Ma quale Europa unita, minimamente solidale, può essere pensata, costruita, mantenuta in vita quando uno dei capi di uno dei 27 stati membri se ne esce fuori proclamando: “E’ guerra sulla migrazione, lottiamo per la libertà”!
E quale Europa politicamente fattiva, e pensabile quando resta sul tavolo il vincolo dell’unanimità che i securisti dell’Est, una volta sodali di Giorgia Meloni, brandiscono come arma di ricatto per bloccare o annacquare decisioni a loro sgradite.
Perché questo sta avvenendo al Consiglio europeo. Si cerca in queste ore di raffazzonare uno straccio di dichiarazione finale che copra l’ennesimo fallimento.
Tra veti, ricatti, chiusure sovraniste, l’Europa sta morendo. Muore l’Europa dei suoi padri fondatori, di quei principi e valori che ne disegnarono il profilo.
Volano gli stracci
I lanci di agenzia resocontano che il Consiglio europeo, nella sua seconda e ultima giornata di lavori, riparte dal tema migranti. Sul tavolo la bozza di conclusioni, stilata da ministri e diplomatici, a cui si sono opposte Polonia e Ungheria sia nella forma, chiedendo che sul tema ci sia unanimità, sia nella sostanza contestando la solidarietà obbligatoria prevista dal nuovo Patto. È stata invece approvata la parte riguardante l’Ucraina e la sicurezza e la difesa. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, a quanto si apprende, ha incontrato stamattina nella sede della delegazione italiana il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki e il suo omologo ungherese Viktor Orban per un tentativo di mediazione.
Il Patto per le migrazioni e l’asilo, raggiunto l’8 giugno scorso dai ministri dell’Interno, prevede l’obbligo di solidarietà, con ricollocamenti o – in alternativa – il versamento di compensazioni. L’accordo era stato approvato a maggioranza qualificata, con già la contrarietà di Varsavia e Budapest. I due leader, il polacco Mateusz Morawiecki e l’ungherese Viktor Orban, premono sull’unanimità: secondo loro le questioni che riguardano le migrazioni non possono essere approvate solo a maggioranza, sulla base delle conclusioni del vertice di giugno 2018. Tuttavia, anche secondo l’opinione degli uffici giuridici del Consiglio, le conclusioni di un vertice non possono sostituire il testo dai Trattati (che sulla migrazione permettono di legiferare a maggioranza qualificata). L’accordo andrà negoziato con il Parlamento e una volta trovato un compromesso sarà necessario un nuovo voto finale al Consiglio Affari interni. Per questo i due Stati insistono sull’unanimità: potranno ancora dire la propria ed eventualmente bloccare l’approvazione finale.
Orban:”E guerra sulla migrazione, lottiamo per la libertà”
“Era in corso una guerra sull’immigrazione”, ha dichiarato il premier ungherese Viktor Orbán, in un’intervista a Kossuth Radio, dopo la lunga notte al Consiglio europeo. “Non una rivolta, ma una lotta per la libertà”, ha detto Orbán, ricordando le conclusioni dei vertici passati secondo cui le decisioni in materia sarebbero state prese con il consenso degli Stati. Nonostante ciò, ha osservato, la proposta sulle quote obbligatorie di migranti è stata approvata dai ministri dell’Interno Ue con quello che Orbán ha definito un “colpo di mano”.
Morawiecky: “La Polonia sa molto bene cos’è la solidarietà”
La posizione del premier polacco Morawiecki è chiara: “No all’immigrazione clandestina, no all’imposizione di sanzioni pecuniarie o a sanzioni varie”. Il piano di Varsavia – ha spiegato – “è un no all’abbandono della regola dell’unanimità e un sì alla sovranità, alla sicurezza, soprattutto a quella dei confini polacchi, delle strade polacche, delle città e dei villaggi polacchi. Ma ovviamente auguriamo lo stesso ai nostri amici europei”. “La Polonia – ha aggiunto – sa molto bene cos’è la solidarietà e non abbiamo bisogno che ci venga insegnata. Abbiamo accolto oltre tre milioni di rifugiati. Un milione e mezzo sono ancora nel nostro Paese. Abbiamo aperto case polacche”. Eppure, ha sostenuto Morawiecki, “nel caso dell’Ucraina, la Polonia ha ricevuto scarso sostegno: alcune decine di euro per rifugiato. Nel caso di un rifugiato non accettato dal Medio Oriente, dobbiamo essere puniti con una multa di 20 mila euro o più. Non siamo d’accordo”.
Un cortocircuito nel cuore delle famiglie sovraniste.
Scrive Francesco Olivo, inviato de La Stampa a Bruxelles: “La premier italiana, che ha incontrato Morawiecki e Orban provando a mediare, infatti, è stata appena rieletta presidente dei Conservatori, il gruppo di destra al Parlamento Europeo del quale fa parte anche il partito del capo del governo polacco.
Dentro Fratelli d’Italia c’è in fondo comprensione per le posizioni di Varsavia, la Polonia ha accolto milioni di profughi ucraini senza vedere un grande sostegno europeo e ora dunque l’atteggiamento di chiusura verso la redistribuzione dei migranti viene considerato tutto sommato giustificato. È vero, però, che bloccare l’accordo sulla riforma del Regolamento di Dublino è un danno evidente agli interessi italiani.
Ma il tema è anche se possibile più ampio: a giugno 2024, infatti, ci saranno le elezioni europee e il progetto dichiarato di Giorgia Meloni è arrivare a un accordo con i popolari guidati da Manfred Weber e dalla stessa presidente della commissione Ursula von der Leyen, magari escludendo i socialisti dalla Commissione (per ora i numeri dicono che è impossibile). I conservatori però non potranno sicuramente fare a meno della componente polacca. E quindi come coniugare le posizioni rigide sull’immigrazione (ma non solo) del Pis di Morawiecki, con quelle completamente diverse di buona parte dei partiti che che fanno parte del Ppe a partire da Forza Italia?
Contraddizioni e ostacoli al progetto di replicare il modello italiano a Bruxelles un governo di centro-destra anche nella Ue. Ieri Antonio Tajani, vice premier e ministro degli Esteri ma soprattutto dirigente dei popolari ha incontrato i suoi partner a Bruxelles. Le difficoltà nel portare avanti la strategia di alleanza con i conservatori però sono emerse poco e ore dopo dentro la sala del Consiglio”
Il baciamano e le “coltellate”
Annota Dario Prestigiacomo su EuropaToday: “Sembrava un summit interlocutorio, destinato a finire persino in anticipo rispetto al classico programma di due giorni. Ma proprio quando i lavori sembravano arrivare a conclusione, Polonia e Ungheria hanno deciso di mettere da parte le loro divisioni sull’Ucraina, e di fare un fronte unico per bloccare la riforma delle regole Ue sui migranti sul tavolo del vertice di Bruxelles. Un ostruzionismo, quello di Varsavia e Budapest, che era nell’aria. E che dimostra come sul tema la destra europea riesca a trarre giovamento nei consensi in patria, ma abbia difficoltà ad avere una linea comune in Europa.
La riforma di Dublino
La riforma, il cosiddetto Patto Ue su migranti e asilo che dovrebbe sostituire il regolamento di Dublino, prevede tra le altre cose un meccanismo di solidarietà obbligatoria: se un Paese europeo si trova ad affrontare un afflusso straordinario di migranti, scatta il ricollocamento dei richiedenti asilo negli altri Stati membri. Chi si rifiuta di accogliere la propria quota, stando alla riforma, dovrà pagare una sorta di penale. Il meccanismo è stato approvato lo scorso 9 giugno dai ministri degli Interni nel corso di un vertice in Lussemburgo, sbloccando di fatto lo stallo sulla riforma. Su 27 presenti, in 25 hanno dato il loro ok, tra cui l’Italia. Contro, per l’appunto, Polonia e Ungheria, ossia due governi politicamente molto vicini a Meloni.
Se il leader ungherese Viktor Orban ha a più riprese sottolineato la sua amicizia con la premier italiana (e nel corso del vertice Ue, il capo del governo polacco, Mateusz Morawiecki, è l’alleato principale di Meloni all’interno dell’Ecr, il partito dei conservatori europei che sta conquistando sempre più potere in giro nell’Ue. Oltre che in Italia e Polonia, i membri dell’Ecr sono al potere in Repubblica ceca e in Svezia. Mentre a Bruxelles i rapporti tra i conservatori e i popolari del Ppe (il principale partito europeo, nonché asse portante moderato del centrodestra) sono sempre più stretti (in particolare quando si tratta di mettere il freno alle politiche ambientali). Sui migranti, però, la spaccatura tra Varsavia e Budapest da un lato, e il resto della destra dall’altro è evidente. Tanto che c’è chi parla di tensioni tra Meloni e Morawiecki (anche sulle future alleanze post elezioni europee 2024).
Tensioni smentite dal premier polacco: “Abbiamo ottimi rapporti con la premier italiana – ha assicurato ai giornalisti arrivando al summit di Bruxelles – Potremmo avere interessi diversi, ma elaboriamo soluzioni che servono a tutti”. Non sui migranti, però. “In questo caso, sottolineo con forza che difenderemo sicuramente il diritto della Polonia di garantire che non solo il nostro sistema politico, ma soprattutto tutti i parametri relativi alla sicurezza siano nelle nostre mani”, ha avvisato, prima di lanciare quella che sembra una piccola stoccata a Meloni: “Guardate cosa sta succedendo nei sobborghi di Malmo” o a “Parigi, Marsiglia, Lille, o anche in Italia. Il trasferimento forzato (di richiedenti asilo da un Paese Ue all’altro, ndr) non sarà consentito finché ci saremo noi al governo”.
Il dossier Tunisia
Il blocco di Varsavia e Budapest sulla riforma di Dublino è senza dubbio più una mossa dettata da ragioni di consenso interno (in autunno, i polacchi andranno al voto). Difficilmente l’accordo sul Patto Ue sui migranti verrà rivisto a livello di governi: l’iter legislativo andrà avanti, passando dal Parlamento, per poi tornare al tavolo dei leader europei, dove basterà una maggioranza qualificata per l’approvazione definitiva (ossia non saranno necessari i voti di Polonia e Ungheria). Per l’Italia, l’importante è che l’ostruzionismo di Orban e Morawiecki non metta a repentaglio i passi avanti sulla cooperazione tra Ue e Tunisia, dossier ancora più caro a Meloni della riforma. Non a caso, la premier ne ha fatto una bandiera arrivando al summit. Meloni ha ricordato la missione a Tunisi insieme alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. La stessa che qualche giorno dopo ha presentato ai governi Ue un piano per aumentare il bilancio di Bruxelles da qui al 2027, inserendo tra le ragioni dell’aumento la necessità di destinare 12 miliardi in più per la migrazione. Risorse che dovrebbero servire a stipulare accordi di cooperazione con i Paesi terzi per bloccare i flussi di migranti irregolari. Il piano piace alla premier italiana, tanto più se attuato a partire dalla Tunisia. Per Meloni, l’accordo di cooperazione con Tunisi “su cui sto lavorando” insieme all’Ue dovrebbe costituire un “modello” anche per i rapporti con “altri Paesi” di origine e di transito dei migranti, ha detto rivolgendosi ai colleghi al summit”.
Le stragi occultate
A rivelarne l’ennesima è Nello Scavo su Avvenire: “Il 26 febbraio sulle spiagge di Cutro un centinaio di profughi affogavano nell’attesa di un soccorso troppo a lungo rimandato. Quella notte un’altra strage di migranti è avvenuta sulla rotta Libia-Italia, senza che le autorità lo abbiano mai rivelato: almeno 67 morti di varia nazionalità, in maggioranza pachistani.
Nel silenzio di Libia, Malta, Italia e Ue, la conferma è arrivata da Islamabad, dove l’Agenzia Federale di Investigazione (Aif) del Pakistan ha scoperto una rete di contrabbando di esseri umani composta da almeno una dozzina di membri. Il capobanda è stato arrestato e le sue tracce portano dritto in Italia attraverso la Libia. Il boss era Saeed Sunyara, che gestiva la rete di trafficanti con l’aiuto dei suoi due figli: uno era stato segnalato nel nostro Paese, l’altro in Cirenaica. Con loro almeno altre 10 persone gestivano la filiera del contrabbando di esseri umani.
Fonti in Pakistan hanno confermato l’operazione internazionale, con l’ausilio dell’intelligence italiana e di altri Paesi. Il clan è stato individuato dopo che il 26 febbraio 67 migranti hanno perso la vita al largo delle coste libiche. Alcuni familiari delle vittime, spiega il quotidiano pachistano “The Express Tribune”, quando hanno appreso della tragedia si sono rivolti alla polizia pachistana, che ha fatto scattare l’inchiesta. La tragedia sarebbe avvenuta al largo di Bengasi, in Cirenaica. Alcuni dei corpi sono stati recuperati nei giorni successivi e i superstiti tutti riportati in un campo di prigionia sotto il controllo degli uomini del generale Haftar.
Gli investigatori di Islamabad hanno inizialmente raccolto 15 denunce depositate dai parenti delle vittime. A quel punto quattro team investigativi hanno raggiunto i villaggi nel distretto di Gujrat, nella regione del Punjab dove hanno rintracciato altri congiunti dei migranti. Secondo le testimonianze raccolte, il viaggio era cominciato quattro mesi prima. Attraverso varie tappe il gruppo aveva raggiunto l’Egitto e attraversato il poroso confine con la Libia, dove sono stati condotti in alcuni centri clandestini in Cirenaica. Nella regione costiera della Libia gli uomini di Haftar utilizzano le partenze dei migranti per fare pressione sui governi europei e regolare partite internazionali e faide interne.
Alcuni media pachistani riportano i commenti dell’Agenzia federale di investigazioni che ha confermato di avere chiesto e ottenuto assistenza dalle autorità italiane, mentre è in corso la procedura per l’emissione dei “red notice”, gli avvisi dell’Interpol in campo internazionale per altri sospettati. L’indagine riguarda anche un procedimento per riciclaggio di denaro per il quale è stato disposto il congelamento dei conti dei principali indagati”.
Così Scavo.
Ecco la “battaglia di libertà” evocata da Orban. Libertà di far morire i migranti in mare o chiusi in un tir sulla rotta balcanica.