni, Ursula von der Leyen e Mark Rutte a Tunisi con il presidente Kais Saied per discutere di un accordo che potrebbe concludersi alla fine di giugno, anche se il leader tunisino sembra non voler accettare queste condizioni. L’intento dell’Unione Europea sarebbe quello di versare 150 milioni di euro per sostenere le riforme necessarie, richieste dal Fondo monetario internazionale, per salvare il paese dal default; qualora questa prima manovra economica dovesse concludersi, l’Europa si impegnerà a versare altri 900 milioni, di cui 105 milioni destinati a un nuovo accordo sul controllo del flusso migratorio. Di fatto: aprire nuovi campi profughi dove respingere i migranti che arrivano in Europa e aumentare i rimpatri verso la Tunisia, sia come luogo di provenienza che di transito. Premessa dell’accordo, quindi, è che la Tunisia venga considerata come un paese sicuro, nonostante le violenze e gli abusi perpetrati dal dittatore Saied.
Marcia indietro sui diritti dei migranti
Anche dal punto di vista esclusivamente procedurale, la proposta di accordo sembra non essere solida: il patto è stato redatto dal consiglio, senza guardare alle proposte fatte in precedenza dalla Commissione e “senza rispetto per il voto del parlamento”, secondo Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci. Inoltre, l’intesa non sembra essere davvero realizzabile sul piano giuridico, perché sarebbero necessarie lunghissime modifiche alla direttiva sui rimpatri, nonché al regolamento di Schengen. Il rischio più grande, comunque, è che una simile politica indirizzata al durissimo contrasto all’immigrazione clandestina e ai rimpatri forzati verso luoghi che non possono essere ritenuti sicuri danneggi l’intero impianto del diritto di asilo, a partire dal principio di non respingimento. La giurisprudenza europea, capace di influenzare anche le decisioni dei giudici nazionali, ha costruito faticosamente questo principio, anche con l’intento di armonizzare le diverse normative degli Stati.
Salvatore Fachile, avvocato di Asgi e fondatore dell’associazione Antartide, un’associazione legale che si occupa di diritto dell’immigrazione, ha duramente criticato le regole del patto: “Il nuovo accordo mette in pericolo il diritto di asilo, a partire dal concetto di paese terzo sicuro perchè, di fatto, tutte le domande saranno inammissibili, non verranno nemmeno esaminate”. La previsione del giurista è che l’Italia e gli altri paesi del bacino mediterraneo vorranno ritenere paesi sicuri stati come il Camerun, il Niger, la Tunisia, cioè le rotte più battute dai migranti. Questo comporta una completa esternalizzazione della domanda: “È il modello voluto da Blair nel 2003 che finalmente trova compimento, non si entra più nel merito della domanda di asilo, la regola generale sarà quella del respingimento”.
Un secondo punto critico, spiega Fachile, è il trattenimento dei migranti giunti illegalmente negli hotspot, luogo gravemente inidoneo e con pochissime risorse per l’assistenza alle persone migranti. Le nuove procedure, in linea con il decreto Piantedosi, ora diventano obbligatorie e consentono “la privazione della libertà personale dei migranti solo in forza di un atto amministrativo”. Secondo il giurista, la cosiddetta procedura di frontiera non sarà altro che un “trattenimento di massa per poi poter agire un allontanamento di massa”, considerato che l’Europa non prenderà più in carico la singola domanda dei richiedenti asilo. Fachile vede inoltre dei profili di incostituzionalità nel fenomeno del trattenimento extraterritoriale: “Quando siamo in zone di confine, di transito o di frontiera, il trattenimento dei migranti non è formalmente sul territorio europeo”, con conseguenze soprattutto sulla tutela dei diritti delle persone ristrette.
L’ultima questione, secondo Fachile “ambigua”, è la dichiarazione del Ministro Piantedosi riguardo la volontà da parte dell’Italia di non accettare i soldi, i 20mila euro a migrante, previsti dalle nuove regole del patto. “Non è vero che l’Italia non accetterà i soldi, li farà confluire nel cosiddetto fondo rimpatri. Ci sarà un’affluenza di milioni di euro in un fondo che non sarà sottoposto al controllo della Corte dei Conti; il rischio è che questi soldi, su iniziativa del ministero, andranno a finanziare aziende di foto segnalamento, di controllo militare e di armi”.
Il ministro insiste
Incurante dell’ecatombe in mare, Il ministro dell’Interno torna a parlare dell’emergenza migranti. “Per il governo fermare, o quantomeno limitare il più possibile, le partenze indiscriminate e illegali è sempre l’obiettivo principale. Nella consapevolezza, però, che si tratta di un obiettivo non sempre immediatamente a portata di mano”, ha detto il ministro in un’intervista a Il Domani.
Secondo Piantedosi, , “sui flussi migratori si stanno iniziando a cogliere timidi segnali incoraggianti”, tant’è che “i dati dimostrano un rallentamento delle partenze dal nord Africa” anche se “il complesso lavoro che stiamo facendo è destinato a produrre effetti significativi nel più lungo periodo”.
Quanto agli effetti della missione tunisina della premier Giorgia Meloni, per il ministro essa ha avuto “innanzitutto il merito di mostrare plasticamente l’importanza del lavoro che sta svolgendo il presidente Meloni anche in ambito europeo” ed è “la visione italiana del ‘piano Mattei’, con un approccio non predatorio nei rapporti con i paesi africani, che presuppone accanto alla collaborazione per frenare le partenze, anche un forte sostegno economico-finanziario”, quindi si tratta di “un grande successo del governo Meloni”.
Piantedosi affronta anche il tema del “tanto criticato” decreto Cutro che, a suo avviso, “ha permesso di rendere più ordinata la gestione della prima accoglienza, affinché tutto avvenga con doverosa umanità per le persone che arrivano”, ovvero “gettare le basi perché la collaborazione internazionale aiuti a fermare le partenze e nel frattempo organizzarsi sul territorio per gestire chi arriva” perché puntualizza e conferma il ministro, “per il governo fermare–o quantomeno limitare il più possibile le partenze indiscriminate e illegali è sempre l’obiettivoprincipale”.
Sull’ecatombe umana nel Mediterraneo, Piantedosi fa il contabile della morte: “Negli ultimi venti anni – afferma – ci sono stati innumerevoli naufragi prima di Cutroin varie parti del Mediterraneo. Questa ennesima tragedia conferma che i trafficanti di esseri umani fanno affari in maniera spregiudicata con totale disprezzo della vita dei migranti che sono esposti a rischi inaccettabili – afferma – L’Italia, insieme agli altri partner europei, sta lavorando per contrastare i trafficanti di esseri umani e rafforzare i canali di immigrazione regolari: uomini e donne che devono arrivare soltanto in maniera legale, sicura, pianificata, con strumenti di programmazione adeguati come il decreto flussi”.
Cosa dire. Il titolare della Farnesina è il campione della semantica della crudeltà. D’altro canto cos’altro c’era da aspettarsi da colui che ebbe a definire i migranti sui barconi “carichi residuali”.
A proposito del millantato “successo” tunisino
Da un lancio Ansa: “Abir Moussi, leader del Partito Destouriano libero (Pdl), formazione politica laica ispirata al Bourghibismo, ha annunciato tramite i propri canali social, l’organizzazione di una manifestazione “a difesa della sovranità della Tunisia e del suo popolo” per domenica prossima davanti al ministero degli Esteri della capitale.
L’annuncio arriva dopo una manifestazione del Pdl, tenutasi nei pressi dell’ambasciata d’Italia a Tunisi, riportata dall’agenzia di stampa Tap, in cui Moussi e i suoi sostenitori hanno protestato contro quello che definiscono un “accordo nascosto sotto il tappeto” tra Tunisia ed Europa sul tema migratorio.
In riferimento alla recente visita a Tunisi della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, del primo ministro olandese Mark Rutte e del presidente del Consiglio Georgia Meloni, Moussi ha denunciato “un accordo sull’immigrazione irregolare concluso nelle stanze buie”, dichiarando di essere “contro qualsiasi accordo sull’immigrazione irregolare concluso dallo Stato tunisino nelle camere oscure, i cui contenuti e clausole non siano resi pubblici”, riporta la Tap”.
Chiosa finale: con tutto il rispetto, Signor Ministro. Si vergogni.
Argomenti: Migranti