Il "grande inganno del grano ucraino", svelato da Oxfam
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Il "grande inganno del grano ucraino", svelato da Oxfam

Il “grande inganno del grano ucraino”. A svelarlo, con la consueta puntualità e accuratezza documentale, è Oxfam

Il "grande inganno del grano ucraino", svelato da Oxfam
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

17 Luglio 2023 - 12.56


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Il “grande inganno del grano ucraino”. A svelarlo, con la consueta puntualità e accuratezza documentale, è Oxfam

Il “grande inganno”

 L’accordo che un anno fa aveva portato allo sblocco dell’export di grano dall’Ucraina al Mar Nero verso il resto del mondo si è rivelato del tutto inadeguato a fronteggiare l’aumento della fame globale,acutizzato dalla crescita esponenziale dei prezzi di cibo ed energia. Scioccanti i dati: i Paesi ricchi si sono accaparrati l’80% del grano e dei cereali usciti dall’Ucraina, mentre agli Stati più poveri e colpiti dalla crisi alimentare è andato appena il 3%.

 A rivelarlo è una nuova analisi di Oxfam, diffusa in occasione del mancato rinnovo del patto a causa dell’uscita della Russia.“L’accordo che ha consentito di riprendere le esportazioni di cereali dall’Ucraina ha certamente contribuito a contenere l’impennata dei prezzi alimentari –  aumentati comunque del 14% a livello globale nel 2022 – ma non ha rappresentato la soluzione alla fame globale che oggi colpisce almeno 122 milioni di persone in più rispetto al 2019 – rileva Francesco Petrelli, policy advisor sulla sicurezza alimentare di Oxfam Italia – Centinaia di milioni di persone soffrivano la fame prima che la Russia invadesse l’Ucraina e centinaia di milioni continuano a soffrire la fame oggi: 783 milioni in totale l’anno scorso, secondo i recentissimi dati FAO. Paesi come il Sud Sudan e la Somalia, a cui è andato appena lo 0,2% del grano ucraino dall’entrata in vigore dell’accordo, sono ad un passo dalla carestia. Tutto questo è semplicemente vergognoso e descrive un mondo in cui la disuguaglianza di accesso al cibo continua a crescere sempre di più invece che diminuire”.

Occorre ripensare radicalmente l’attuale sistema alimentare mondiale

Per combattere davvero la fame dobbiamo ripensare subito e radicalmente l’attuale sistema alimentare mondiale, a maggior ragione oggi che questo accordo non è più in discussione. – aggiunge Petrelli – La crisi attuale non si risolverà continuando a produrre in modo concentrato ed estensivo prodotti di prima necessità solo in alcuni Paesi, ma diversificando e investendo nei piccoli agricoltori soprattutto nei Paesi più poveri, promuovendo un modello agricolo sostenibile anche nei Paesi ricchi e in Europa, tra l’altro parte essenziale del Green Deal.  Solo così potremo venir fuori da una dipendenza che in tempi di shock sempre più frequenti genera fame e carestie nelle regioni più povere del nostro mondo”.

Senza vergogna

783 milioni di persone hanno sofferto la fame nel 2022, mentre 600 milioni di persone saranno cronicamente denutrite nel 2030. I numeri che emergono dal nuovo report Fao sullo “Stato della sicurezza alimentare e della nutrizione del mondo”, descrivono un’emergenza che sta divenendo sempre più strutturale. Il contesto globale indica dunque che le disuguaglianze e l’impatto della crisi climatica aumentano, con alcune regioni del pianeta come il Corno d’Africa, che pagano il prezzo più alto.

 È l’allarme lanciato da Oxfam, insieme ad un appello urgente ai Governi ad intervenire quanto prima per correggere le sempre più lampanti distorsioni di un sistema alimentare globale profondamente ingiusto, che consente a pochissimi di arricchirsi mentre di fatto uccide milioni di persone.

 “È semplicemente vergognoso che in un mondo di abbondanza e persino di grandi sprechi di cibo i Governi continuino ad anteporre gli interessi dei grandi colossi e dei miliardari dell’agroalimentare e dell’energia a quelli delle persone più vulnerabili, ampliando esponenzialmente le disuguaglianze tra pochi privilegiati e miliardi di persone che nella parte più povera del mondo non possono permettersi un’alimentazione adeguata o stanno letteralmente morendo di fame in questo preciso momento. – annota  Petrelli-.  Nel 2022 le grandi aziende alimentari ed energetiche hanno più che raddoppiato i loro profitti e da soli 18 tra i maggiori colossi del settore food and beverage hanno realizzato, in media nel biennio 2021-2022, oltre 14 miliardi di dollari all’anno di extraprofitti, con i prezzi medi dei prodotti alimentari che sono saliti del 14%. Ma cosa hanno fatto gli Stati più ricchi e influenti per correggere queste distorsioni? Purtroppo poco o nulla!”.

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L’impatto della crisi climatica sta superando la capacità di risposta umanitaria: l’emergenza in Corno d’Africa

L’impatto della crisi climatica e le distorsioni sempre più strutturali stanno superando la capacità di risposta del sistema umanitario nelle più gravi aree di crisi come il Corno d’Africa.

In Somalia, uno dei Paesi con meno responsabilità nell’accelerazione del cambiamento climatico (con solo lo 0,05% sul totale delle emissioni globali), si registra la più grave siccità degli ultimi 40 anni che sta portando 1 persona su 3 sull’orlo della carestia.

In tutta l’Africa orientale oltre 8 milioni di bambini sotto i cinque anni – quasi l’intera popolazione della Svizzera – e 36 milioni di persone in totale soffrono di malnutrizione acuta, con 1 persona ogni 28 secondi che nei prossimi mesi rischia di morire di fame. 

Per l’assenza di piogge negli ultimi 2 anni si sono inoltre perduti 13,2 milioni di capi di bestiame e migliaia di ettari di coltivazioni. Solo in Kenya, il costo economico della perdita di bestiame è stimato ad oggi in oltre 1,5 miliardi di dollari. In Etiopia e Somalia, l’agricoltura impiega rispettivamente il 67% e l’80% della popolazione, ma ampie porzioni dei terreni coltivabili dipendono esclusivamente dalla pioggia per essere produttivi. La conseguenza è che i prezzi dei beni alimentari sui mercati locali sono schizzati alle stelle, tantissime scuole in questi paesi vengono chiuse e le minime capacità di sussistenza non esistono più, causando sfollamenti di massa dalle zone rurali più colpite: 1,75 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case in cerca di acqua e cibo.

“Un’intera generazione di bambini denutriti nei Paesi a basso reddito oggi soffre di malattie croniche, non può andare a scuola o ci va con scarsi risultati, rischiando di non avere di fronte a sé un futuro”, aggiunge Petrelli.

 “Le soluzioni per porre fine alla fame nel mondo esistono, ma richiedono un’azione politica coraggiosa, coordinata e unitaria.– conclude Petrelli – Per questo chiediamo con forza ai Governi di finanziare interamente gli appelli dell’Onu per le emergenze umanitarie: per fronteggiare la crisi alimentare in Corno d’Africa nei prossimi mesi ad esempio è stato stanziato dai Paesi donatori un terzo di quanto necessario a salvare vite, appena 2,4 miliardi di dollari su 7. Assieme è cruciale realizzare politiche coerenti di carattere strutturale. In primo luogo sostenendo i piccoli produttori agricoli, promuovendo in particolare i diritti delle donne contadine nei Paesi in via di sviluppo, vera chiave di volta per la lotta all’insicurezza alimentare in molti Stati.  Allo stesso tempo è cruciale che vengano tassati gli extraprofitti conseguiti dalle grandi aziende negli ultimi anni in tutti i settori, a partire da quello agroalimentare ed energetico. Solo così si potranno garantire ai Paesi più poveri, le risorse necessarie ad affrontare adeguatamente l’impatto della crisi climatica e della crisi alimentare. Un’azione che deve essere abbinata alla cancellazione del peso del debito estero per gli Stati a basso e medio reddito e alla messa in campo di misure stringenti per bloccare chi sta speculando sul mercato globale, gonfiando i prezzi del cibo”. 

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Doppio standard

Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) con sede a Parigi, l’assistenza all’Ucraina nel 2022 è salita a 16 miliardi di dollari, rispetto a meno di un miliardo dell’anno precedente, mentre quella per l’Africa è scesa dell’8% a 29 miliardi di dollari.

“È la prima volta che sentiamo sulla nostra pelle le conseguenze di una guerra che è in corso dall’altra parte del mondo. Le guerre precedenti come Iraq, Libia e Pakistan non hanno avuto questo impatto sulla nostra vita quotidiana” dice Hibo Aden, responsabile dei diritti delle donne di ActionAid Somaliland

“Già prima della guerra la situazione era disastrosa: a causa della siccità nel Paese il costo dell’acqua era passato da 1 a 5 dollari per 200 litri, diventando un bene inaccessibile a molte famiglie. Con la guerra il prezzo del riso è quasi raddoppiato: per 25 kg prima si pagava 20 dollari ora ne servono 30.”  

In Corno d’Africa si spende il 60% del reddito per il cibo

In Africa orientale, rimarcava un Rapporto Oxfam relativo al 2022,  la popolazione sconta una fortissima dipendenza dalle importazioni di cibo, arrivando a spendere fino al 60% del proprio reddito per l’acquisto di prodotti alimentari. Ad esempio cibo e bevande rappresentano ben il 54% dell’indice dei prezzi al consumo in Etiopia, mentre appena l’11,6% nel Regno Unito.

In Italia, secondo le rivelazioni dell’Istat, a giugno dello scorso anno l’aumento su base annua dei prezzi di generi alimentari riferiti al cosiddetto “carrello della spesa” era pari all’8,3%, record dal 1986. In altre parole, mentre i Paesi ad alto reddito devono fronteggiare una preoccupante inflazione, l’Africa orientale ha a che fare con la fame e la povertà estrema.

La mappa della crescita fuori controllo dei prezzi

• In Somalia, in confronto al 2021, l’aumento del prezzo del mais a maggio era 6 volte superiore (+ 78%) rispetto alla crescita del prezzo medio globale (+ 12,9%). In alcune aree del paese la spesa alimentare è aumentata di oltre il 160% rispetto al 2021. Il prezzo di un chilo di sorgo, un alimento di base, è cresciuto di oltre il 240% rispetto alla media degli ultimi 5 anni.

• In Etiopia, i prezzi dei beni alimentari sono saliti in media del 43,9% rispetto allo scorso anno, con il costo dei cereali che a maggio era salito del 70%, più del doppio rispetto alla media globale.

• In Kenya il prezzo della farina di mais, ossia il principale alimento base della popolazione, è raddoppiato in 7 mesi. Facendo segnare un + 50% solo tra giugno e luglio. L’aumento dei prezzi di cibo ed energia farà crescere il numero di poveri del 2,5%, portando circa 1,4 milioni di kenioti alla povertà estrema.

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• In Sud Sudan i prezzi dei cereali a maggio sono triplicati rispetto allo stesso periodo nel 2021, mentre il prezzo del pane è raddoppiato. Il prezzo medio dei cereali è salito del 30%, rispetto alla media degli ultimi 5 anni.

“Mangiamo un po’ di riso una volta al giorno”

Uno degli epicentri dell’emergenza, assieme all’Etiopia, è la Somalia, dove da poco è stato dichiarato il “rischio di carestia” dalle Nazioni Unite. Quasi la metà della popolazione – oltre sette milioni di persone – soffre di malnutrizione acuta, e tra loro 213 mila sono rimaste letteralmente senza cibo.

Nel villaggio di Bundunbuto, nel Puntland, il potere d’acquisto delle famiglie da due mesi si è dimezzato: quanto bastava a comprare 25 kg di riso e zucchero, oggi è appena sufficiente per 13,5 kg.

“Mangiamo un po’ di riso una volta al giorno, mentre prima riuscivamo a fare tre pasti”, racconta Shamis Jama Elmi, madre di 38 anni che con il marito e 6 figli ha dovuto abbandonare tutto per la siccità e dal 2017 vive nel campo profughi di Docoloha.

Grazie all’aiuto di Oxfam, da cui riceve 60 dollari al mese, in questo momento riesce a comprare 12 kg di farina, riso e zucchero, sufficienti a sfamare la sua famiglia per appena due settimane. La più grave spirale inflazionistica degli ultimi 50 anni, che non risparmia i poveri nelle economie avanzate. Siamo di fronte alla peggiore crisi inflazionistica degli ultimi 50 anni a livello globale che, inserendosi in un trend già esistente, ha esiti drammatici. A livello globale 828 milioni di persone in questo momento sono colpite da malnutrizione acuta, ossia 150 milioni in più rispetto all’inizio della pandemia; mentre milioni di persone anche nei paesi ricchi rischiano di ritrovarsi in enorme difficoltà per la perdita di potere d’acquisto. Negli Stati Uniti, ad esempio, il 20% più povero della popolazione è costretta a spendere per il cibo in media 4 volte di più del 20% più ricco, in rapporto al proprio reddito.  

Urgente regolamentare il mercato e cancellare il debito dei paesi poveri

“Per aiutare i paesi più fragili a far fronte all’aumento dei prezzi dei beni alimentari, è cruciale che i Paesi ricchi cancellino immediatamente i pagamenti per il servizio del debito a carico dei paesi a basso e medio reddito nel 2022 e 2023 e tassino chi si sta arricchendo da questa situazione. – rimarcava in quell’occasione Petrelli – Solo così i paesi africani, ad esempio, potranno contare sulle risorse necessarie per salvare milioni di persone dalla fame e pagare le importazioni di cereali. Servono inoltre una più efficace regolamentazione dei mercati alimentari in funzione anti speculativa e norme commerciali internazionali più flessibili a favore dei consumatori, dei lavoratori e dei piccoli agricoltori soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Quest’ultimi in Asia e Africa sub-sahariana sono peraltro responsabili del 70% della produzione alimentare globale”.

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