Niger, la grandeur francese finisce miseramente, mentre avanza la penetrazione russa nel Sahel.
I protagonisti e la posta in gioco
Una documentata ricostruzione è quella prodotta da Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionali) tra i più autorevoli think tank italiani di geopolitica
“A due giorni dalla presadi controllo del Niger da parte di un gruppo di militari, i golpisti hanno annunciato che a guidare il governo di transizione del Paese sarà Abdourahmane Tchiani. Responsabile della guardia presidenziale, il generale 62enne è un alleato stretto del precedente presidente, Mahamadou Issoufou. Paradossalmente, fu proprio lui a sventare un colpo di stato nel marzo 2021, pochi giorni prima del giuramento presidenziale di Mohamed Bazoum.
Nonostante ciò, la situazione rimane incerta: il presidente Bazoum è ancora prigioniero nella sua residenza, ma è in buona salute. Inoltre, ieri mattina ha potuto parlare con il presidente francese Emmanuel Macron, secondo quanto riferito dalla ministra degli esteri francese Catherine Colonna all’agenzia Afp.Il golpe, quindi, non è definitivo. Colonna, infatti, ha aggiunto che gli ammutinati hanno ancora una “via d’uscita” se ascolteranno la comunità internazionale, che negli ultimi due giorni si è praticamente espressa con una condanna unanime del rovesciamento del governo eletto due anni fa.
L’ultimo partner occidentale?
Dal 2020, la regione africana del Sahel ha visto altri ben cinque colpi di stato: due in Mali, due in Burkina Faso, e uno in Ciad. Nonostante un passato di rivolgimenti, il Niger era rimasto uno dei due regimi democratici della regione. A febbraio del 2021, Bazoum aveva vinto le prime elezioni democratiche da quando il Paese ottenne l’indipendenza dalla Francia nel 1960.
La “migliore via” per “contrastare la violenza terrorista” è fortificare le istituzioni democratiche, aveva dichiaratoBazoum all’Assembleagenerale delle Nazioni Unite dello scorso settembre. Così, dopo che il Maliha deciso di sostituire l’appoggio militare della Francia con il gruppo mercenario russo Wagner, Parigi ha deciso di muovere il proprio centro operativo in Niger, dove il governo era interessato a ospitare le forze europee. I Paesi occidentali hanno dirottato risorse per rafforzare le forze di sicurezza nigerine e contrastare i gruppi insorgenti islamisti collegati ad al Qaeda e allo Stato Islamicooperativi nella regione. Tanto che, lo scorso dicembre, l’Unione Europea ha deciso di organizzare una missione di tre anni per addestrare l’esercito.
Al momento, Reuters stima che la Francia abbia fra i 1.000 e i 1.500 soldatidi stanza nel Paese, dotati di droni e aerei da guerra, con il ruolo di supportare le forze locali nelle operazioni nelle regioni di confine. Maanche l’Italia ha un contingente, di circa 300 soldati. “Negli ultimi dieci anni, l’attenzione e l’interesse del pubblico e della politica italiana per la regione del Sahel […] sono cresciuti esponenzialmente,” scrive Silvia D’Amato dell’Università di Leiden. Roma è presente in Niger dal 2018 con la missione Niger Misin e successivamente come parte della forza di pronto intervento aereo Task Group Air Sahel, oltre che a essere impegnata nella costruzione del Centro di competenza di medicina aeronautica del Niger (Cemedan).
Voglia di Wagner?
Nella capitale Niamey, però, centinaia di sostenitori del golpe si sono radunati ieri mattinadi fronte alla sede dell’Assemblea Nazionale. Secondo la Bbc, alcuni di loro portavano bandiere russe, mentre altri sorreggevano cartelli con scritte come “Abbasso la Francia” e “Via le basi straniere”.
Il sospetto è quindi che la nuova giunta possa allontanare il Paese dagli attuali alleati e stringere maggiori legami con la Russia, come già fatto dai vicini Mali e Burkina Faso. E anche alcuni gruppi della società civile nigerina nelle ultime settimane avevano iniziato ad invocare una simile manovra.
“Se Mohamed Bazoum si dimette dalla presidenza, il Niger si muoverà in cima alla lista dei Paesi in cui il gruppo Wagnercercherà di espandersi,” ha spiegato l’analista Flavien Baumgartner ad Al Jazeera English. Il gruppo paramilitare avrebbe infatti già messo gli occhi sul Paese in quanto importante produttore di uranio. Ma Bazoum si era finora irto come ostacolo a un loro avvicinamento, favorendo invece il rapporto con i Paesi occidentali.
Il timore è che si ripeta quanto già accaduto in Mali nel 2021, quando la Russia sfruttò le tensioni fra i nuovi reggenti di Bamako e il governo francese per diventare un partner stabile del Paese. Una paura alimentata anche dal messaggio di giubilo che Yevgeny Prigozhin, capo della Wagner, ha condiviso sul Telegram dopo aver appreso del rovesciamento del governo nigerino”.
Il capo di Wagner si è fatto immortalare, nei giorni scorsi, con alcuni funzionari africani che hanno partecipato al summit indetto da Vladimir Putin a San Pietroburgo. E avrebbe incontrato anche rappresentanti del Niger, ma non c’è alcuna conferma. A Niamey, dallo scorso settembre, è apparso il Movimento62, che si propone di cacciare i francesi e le altre truppe straniere dal paese. In piazza sventolano bandiera russe e cartelli con scritto «abbasso la Francia» oppure «I love Putin».
Annota Michele Farina nella sua analisi su Il Corriere della Sera: “La Russia in Africa è da dieci anni il principale esportatore di armi. Certo, resta irrilevante quanto ad aiuti economici. Questo può importare ai leader dei Paesi come il Kenya o la Nigeria, che infatti non erano a San Pietroburgo. Ma puntellare con i miliziani di Wagner regimi autoritari che governano Paesi da sempre in povertà estrema, non costa molto e può comportare vantaggi”.
Una lezione da imparare a memoria
E’ quella impartita, con un articolo dei suoi, da Domenico Quirico su La Stampa. Scrive Quirico: “Uno, due, tre: dopo il Mali e il Burkina Faso è la volta del Niger, il bastione dei fedelissimi della République, di Areva con il suo uranio maledetto, del «caro presidente Bazoum», dei Tuareg custodi della loro emarginazione arcaica e bellicosa. Un altro ammutinamento di militari scuote l’émpire africano della Francia. Attenzione: il punto centrale di queste giornate torride e stupefatte non è lo scandalo di un golpe. I presidenti francesi, dopo le finte indipendenze, ne hanno ordinati e commissionati a decine per tener in ordine il cortiletto della «grandeur». Quel che è sacrosanto negli ariosi boulevard, ovvero la democrazia, non poteva certo innescare scrupoli teologali nei flatulenti vicoli di Niamey. Da Bokassa a Déby qui si è di bocca buona: Parigi procede da sempre a una trasmutazione alchimistica dei valori, il moralmente condannabile è assolto tra le valli riarse e le acacie spinose con la chioma a ombrello del Sahel. Ma fino a ieri i golpisti si mettevano sull’attenti quando telefonavano le consegne dal numero 14 rue Saint Dominique, oggi chiamano loro per ordinare ai francesi di fare i bagagli. Il golpe nigerino pare ancora in bilico, il presidente, in carica dal 2021, non è stato giudiziosamente e immediatamente fucilato, come insegna l’abc delle rivolte militari. I golpisti, ex presunti fedelissimi della guardia presidenziale, tentennano, hanno scrupoli: pericoloso anacronismo per dei ribelli. Bazoum sta in villa e manda tweet a mezzo mondo, soprattutto a Macron perché venga a salvarlo con i 1500 soldati francesi di stanza nella capitale per tran tran imperialistico. Che si spera resteranno in caserma senza interferire. Non è più il tempo.
Comunque si sviluppi l’ammutinamento, il punto centrale è il modo in cui sulle rive del Niger, un fiume che per l’Africa è la sintesi della vita, il respiro, l’immediato domani, muore l’impero coloniale della Francia: miseramente, senza stile, tra bugie e porcherie. Questo capitolo disonorevole, sopravvissuto perfino alla logica, si sta sgonfiando come un pallone di gomma, di quelli che fluttuano in aria e poi con un fischio diventano uno straccio di plastica. La Storia, davvero, non finisce con un botto ma con un lamento. Volete un altro simbolo ancor più umiliante? Voilà: l’annuncio che nel vicino Mali il francese è stato abolito come lingua nazionale. Invece di consumare i lumi cerebrali in bilanci vien voglia di dire: ma i francesi non potevano far tutto prima, risparmiando tanti milioni e brutte figure? Evitando di lasciar come colpevole eredità, anche a noi, la Wagner putiniana e africana, i golpisti e il jihadismo che amministra e tortura territori interi? E la disperazione della miseria per milioni di africani affidati a ciurmatori e bricconi? Muore dunque meschinamente la «Francafrique». Non meritava di meglio. Finalmente! Ed è una buona notizia per i saheliani che l’hanno tenuta sul gobbo per ulteriori decenni, ma anche per la Francia. Che questo museo storico e umano fatto di arroganze prostituzioni e prepotenze ha infettato la politica francese, spezzato il rapporto con milioni di cittadini delle banlieu come una crepa insuturabile.
Una cosa è certa: nel Sahel i francesi sono detestati da gran parte della società civile, la loro presenza collegata a una «lotta al terrorismo» che serve a puntellare le vecchie colpe, è necessaria solo a una borghesia di scrocconi di tutti gli affari tenebrosi, di losche figure specializzate nelle speculazioni con gli aiuti per lo sviluppo, di politicanti che parlano di democrazia solo per svaligiarla. O di funzionari obbedienti e ben remunerati della Internazionale finanziaria, ovvero ex della Banca mondiale, ex del Fondo monetario e via di seguito. Già si ascolta, anche per il Niger, la solita tiritera che ribalta la gerarchia delle evidenze, ovvero che dietro l’ammutinamento ci sarebbe la diabolica mano della pestifera Wagner putiniana. La Wagner non ha inventato niente in Africa, ha solo riempito con traffici e violenza suoi i vuoti che la Francia, e l’Occidente, ha scavato in questi Paesi: con decenni di complicità interessate e di sfruttamento, coltivando servilità e prostituzioni dei suoi alleati al potere, consentendo la saldatura tra l’ingiustizia da denaro e l’ingiustizia da potere. Un luogo dove siamo stati a un tempo corrotti e corruttori.
Per capire sarebbe utile ai volenterosi redattori dei «patti per l’Africa» oggi di moda un educativo pellegrinaggio fisico in Paesi come Niger, Mali, Burkina Faso, Ciad. Ma a patto che si esca dai quartieri del neocapitalismo africano con le sedi di banche fresche di aria condizionata e i piccoli grattacieli di vetro e metalli e le targhe in ottone dove brillano lustre sigle con l’immancabile finale «ltd». Avanzate invece nella polvere della canicola, nei prologhi delle capitali fatti di baracche, nei mercati con le loro ondate di umanità disperata. Attraversate deserti dove le donne, abituate come le coefere a portare pesi sul capo, adempiono alla quotidiana corvée della ricerca dell’acqua. E dove i jihadisti passano in villaggi falciati dai patimenti e uccidono e poi passa l’esercito e uccide quelli che si sono salvati accusandoli di esser complici perché sono rimasti vivi. E volano i droni francesi, che meraviglia!, e eliminano fanatici e innocenti, poi Dio distinguerà…”.
Chapeau, Domenico.
Perché il golpe in Niger ci riguarda da vicino
Ne scrive Alfonso Bianchi per Today: “Ciò che sta accadendo in Niger è la testimonianza, anche e soprattutto, di quali armi aggiuntive Putin abbia per causare problemi non da poco ai paesi occidentali coalizzati contro di lui in Ucraina”, ha detto all’Adnkronos il generale Leonardo Tricarico ex Capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare e attuale presidente della Fondazione Icsa. “Non vi è dubbio che lo sfruttamento razionale e determinato delle capacità e delle influenze messe e punto da Prighozin in Africa potrebbero causare non pochi problemi all’Occidente e in misura largamente significativa al nostro Paese”, ha continuato il generale.
Il 22 luglio scorso il ministro degli Esteri Antonio Tajani aveva annunciato lo stanziamento di 7,5 milioni di euro al Niger per cooperare “nella lotta al traffico di migranti e all’immigrazione irregolare nel Mediterraneo centrale”. Il Paese è snodo dei flussi di migranti che, in particolare dalla Nigeria, lo attraversano per andare in Algeria e Libia, con la speranza di partire alla volta dell’Italia. Secondo la Caritas, nel 2019 c’erano quasi 300mila persone tra rifugiati e sfollati interni pronti a lasciare il Niger per raggiungere l’Europa.
“È bene ricordare, non lo si è mai fatto a sufficienza, che nessuna iniziativa, nessun Piano Mattei potrà mai aver successo, se non in una cornice di sicurezza che invece si sta sfaldando, per quel poco che in qualche paese poteva reggere” nella regione, ha aggiunto il generale Tricarico, citando il piano del governo di Giorgia Meloni, per assicurarsi sempre più gli idrocarburi dell’Africa del Nord”.
Ma a Roma da questo orecchio non ci sentono. Ai securisti al governo basta stringere patti anti migranti con i criminali libici e l’autocrate razzista tunisino.