Tunisia, altro che finanziarlo: l'Europa sanzioni il razzista di Tunisi
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Tunisia, altro che finanziarlo: l'Europa sanzioni il razzista di Tunisi

Per la caccia ai  migranti che ha scatenato, per i diritti umani che ha calpestato, per avere cancellato ogni traccia di quella “rivoluzione dei gelsomini” che, dodici anni fa, avea ridato dignità e speranza al popolo tunisino.

Tunisia, altro che finanziarlo: l'Europa sanzioni il razzista di Tunisi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

28 Giugno 2023 - 16.04


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Altro che finanziarlo. Occorre sanzionarlo.  Per la caccia ai  migranti che ha scatenato, per i diritti umani che ha calpestato, per avere cancellato ogni traccia di quella “rivoluzione dei gelsomini” che, dodici anni fa, avea ridato dignità e speranza al popolo tunisino.

Sotto osservazione

Amnesty International, Human Rights Watch, International Commission of Jurists e International Service for Human Rights hanno sollecitato il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, la cui 53ma sessione è in corso, a occuparsi del deterioramento della situazione dei diritti umani in Tunisia.

In particolare, le quattro organizzazioni per i diritti umani hanno chiesto al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite di premere sulle autorità tunisine affinché ponganofine al giro di vite nei confronti del dissenso pacifico e della libertà d’espressione, annullino le accuse nei confronti di coloro che sono sotto processo solo per aver esercitato pacificamente i loro diritti umani e li scarcerino, avviino un’indagine imparziale, esaustiva, indipendente e trasparente sull’ondata di violenza contro migranti, richiedenti asilo e rifugiati dell’Africa subsahariana, processino i presunti responsabili e forniscano riparazione e accesso alla giustizia alle vittime delle violazioni dei diritti umani.

Negli ultimi due anni la situazione dei diritti umani in Tunisia è significativamente peggiorata. Le garanzie sull’indipendenza del potere giudiziario sono state annullate, giudici e pubblici ministeri sono stati arbitrariamente licenziati e l’esecutivo ha interferito sempre più nei procedimenti penali. Avvocati vengono processati solo per aver svolto le loro attività professionali e per l’esercizio del loro diritto alla libertà d’espressione.

Dal febbraio 2023 sonoalmeno 48 le persone arrestate e indagate, in assenza di prove credibili di qualsiasi reato, per la loro opposizione politica o per aver criticato il presidente tunisino Kais Saied. Sono accusati di cospirazione contro lo stato, minaccia alla sicurezza nazionale e, in almeno 17 casi, di reati di terrorismo ai sensi della legge antiterrorismo del 2015.

Inoltre, col pretesto di “contrastare reati riguardanti i sistemi dell’informazione e della comunicazione”, che il Decreto legge 54 punisce con pene fino a 10 anni di carcere e multe elevate, almeno 13 tra giornalisti, oppositori politici, avvocati, difensori dei diritti umani e attivisti sono sotto indagine e potrebbero essere rinviati a processo.

Il 23 giugno Volker Turk, Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha chiesto alle autorità tunisine di porre fine alle limitazioni alla libertà di stampa e alla criminalizzazione dei giornalisti indipendenti”.

Un appello da rilanciare

Sostenitori e amici dei leader dell’opposizione tunisina incarcerati, lanciano appelli al Regno Unito, all’Unione Europea e agli Stati Uniti affinché impongano sanzioni al presidente Kais Saied, responsabile, denunciano, di arresti e torture contro “chiunque sia considerato critico nei confronti del suo governo”. Chiedono anche misure internazionali contro il ministro dell’Interno Kamal Feki, la ministra della Giustizia Leila Jaffel e il ministro della Difesa Nazionale Imed Memmich.

“Abbiamo chiesto qui al governo nel Regno Unito di imporre sanzioni a queste persone. Abbiamo fatto lo stesso anche nell’Unione Europea, al Parlamento europeo ed è stata intrapresa un’iniziativa negli Stati Uniti”, ha detto al portale Middle East Eye, l’avvocato a Londra delle famiglie degli incarcerati. “Se le sanzioni verranno imposte – ha aggiunto – queste persone non potranno più viaggiare e continuare le loro attività commerciali in tutto il mondo. I loro conti bancari e quelli dei loro associati e delle loro aziende saranno rintracciati e congelati e non potranno effettuare transazioni nei nostri Paesi come se tutto fosse normale”.

Negli ultimi mesi, Saied ha intrapreso quella che Amnesty International descrive come una “caccia alle streghe politicamente motivata”. Le autorità tunisine che hanno arrestato decine di attivisti politici, giudici e avvocati. Sono stati detenuti diversi esponenti dell’opposizione tra cui Said Ferjani, l’ex ministro della Giustizia Noureddine Bhiri e l’ex Pubblico ministero Bechir Akremi.

Ferjani, 68 anni, è stato arrestato senza un mandato di cattura il 27 febbraio. Non è accusato di alcun reato e all’inizio di quest’anno ha iniziato uno sciopero della fame in segno di protesta contro la sua detenzione. Bhiri è stato violentemente prelevato dalla sua casa il 13 febbraio e successivamente è comparso in tribunale con una spalla slogata. Akremi è stato arrestato il 12 febbraio e portato in un luogo sconosciuto. La richiesta di sanzioni arriva anche in seguito all’arresto, avvenuto il 17 aprile, dell’ex presidente del Parlamento e leader del partito Ennahda, Rached Ghannouchi.

La Tunisia è in una crisi politica profonda dall’estate del 2021, quando Saied ha sospeso il parlamento e sciolto il governo. Dopo l’ascesa al potere, il presidente ha scelto di governare per decreti, una mossa che gli oppositori hanno denunciato come un “colpo di stato costituzionale”.

La nazione nordafricana ha tenuto elezioni parlamentari lo scorso dicembre, che i gruppi per i diritti umani e gli avversari politici di Saied hanno definito “una farsa”. Poco più del 10% degli elettori aventi diritto si sono recati alle urne. Negli ultimi mesi, l’opposizione è molto cresciuta anche a causa di riforme economiche impopolari, tra cui tagli alla spesa pubblica e la riorganizzazione delle società pubbliche.

I tunisini sono stati colpiti duramente dalle conseguenze della guerra in Ucraina che hanno causato all’aumento dei prezzi degli alimenti e la carenza di beni di prima necessità come zucchero, olio e riso”.

Tunisi alza un muro

“La Tunisia esprime il suo inequivocabile rifiuto alla dichiarazione rilasciata ieri dall’Alto Commissario per i diritti umani” relativa alla sua “profonda preoccupazione” per gli attacchi alle libertà in Tunisia e in particolare alla libertà di stampa.

In una nota del ministero degli Esteri “la Tunisia sottolinea che la libertà di espressione e di opinione è garantita dalla Costituzione e sancita dalla realtà e che i procedimenti legali così come gli arresti menzionati nel comunicato stampa del Commissario sono stati decisi sulla base di atti che la legge tunisina punisce e non hanno nulla a che fare con l’esercizio della libertà di espressione.

Questi arresti sono avvenuti nel pieno rispetto delle garanzie legali e delle procedure in vigore in Tunisia”. “La Tunisia sottolinea inoltre che i cittadini non si aspettano che nessuna delle parti valuti la propria situazione interna e come applicare la propria legislazione, invitando tutti i suoi partner e le parti a rispettare la volontà e le scelte del popolo tunisino e ad astenersi da qualsiasi tentativo di interferire nei suoi affari interni o influenzare il corso della giustizia”. 

Altro che rispetto degli standard minimi di democrazia. L’autocrate di Tunisi sbatte la porta in faccia a chiunque osi dire la verità. E poi alza il prezzo del suo ricatto all’Europa: più soldi, tanti di più, per fare il “gendarme” del Mediterraneo. Erdogan ha fatto scuola.

Il pianto del pescatore

«Invece di prendere dei pesci, qualche volta restano impigliati dei corpi umani nella rete. Prima mi spaventavo, ora mi ci sono abituato. Quando trovo un corpo è come quando tiro su i pesci. Una volta però ho trovato persino quello di un neonato: come può un bambino essere responsabile di qualsiasi cosa? Quella volta non sono riuscito a trattenere le lacrime». Oussama Dabbebi è un pescatore tunisino di 30 anni, e lavora con la sua barca a Sfax da quando ne aveva dieci. A raccontare la sua storia, già rilanciata da vari media tunisini, è la britannica Bbc.

L’uomo rende conto di un’altra faccia del fenomeno migratorio: la fine che fanno i dispersi, ossia coloro che tentano di raggiungere l’Italia affidandosi a barchini pericolanti, privi di sistemi di sicurezza, e spesso affondano senza la garanzia di ricevere soccorso. Le Nazioni Unite riferiscono che dal 2014 almeno 18mila persone avrebbero perso la vita, ma secondo le organizzazioni per i diritti dei migranti i numeri sarebbero molto più alti, dal momento che non sempre si conosce l’esatto numero delle persone coinvolte dei naufragi, oppure non si ha proprio notizia dei disastri. L’ultimo è avvenuto al largo della Grecia tra il 13 e il 14 giugno, quando un peschereccio è affondato almeno sette ore dopo aver lanciato l’allarme. Secondo i testimoni, a bordo c’erano almeno 700 persone, solo 104 quelle tratte in salvo.

«In soli tre giorni ho ritrovato 15 corpi», continua Dabbebi, aggiungendo che i trafficanti che organizzano questi viaggi «continuano a offrirmi cifre inimmaginabili per avere la mia barca. Ma io dico di no: se con la mia barca della gente dovesse annegare, io non me lo perdonerei mai».

L’organizzazione Euromed Rights riporta che il 30 maggio in un naufragio al largo della Tunisia sono morte 13 persone delle 41 che si erano imbarcate. I sopravvissuti sono stati riportati in Tunisia. Save the Children avverte invece che una ragazza su tre che ha lasciato il suo Paese alla volta della Libia, della Tunisia o del Marocco ha subito abusi sessuali o altre forme di violenza durante il viaggio.

Da un report dell’agenzia Dire: “Neanche la storia dei pescatori che in Tunisia tirano su con le reti i corpi senza vita dei migranti smuove il dibattito politico sull’emergenza: abbiamo scoperto che per la disperazione alcuni si fanno costruire barchini con lamiere di metallo. Si parla tanto delle cifre, ma nessuno pensa ad aiutare le persone che stanno dietro a quei numeri“. Alaa Talbi è direttore del Forum tunisino per i diritti economici e sociali (Ftdes) e all’agenzia Dire mostra la foto di quella che sembra una barca in metallo adagiata su un prato. Non è chiaro se sia stata utilizzata, ma di certo è emblema di ciò che lui definisce “una crisi umanitaria“. L’occasione dell’intervista è la testimonianza di un pescatore che alla Bbc ha raccontato di come “pescare corpi” sia diventata la prassi, e che una volta il mare gli avrebbe restituito anche quello di un neonato.


Le partenze dalla Tunisia, che nell’ultimo anno sono aumentate a causa delle conseguenze economiche della pandemia di Covid prima, e della guerra russo-ucraina poi, riguardano “soprattutto i tunisini – continua l’esperto – ma anche i migranti subsahariani, sebbene questi ultimi continuino a partire soprattutto dalla Libia. Vogliono raggiungere l’Italia perché la situazione economica qui è catastrofica” spiega Talbi, denunciando che sebbene le cifre ufficiali indichino la disoccupazione al 16%, “i giovani sono molto più colpiti, soprattutto i diplomati e i laureati. Lo Stato da anni non assume e anche il settore privato è fermo“. Anche per chi ha un lavoro è sempre più difficile arrivare a fine mese, a causa dell’impennata dei prezzi causata dalla crisi del grano, del carburante e dei fertilizzanti.


Per questa ragione le organizzazioni come il Ftdes hanno lanciato un appello alla comunità internazionale: “gli Stati devono stanziare fondi per la Tunisia per sostenere le persone, affinché più nessuno sia costretto a rischiare la vita in mare. Ma purtroppo al governo arrivano soldi solo per militarizzare le frontiere e per rafforzare la Guardia costiera“. Il dirigente avverte che da quando Italia e Francia hanno rafforzato la cooperazione con il governo del presidente Kais Saied, la guardia costiera tunisina da gennaio a maggio è riuscita a riportare a terra 18mila persone, una cifra “enorme: dal 2011 al 2021- continua Talbi- sono stati 25mila“.
Aver scongiurato eventuali naufragi sarebbe una buona notizia, se non fosse che “emigrare attraverso vie irregolare in Tunisia è reato, quindi una volta riportate a riva le persone vengono arrestate e incarcerate. D’altro canto non esistono leggi o piani per assistere le persone in difficoltà. Ecco perché chiediamo aiuti dall’estero. Non basta finanziare le guardie costiere“.


Secondo Talbi, “la disperazione continuerà sempre a incoraggiare le partenze: una volta abbiamo incontrato una donna del Ghana con due bambini che ha tentato sette volte di raggiungere l’Europa via mare“. Lei, come in generale i subsahariani, “in Tunisia subiscono anche razzismo. Ci dicono che morire qui o in mare non fa più differenza, sono disposti a tutto per andarsene“. Anche, forse, a pagare un fabbro per saldare lamiere di metallo con cui ricreare una barca che non galleggerà mai: “Sembra assurdo, ma ci provano“, conclude l’esperto”.

Tutto questo è pubblico, conosciuto, documentato. Denunciato. Ma la presidente del Consiglio tira dritto per la sua strada: quella securista, che ha come unico obiettivo l’esternalizzazione della frontiere e la ricerca di “gendarmi” che, finanziati e armati, facciano il lavoro sporco (i respingimenti) al posto nostro. Come l’autocrate razzista di Tunisi.

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