Migranti, incensato dal ministro ma inchiodato dal magistrato: il caso Haftar
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Migranti, incensato dal ministro ma inchiodato dal magistrato: il caso Haftar

Il personaggio in questione è sempre lo stesso: il generale Khalifa Haftar. L’amico di Putin ma anche, incredibile ma vero, di Giorgia Meloni.

Migranti, incensato dal ministro ma  inchiodato dal magistrato: il caso Haftar
Khalifa Haftar
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

8 Luglio 2023 - 17.11


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Accolto in pompa magna a Palazzo Chigi dalla presidente del Consiglio. Incensato dal ministro dell’Interno. Mazzolato da un magistrato che il traffico di esseri umani lo conosce molto bene. 

Il personaggio in questione è sempre lo stesso: il generale Khalifa Haftar. L’amico di Putin ma anche, incredibile ma vero, di Giorgia Meloni.

La denuncia di Vella

“Le proiezioni ci dicono che potremmo attenderci più di 200mila arrivi di persone nel 2023, numeri mai visti finora”. Lo dice  Salvatore Vella, a capo della Procura di Agrigento che da anni indaga sul traffico di esseri umani nel Mediterraneo centrale pur disponendo di 7 magistrati effettivamente in servizio su 12 in organico. Al 7 di luglio il cruscotto statistico del Viminale segna 69.137 arrivi, contro i 30.862 dello stesso periodo del 2022. “Il fronte delle partenze si è allargato coinvolgendo ampiamente la Cirenaica e la Tunisia, come avevamo previsto. Con presenze e modalità che è impossibile sfuggano alle Istituzioni locali africane”, racconta il magistrato a Nello Scavo, inviato a Lampedusa per Avvenire. Inoltre dalle coste del Nordafrica partono anche migranti del Pakistan e del Bangladesh, che qualche tempo fa erano più frequenti sulla rotta balcanica e oggi atterrano direttamente in Libia per poi prendere il mare. “I trafficanti asiatici offrono veri e propri ponti aerei da quegli Stati alle coste africane in aereo”, spiega Vella. 

E parla in particolare della Cirenaica, territorio controllato dal generale Khalifa Haftar: “Riteniamo sia impossibile che le polizie di frontiera e le autorità che gestiscono questi scali non si avvedano di questi arrivi e non sappiano che fine facciano tutte queste persone, parliamo di decine di migliaia di migranti”.

Nel febbraio 2017 l’Italia ha firmato un memorandum con la Libia che comprende innanzitutto mezzi e finanziamenti per la cosiddetta guardia costiera libica. Ma sul fronte del contrasto ai trafficanti il procuratore reggente di Agrigento ricorda che non c’è alcuna cooperazione con le autorità giudiziarie in Libia. Peraltro, il lavoro di Agrigento ha contribuito alle indagini della Procura presso la Cortepenale internazionale. “È estremamente complicato talvolta distinguere gli uni dagli altri”, risponde Vella a Scavo, che domanda se tra gli indagati vi siano anche esponenti delle istituzioni locali. “Nel contesto libico è complicato distinguere tra bande criminali, milizie, gruppi armati, e quanti tra questi sono affiliati direttamente alle varie branche delle Istituzioni libiche”, spiega confidando negli strumenti della giustizia internazionale. Quanto alle condizioni nei campi di detenzione libici, descrive una situazione “terribile”. “Possiamo paragonarli ai “campi di prigionia e sterminio”, già visti in altri luoghi o epoche storiche. Luoghi nei quali avvengono abusi, torture, omicidi, violenze sessuali su donne, su uomini e sui bambini”.

C’è poi la Tunisia, che è ormai il primo Paese di provenienza dei migranti sbarcati in Italia. Commissione europea e Italia sono al lavoro per firmare un memorandum che comprenda cooperazione economica e collaborazione sul contrasto all’immigrazione irregolare. Nelle intenzioni il governo italiano, l’accordo dovrebbe rappresentare un modello, ma la firma annunciata per fine giugno,  sembra allontanarsi, mentre è sempre più probabile il default finanziario di un Paese che a breve non avrà più i soldi per i dipendenti pubblici e affronta tensioni sociali, anche tra la popolazione e i migranti subsahariani, vittime di deportazioni in Libia  mentre il presidente tunisino Kais Saied prende accordi sul controllo dei confini con il capo del Governo di unità nazionale libico, Abdulhamid Dabaiba. “Quello che sappiamo per certo, attraverso le numerose testimonianze che raccogliamo, è che tanti hanno deciso di raggiungere la Tunisia perché considerata meno pericolosa per i migranti rispetto alla Libia. Ma allo stato non possiamo escludere che questi “passaggi” da un Paese all’altro siano frutto anche di una joint-venture tra gruppi criminali nei due Paesi”, spiega Vella. “Sembra emergere come le partenze dalla Tunisia sono gestite da organizzazioni criminali tunisine, che si avvalgono dell’ausilio di “procacciatori di affari” di quelle etnie per reclutare migranti loro connazionali. Molte di quelle persone per raggiungere la Tunisia attraversano la Libia“. A conferma della situazione nel Paese, dove le partenze subsahariane hanno superato quelle dei tunisini, Vella ribadisce che “continuiamo a registrare migliaia di tunisini tra le persone che sbarcano a Lampedusa”.

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E infine le organizzazioni umanitarie sulle quali anche si è indagato in questi anni, a partire dalle ipotesi di collegamenti tra i trafficanti e le stesse Ong. La risposta è diretta: “Non abbiamo trovato alcuna traccia”. Poi precisa: “La nostra Polizia giudiziaria ha lavorato a fondo su tali teorie e non è mai stato trovato nulla di concreto”. Sul famoso pull factor, cioè l’ipotesi che la presenza delle Ong nel Mediterraneo diventi un fattore di attrazione per i migranti che partono dal Nordafrica, Vella attinge alla sua esperienza pluridecennale: “A governare le partenze nella maggior parte dei casi sono esclusivamente le condizioni meteomarine del Canale di Sicilia, unite alle condizioni socioeconomiche o politiche dei Paesi di partenza dei migranti, in continuo mutamento. Ciò che fa migrare gli uomini sono ancora la fame, la guerra e le malattie”. Ma, dice ricordando le parole di Papa Francesco a dieci anni dalla visita del Pontefice a Lampedusa, “noi nelle migliaia di persone che continuano a sbarcare a Lampedusa vediamo davvero le vittime della “globalizzazione dell’indifferenza” di cui parlava il Papa, oramai quasi non si versano più lacrime davanti agli scartati”.

L’amico libico di Prigozhin

Da un report di Agenzia Nova: “I mercenari russi del gruppo Wagner stanno lasciando la Repubblica Centrafricana. Lo rivela il portale locale “Obangui Medias“, secondo cui le partenze sono iniziate lunedì 3 luglio e sono proseguite nel corso degli ultimi giorni.

Gli uomini di Evgenij Prigozhin, fondatore del gruppo, avrebbero lasciato diverse località nel nord del Paese, in particolare Moyenne-Sido, città al confine con il Ciad. Il sito d’informazione non offre una stima del numero di paramilitari già partiti, ma cita fonti occidentali secondo cui almeno 500 uomini hanno lasciato la Repubblica Centrafricana per volare in Libia, tappa intermedia prima di raggiungere infine la Bielorussia. La stessa fonte stima in circa un migliaio i mercenari di Wagner ancora presenti nel Paese dell’Africa subsahariana, dove secondo il quotidiano francese “Le Monde” il gruppo avrebbe occupato in questi mesi non meno di 47 avamposti militari.

Le partenze dalla Repubblica Centrafricana giungono dopo la crisi che a giugno ha opposto gli uomini di Prigozhin alle forze armate regolari della Russia, con un potenziale colpo di Stato evitato all’ultimo da un accordo mediato dal presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko, che prevede tra le altre cose l’integrazione dei mercenari nei ranghi dell’esercito di Mosca. Il 26 giugno scorso il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha assicurato che Wagner continuerà ad operare in Mali e nella Repubblica Centrafricana, dove i paramilitari russi hanno la funzione ufficiale di addestratori.

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Il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, avrebbe mandato un proprio inviato a Bengasi, capoluogo della regione orientale libica della Cirenaica, per discutere con il comandante in capo dell’autoproclamato Esercito nazionale della Libia (Lna), Khalifa Haftar, delle sue “preoccupazioni” riguardo la situazione che la compagnia paramilitare privata Wagner sta affrontando, a seguito della sedizione armata dello scorso 24 giugno. Lo ha dichiarato un funzionario libico di alto livello al quotidiano britannico The Guardian. Il Cremlino intenderebbe dunque rassicurare Khalifa Haftar, che controlla una vasta regione dell’est della Libia, sul fatto che gli oltre di 2.000 combattenti e tecnici di Wagner rimarranno nel Paese. Il funzionario libico ha aggiunto che l’inviato russo avrebbe assicurato a Haftar che “non ci saranno problemi: potrebbero esserci alcuni cambiamenti ai vertici, ma il meccanismo rimarrà invariato: combattenti sul campo, uomini d’affari a Dubai, contatti e risorse per la Libia”.

Tali rassicurazioni giungono dopo gli interrogativi suscitati dalla sedizione armata inscenata dal gruppo Wagner, lo scorso 24 giugno. Da allora, infatti, in molti si interrogano sul futuro dei numerosi combattenti della compagnia, soprattutto in Africa, nonostante le dichiarazioni rilasciate lo scorso 30 giugno dal ministro degli Esteri russo sul fatto che qualsiasi decisione in merito alla presenza di combattenti del gruppo Wagner nei vari Paesi spetta esclusivamente ai rispettivi governi che con esso hanno firmato contratti. Secondo gli esperti, del resto, l’eventuale partenza dei combattenti di Wagner dall’Africa risulterebbe inaspettata, considerata l’importanza strategica che Putin attribuisce all’influenza geopolitica di Mosca nel continente, e in particolare in Libia”.

Il grido di Francesco

In questi giorni in cui stiamo assistendo al ripetersi di gravi tragedie nel Mediterraneo, siamo scossi dalle stragi silenziose davanti alle quali ancora si rimane inermi e attoniti.

La morte di innocenti, principalmente bambini, in cerca di una esistenza più serena, lontano da guerre e violenze, è un grido doloroso e assordante che non può lasciarci indifferenti.

E’ la vergogna di una società che non sa più piangere e compatire l’altro”. Papa Francesco, in occasione del decimo anniversario del suo viaggio apostolico a Lampedusa, ha affidato questo messaggio, dicendosi “vicino con l’affetto, la preghiera e l’incoraggiamento”, all’arcivescovo di Agrigento Alessandro Damiano. 
“Sono trascorsi 10 anni dal viaggio che ho voluto compiere nella comunità lampedusana per manifestare il mio sostegno e la paterna vicinanza a chi dopo penose peripezie, in balia del mare, è approdato sulle vostre coste – ha scritto il pontefice – Il consumarsi di sciagure così disumane deve assolutamente scuotere le coscienze. Dio ci chiede: ‘Adamo dove sei? Dov’è tuo fratello?’. Vogliamo perseverare nell’errore, pretendere di metterci al posto del Creatore, dominare per tutelare i propri interessi, rompere l’armonia costitutiva tra lui e noi? Bisogna cambiare atteggiamento. Il fratello che bussa alla porta è degno di amore, di accoglienza e di ogni premura. E’ un fratello che, come me, è stato posto sulla terra per godere di ciò che vi esiste e condividerlo in comunione”.

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La “logistica della crudeltà”.

Ne scrive Luca Pons per Fanpage: “Resta elevato il ritmo degli sbarchi di persone migranti in Italia a Lampedusa, e continua anche la linea del governo di assegnare alle navi di Ong che operano nel soccorso in mare dei porti sicuri distanti giorni e giorni di navigazione. Questa mattina è arrivata a Marina di Carrara la nave Geo Barents, gestita da Medici senza frontiere, che per arrivare in Toscana ha dovuto viaggiare per quattro giorni trasportando 197 persone soccorse nel Mediterraneo. Nel frattempo, la Open Arms è stata mandata al porto di Brindisi, a tre giorni di distanza, con 300 persone a bordo.

Geo Barents e Open Arms, in mare per giorni con centinaia di persone a bordo

La nave umanitaria Geo Barents, che tra il 3 il 4 luglio aveva soccorso 197 persone – 125 uomini, 11 donne e ben 60 minorenni, di cui 47 non accompagnati – è arrivata al porto di Marina di Carrara questa mattina. Sono stati quattro i giorni di navigazione necessari per arrivare alla banchina Taliercio. La cittadina si trovava a 1025 chilometri di distanza, nel momento in cui è arrivata l’assegnazione. Qui sono poi iniziate le operazioni sanitarie e di identificazione, come da protocolli. Le persone a bordo sono poi state trasferite al polo fieristico Marmo Macchine. Il personale di Medici senza frontiere ripartirà presto per nuove operazioni di monitoraggio e soccorso in mare.

Il ministero dell’Interno ha scelto una soluzione simile per la Open Arms, nave della Ong spagnola che peraltro oggi è coinvolta nella nuova udienza a Palermo per il processo in cui Matteo Salvini è imputato per sequestro di persona e rifiuto d’atti d’ufficio. Le persone soccorse in questo caso sono 300, con sei diverse operazioni di salvataggio. Secondo le stime dell’organizzazione “saranno tre giorni di navigazione in più per le persone soccorse a bordo”. Tra di loro ci sono anche “molti minori non accompagnati, donne in avanzato stato di gravidanza e un bambino di cinque anni”. Anche dove non agiscono direttamente le Ong umanitarie, ovviamente, gli arrivi continuano. Questa notte a Lampedusa sono sbarcate 224 persone, soccorse dalla Guardia costiera. Al momento, così, l’hotspot di contrada Imbriacola ospita quasi 1.500 persone a fronte di una capienza massima di poco meno di 400 posti. Ieri, sulla piccola isola, sono sbarcate circa trenta imbarcazioni diverse. Oggi continueranno i trasferimenti, il traghetto di linea Galaxy trasporterà circa 500 persone a Porto Empedocle come da disposizioni della Prefettura. Ieri sono state trasferite circa 600 persone. Sempre un intervento della Guardia costiera ha portato in salvo questa notte 53 persone migranti che si trovavano su una barca a vela, circa 100 miglia al largo del porto di Roccella Jonica. Gli uomini e le donne (dieci) a bordo erano di nazionalità afghana e iraniana. Sono stati trasportati nel porto calabrese, dove si trovano già circa 50 persone ricoverate, arrivate con viaggi precedenti. Chi è arrivato stanotte, invece, a quanto risulta si trovava in buone condizioni di salute, o perlomeno senza il bisogno di un intervento d’emergenza. Dall’inizio dell’anno a Roccella Jonica sono sbarcate circa 3.500 persone”.

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