Europa, ferma quel pogrom contro i migranti subsahariani.
Un pogrom di Stato.
L’appello
L’Ong Forum tunisino per i diritti economici e sociali (Ftdes), e oltre 20 altre Ong locali e internazionali, hanno denunciato in una nota congiunta che le forze di sicurezza tunisine stanno procedendo a “deportazioni forzate” di migranti.
Secondo la nota “un gruppo di 20 migranti e richiedenti asilo provenienti dall’Africa sub-sahariana è stato deportato al confine tunisino-libico (vicino a Ben Guerdane) la mattina del 2 luglio da soldati e agenti della Guardia nazionale tunisina. Il gruppo ha bisogno di assistenza urgente. In totale, il gruppo comprende sei donne (tra cui due incinte di cui una vicina alla data del parto), una ragazza camerunese di 16 anni e 13 uomini.
Due degli uomini sono richiedenti asilo camerunesi registrati presso l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr). I membri del gruppo sono di nazionalità ivoriana, camerunese, maliana, guineana e ciadiana”. “Queste persone – secondo la nota – sono state arrestate per la prima volta sabato 1 luglio in una casa a Jbeniana, a circa 35 km da Sfax.
Affermano che le autorità (polizia, guardia nazionale e militari) hanno fatto irruzione nella casa in cui si trovavano.
Le autorità hanno arrestato le 48 persone presenti in casa e le hanno portate al commissariato di Jbeniana. I loro passaporti/documenti di identità sono stati esaminati e le informazioni registrate”. “La polizia avrebbe poi diviso le 48 persone in due gruppi. Il primo composto da 28 persone, con cui sono in contatto, non sa cosa sia successo all’altro gruppo. Il gruppo di 28 persone è stato trasferito a Ben Guerdane, dove secondo quanto riferito sono stati spostati tra tre basi della guardia nazionale e basi militari, picchiati e maltrattati prima di essere lasciati al confine libico”.
La Guardia nazionale ha arrestato otto persone (un ragazzo minorenne e sette uomini) e ha deportato le restanti venti persone in Libia. I loro cellulari sono stati rotti e i loro soldi rubati. Il 4 luglio, un secondo gruppo di 100 migranti e rifugiati è stato deportato nello stesso luogo verso il confine libico. Il gruppo comprende diverse nazionalità tra cui ivoriano, camerunese, guineano e comprende almeno 12 bambini (di età compresa tra 6 mesi e 5 anni).
“Queste espulsioni – scrivono le Ong – fanno eco ad altre espulsioni forzate effettuate tra Libia e Algeria e denunciate da migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana. A questo si aggiungono ondate di arresti e violenze contro migranti e rifugiati nei giorni scorsi nella città di Sfax. Le organizzazioni firmatarie denunciano le violazioni dei diritti umani subite da migranti, richiedenti asilo e rifugiati e chiedono alle autorità tunisine di fornire chiarimenti su questi fatti e di intervenire con urgenza per fornire cure di emergenza a queste persone.
Un report illuminante
E’ quello pubblicato dall’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale), uno dei più autorevoli think tank italiani di geopolitica: “È una vera propria “caccia all’uomo nero” quella in corso da giorni a Sfax, in Tunisia, dove le tensioni sociali tra la popolazione residente e i migranti subsahariani sono esplose in episodi di caos e violenze. I disordini nella seconda città del paese sono divampati dopo la morte di un tunisino, ucciso in un accoltellamento, del quale sono accusati tre migranti. È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: cittadini in rivolta hanno picchiato e cacciato i migranti subsahariani dagli appartamenti, spesso affittati in nero, costringendoli a lasciare la città in direzione della frontiera libica. Temendo per la loro incolumità, diverse centinaia di africani subsahariani si sono radunati alla stazione dei treni per fuggire, mentre (altri?) si sono barricati in casa per paura di essere aggrediti. Rapidamente i social network si sono riempiti di foto e video che documentano aggressioni e abusi. L’esplosione di violenze, che ha causato diverse decine di feriti tra cui donne e minori, avviene in un contesto di forti tensioni sociali nella città portuale tunisina, alle prese con un forte afflusso di migranti, notevoli difficoltà economiche e istituzioni incapaci di gestire il fenomeno. Ieri il governo ha rafforzato la presenza delle forze dell’ordine nel governatorato, ma secondo gli attivisti per i diritti umani, video circolati in rete mostrerebbero gli agenti costringere i migranti a salire su camion diretti alla frontiera libica. Centinaia di persone, tra cui donne e bambini, sarebbero state abbandonate in mezzo al deserto, a cavallo fra due frontiere.
L’incontro di due miserie?
Le tensioni tra residenti e migranti subsahariani non sono un fenomeno nuovo nell’est della Tunisia. A fine maggio, un cittadino beninese era stato accoltellato a morte da un gruppo di giovani tunisini durante un attacco contro 19 migranti in una casa di El Haffara, quartiere popolare di Sfax. Un mese dopo, diverse centinaia di persone avevano manifestato davanti alla prefettura, definendo la presenza dei migranti “una minaccia per l’incolumità” degli abitanti. “Sfax è il punto di incontro di due miserie, quella di una popolazione locale in grande difficoltà e quella dei migranti disperati in attesa di partire”, osserva Franck Yotedje, direttore dell’associazione umanitaria Afrique Intelligence. “Gli scontri avvengono perlopiù nei quartieri popolari, dove la popolazione vive in condizioni abbastanza precarie. Molti migranti irregolari scelgono questi quartieri perché possono avere un alloggio senza contratto”, spiega all’emittente France24. In un difficile contesto economico, aggravato dall’inflazione e dalla mancanza di lavoro, il numero crescente di migranti è un facile capro espiatorio. A peggiorare la situazione è intervenuta la retorica razzista del governo del presidente Kais Saied, che negli ultimi mesi ha cavalcato l’onda del malessere sociale.
Hub per le partenze via mare?
A rendere Sfax una meta attraente per i migranti è la vicinanza con l’isola di Lampedusa, situata a soli 200 chilometri, posizione che l’ha resa negli anni un hub di partenze verso l’Italia. Dopo la rivoluzione dei gelsomini del 2011, la città era diventata uno dei principali punti di partenza di migranti tunisini diretti in Europa. Oggi, molti di coloro che partono sono migranti provenienti dall’Africa subsahariana. Alcuni arrivano da paesi dell’Africa occidentale che non hanno bisogno di visto per entrare in Tunisia, altri entrano irregolarmente, soprattutto dai confini porosi con Algeria e Libia. Quando vengono intercettati in mare, i migranti vengono riportati a Sfax, dove le autorità li rilasciano in mancanza di altre soluzioni, alimentando il circolo vizioso della crisi migratoria. Data la natura stessa del fenomeno non ci sono dati certi circa il numero di africani privi di documenti presenti in Tunisia e a Sfax. Tuttavia, sembra fuori discussione il fatto che il loro numero sia aumentato negli ultimi mesi. Secondo le autorità tunisine, nei primi tre mesi del 2023 sono stati intercettati 14mila migranti, una cifra cinque volte superiore a quella dello stesso periodo del 2022.
L’Europa e un’intesa ambigua?
Una situazione, quella di Sfax, su cui pesa anche la responsabilità dello Stato e del presidente Saied, che nel gennaio 2023 ha destituito il governatore di Sfax, Fakher Fakhfakh, che non è stato ancora sostituito. Un mese dopo, a febbraio, il presidente ha pronunciato un discorso dai toni estremamente duri contro l’immigrazione irregolare, presentandola come una minaccia demografica per il paese, provocando un’esplosione di tensioni tra residenti e migranti in diverse località. Ieri, la sezione locale del potente sindacato Ugtt (Union générale tunisienne du travail) ha accusato Saied di aver aggravato il fenomeno dell’immigrazione clandestina “giocando al ruolo di poliziotto del Mediterraneo, intercettando i barconi di clandestini dell’Africa subsahariana e trasportandoli a Sfax”. A fare da sfondo alla crisi in corso c’è anche la prospettiva della firma di un accordo, , dai contorni non del tutto chiari, tra la Tunisia e l’Unione Europea che prevede stanziamenti per 900 milioni di euro in cambio dell’impegno di Tunisi a frenare le partenze. Nella trattativa con Bruxelles tuttavia, la Tunisia ha chiaramente fatto capire di non volersi occupare della gestione dei migranti per conto dell’Europa. Su questa ambiguità di fondo, mentre i negoziati vanno avanti e la crisi economica morde, gli episodi di razzismo e ghettizzazione nei confronti dei migranti si moltiplicano”.
Commenta Aldo Liga, Ispi Osservatorio Mena:“Gli scontri a Sfax rappresentano la temuta evoluzione dell’ondata d’odio e violenza contro studenti, lavoratori e persone in transito di origine sub-sahariana presenti in Tunisia. A colpire, in particolar modo, è la decisione delle autorità di allontanare centinaia di persone verso aree desertiche al confine con la Libia, una prassi che ricorda quella del governo algerino, accusato negli ultimi anni di espellere migranti ai confini con il Mali e il Niger. I fatti recenti di Sfax, incluse le espulsioni, sembrano in qualche modo discreditare ulteriormente l’ambizione europea di fare della Tunisia un centro di smistamento di migranti sbarcati sulle coste del vecchio continente. Questa crisi avviene poi sullo sfondo di una grave situazione economica (procrastinata dal mancato accordo con il Fmi e dai difficili negoziati per la firma di un memorandum d’intesa fra Tunisia e Unione Europea), e di una sempre più marcata erosione dello stato di diritto nel paese, nonché dello sfarinarsi della coesione sociale”.
Cambio di rotta
Ne scrive Alfonso Bianchi su EuropaToday: “L’Unione europea deve smettere di guardare dall’altra parte mentre migliaia di migranti muoiono in mare ogni anno e deve migliorare le sue operazioni di ricerca e salvataggio. È il monito che arriva dall’Agenzia dell’Ue per i Diritti Fondamentali (Fra), che ha invitato la Commissione, i Paesi membri e le agenzie comunitarie ad agire in fretta per prevenire future tragedie come il naufragio di migranti avvenuto a giugno al largo della Grecia.
In un rapporto pubblicato ieri , l’agenzia suggerisce una strategia per evitare altre morti in mare, suggerendo diverse azioni tra cui il potenziamento delle missioni di ricerca e salvataggio e indagini indipendenti su tutti i naufragi da portare avanti con il supporto di organismi specializzati in diritti umani. “Un’indagine rapida, efficace e indipendente sui naufragi crea trasparenza sul modo in cui sono stati gestiti. Inoltre, aiuta a identificare se le azioni o le omissioni delle autorità incorrano in responsabilità legali per non aver rispettato e protetto il diritto alla vita”, sostiene il report.
“L’annegamento di così tanti migranti – in media 8 al giorno lo scorso anno – è motivo di profonda vergogna per l’Europa. Non possiamo restare a guardare mentre persone innocenti muoiono in mare. Per una questione di diritto e di decenza, gli Stati membri dell’Ue devono migliorare la ricerca e il salvataggio e fornire percorsi legali per la sicurezza per prevenire le morti in mare”, ha dichiarato il direttore della Fra, Michael O’Flaherty. “Gli Stati membri dell’Ue devono migliorare gli sforzi di ricerca e salvataggio e fornire percorsi legali per la sicurezza per prevenire le morti in mare”, ha aggiunto il direttore. Il report afferma che le operazioni di ricerca e salvataggio “devono essere più efficaci per prevenire le tragedie”, sottolineando che “i governi e le imbarcazioni private hanno il dovere di assistere le persone e le imbarcazioni in difficoltà in mare”.
Il rapporto punta il dito, seppur senza nominarli, contro Paesi come l’Italia, la Grecia e Malta, che spesso e volentieri si rimbalzano la responsabilità dei salvataggi in mare per poi non doversi fare carico dell’accoglienza dei migranti. “La tendenza a ritardare la ricerca e il salvataggio è legata alla mancanza di solidarietà nella presa in carico delle persone sbarcate. In sostanza, lo Stato membro che soccorre i migranti in mare è responsabile della valutazione della loro richiesta di asilo e/o della procedura di rimpatrio. Ciò può scoraggiare o ritardare il salvataggio o lo sbarco”, afferma il report. Allo scopo di provare a ridurre questa tendenza l’Ue sta studiando una riforma dell’accoglienza, che impone una “solidarietà obbligatoria”, tra gli Stati membri che saranno tenuti o ad accogliere una parte dei migranti che sbarcano nei Paesi di primo approdo, o a versare in cambio dei soldi in fondi dedicati proprio alle politiche migratorie.
L’agenzia inoltre sostiene che i Paesi dovrebbero istituire un monitoraggio indipendente delle frontiere e garantire una migliore protezione dei sopravvissuti. Secondo la Fra i sopravvissuti a un naufragio che chiedono asilo dovrebbero avere una propria categoria nel diritto dell’Ue come richiedenti asilo con esigenze speciali. “Ciò incoraggerebbe tutti gli attori interessati a dare maggiore priorità a questa categoria di persone”, si legge nel report che afferma anche che “considerare i sopravvissuti ai naufragi come richiedenti con esigenze speciali può anche contribuire a facilitare l’accesso dei sopravvissuti ai servizi di assistenza alle vittime, alla protezione e agli altri diritti che le vittime di reato hanno diritto di ottenere in base al diritto dell’Ue, compresa l’effettiva partecipazione ai procedimenti penali”.
L’agenzia sostiene infine che i Paesi membri dovrebbero anche fornire percorsi legali alle persone che hanno bisogno di protezione, ad esempio promuovendo programmi di ammissione umanitaria o aprendo partenariati a migranti e rifugiati”.