Strage di migranti: Meloni e Piantedosi, questo è il "modello tunisino"
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Strage di migranti: Meloni e Piantedosi, questo è il "modello tunisino"

Quarantuno migranti sono morti dopo che un barchino, salpato da Sfax in Tunisia, si è ribaltato ed è affondato durante la navigazione nel canale di Sicilia.

Strage di migranti: Meloni e Piantedosi, questo è il "modello tunisino"
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

9 Agosto 2023 - 15.39


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Ora verseranno altre lacrime di coccodrillo. Faranno finta di piangere quei morti, condanneranno i criminali trafficanti di esseri umani, esorteranno l’Europa a fare di più. Una ignobile sceneggiata. Un copione mal recitato che si ripropone sempre uguale a se stesso dopo ogni strage in mare. Strage, non “tragedia” o “incidente”.  Strage che chiama in causa l’Europa, l’Italia. E i memorandum della vergogna, magnificati come “modelli” sottoscritti con gli autocrati tunisini, egiziani, con i signori della guerra libici spesso in affari con i trafficanti di esseri umani. 

Cimitero-Mediterraneo

Quarantuno migranti sono morti dopo che un barchino, salpato da Sfax in Tunisia, si è ribaltato ed è affondato durante la navigazione nel canale di Sicilia.

A raccontare quella che è stata l’ennesima tragedia sono i quattro sopravvissuti, tre uomini e una donna, che sono stati salvati dalla motonave Rimona che, stamattina, li ha trasbordati sulla motovedetta Cp327 della Guardia costiera. 
I 4 naufraghi, originari di Costa d’Avorio e Guinea Konakry, sono sbarcati a Lampedusa. Hanno raccontato ai militari della Guardia costiera di essere partiti da Sfax in 45, fra cui 3 bambini, alle ore 10 di giovedì. Dopo circa 6 ore di navigazione, il barchino in metallo di 7 metri, si è capovolto a causa di una grande onda. Tutti i migranti – stando a quanto riferito dai superstiti – sono finiti in mare. 


Solo in 15 avevano un salvagente, ma sono annegati lo stesso. I morti, stando alle testimonianze dei tre uomini e della donna che sono sotto choc, sono 41, fra cui 3 bambini. Né la nave, battente bandiera maltese, bulk carrier “Rimona” che li ha salvati, né le motovedette della Guardia costiera hanno avvistato cadaveri. E questo perché i quattro sono stati soccorsi ieri, dopo più giorni dal naufragio e a distanza da dove si è consumata l

Il naufragio è avvenuto al largo tra Lampedusa e la Tunisia, secondo il racconto dei quattro superstiti che dicono di essere rimasti per diverse ore in acqua, almeno fino a quando non sono riusciti ad avvicinarsi e a salire su una barca in ferro, senza motore, verosimilmente abbandonata dopo un trasbordo di migranti. Su quella carretta sono rimasti alla deriva, trasportati dalla corrente – stando alle confuse dichiarazioni dei naufraghi – per circa 4 giorni. Ad avvistarli e localizzarli ieri è stato l’assetto aereo Frontex che ha fatto scattare i soccorsi. La Capitaneria di porto italiana ha attivato la Guardia costiera libica, perché il natante con i 4 sopravvissuti nel frattempo era finito al largo della Libia, ma nessuno è intervenuto. Le motovedette italiane si sono dunque spostate fino al largo delle acque di Zuwara dove i quattro erano stati soccorsi dalla nave bulk carrier “Rimona” e dove sono stati trasbordati sulla motovedetta Cp327 della Guardia costiera.

Miriam, 23 anni, ivoriana, nella camera mortuaria del cimitero di Cala Pisana di Lampedusa, ha effettuato il riconoscimento del cadavere del figlio di un anno e mezzo che è morto nel naufragio di uno dei due barchini colati a picco sabato nel canale di Sicilia.

La Procura di Agrigento, con il reggente Salvatore Vella, ha aperto, sulle due tragedie, un’inchiesta, a carico di ignoti, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e morte quale conseguenza di altro reato. I superstiti sono stati sentiti dalla Squadra mobile della Questura di Agrigento. La giovane ivoriana viaggiava, con in braccio il figlio, quando il barchino, partito da Sfax, si è inabissato. Per ore – ha raccontato ai mediatori culturali e ai poliziotti – la 23enne, nel mare in tempesta, ha tenuto stretto, fra le braccia, il figlio. Quando poi non ce l’ha fatta più, perché era stanca e sentiva freddo, lo ha affidato ad un connazionale che era in mare accanto a lei. Il piccolo è però annegato e la mamma lo ha scoperto domenica sera: fino ad allora aveva creduto che il figlio, assieme al connazionale, fossero in un’altra struttura o in ospedale. 
I commenti della politica

“Le drammatiche notizie che giungono oggi da Lampedusa sull’ennesima strage di migranti e quelle sulle condizioni di vera e propria sopravvivenza nell’hotspot dell’isola, alle prese con un record di sbarchi, testimoniano la difficoltà di questo governo a gestire il tema migratorio. Avevano detto che erano pronti, che avevano le risposte giuste, Salvini con la chiusura dei porti e Meloni con il blocco navale, la verità è che sono bravi nella propaganda, ma non in grado di dare le risposte all’altezza delle sfide. Non hanno politiche di intervento in Italia, non sono in grado di far muovere l’Europa, anche perché i loro alleati non glielo permettono”. Lo dichiara Valentina Ghio, vicepresidente dei deputati del Partito Democratico.

“Ancora l’ennesima strage nel Mediterraneo nell’immobilismo del governo italiano. Servirebbero una missione di soccorso europea e un vero piano di condivisione della responsabilità dell’accoglienza. Invece siamo alla retorica vuota e agli accordi disumani coi dittatori”. Così, su Twitter,Pierfrancesco Majorino, responsabile Politiche migratorie della segreteria nazionale del PD.

“Una strage senza fine, altri 41 morti a largo di Lampedusa. L’unica, urgente risposta è un’operazione di ricerca e soccorso europea, una Mare Nostrum europea, perché chi è in mare deve sempre essere salvato”. Lo scrive su Twitteril deputato Alessandro Zan, della segreteria nazionale del Partito Democratico.

“Ancora un naufragio a Lampedusa, ancora vite spezzate in mare. Una preghiera per le vittime, un grido d’allarme al Governo e all’Europa: lavoriamo perchè questa carneficina abbia fine”. Così Enrico Borghi, Presidente del gruppo Azione-Italia Viva in Senato.

“Una nuova Cutro al largo di Lampedusa: l’ennesima tragedia, tante, troppe vite spezzate in cerca di un futuro migliore”. Lo scrive su Twitter Raffaella Paita, senatrice e coordinatrice nazionale di Italia Viva, a proposito del naufragio avvenuto oggi nel Canale di Sicilia. “Li ha uccisi il mare ma soprattutto l’indifferenza. L’Europa e il Governo non si girino ancora una volta dall’altra parte: c’è il dovere morale di fermare quella che è ormai una vera e propria carneficina”, conclude.

41 morti tra cui tre bambini in un naufragio sotto #Lampedusa. Serve una missione di soccorso europea, servono canali di accesso sicuri e legali. Anche questa estate portiamo i nostri figli a fare il bagno nella tomba dei figli degli altri: basta, basta, basta., è il Twitter di Cecilia Strada.

Cordoglio e rabbia

“L’Unhcr, Agenzia Onu per i rifugiati, l’Oim, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e l’Unicef, il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, esprimono profondo cordoglio per la perdita di decine di vite umane in seguito ad un terribile naufragio che risulta avvenuto fra giovedì 3 e venerdì 4 agosto nel Mediterraneo.
Secondo le testimonianze delle quattro persone sopravvissute – un minore non accompagnato di 13 anni, una donna e due uomini – soccorse da una nave mercantile e portate oggi in salvo a Lampedusa dalla Guardia Costiera italiana, sarebbero 41 i dispersi, tra cui 3 bambini.

Il barchino di ferro, partito da Sfax (Tunisia), sembrerebbe essersi ribaltato durante la navigazione. Le condizioni meteomarine proibitive di questi giorni rendono smisuratamente pericolose le traversate su barchini di ferro inappropriati alla navigazione: questo evidenzia l’assoluta mancanza di scrupoli dei trafficanti che in questo modo espongono migranti e rifugiati a rischi altissimi di morte in mare. Solo pochi giorni fa una mamma e un bambino avevano già perso la vita al largo dell’isola.
I numeri di oggi aggravano il bilancio delle vittime dei naufragi nel Mediterraneo centrale. Secondo il Missing Migrants Project dell’OIm sono già oltre 1.800 le persone morte e disperse lungo la rotta, che si attesta ancora tra le più attive e le più pericolose a livello globale, con oltre il 75% delle vittime nel Mediterraneo negli ultimi dieci anni.
Le tre organizzazioni delle Nazioni Unite ribadiscono la necessità di meccanismi coordinati di ricerca e soccorso e continuano a chiedere agli Stati di aumentare le risorse e le capacità per far fronte efficacemente alle loro responsabilità.
Unhcr, Oim e Unicef, presenti a Lampedusa a supporto delle autorità sia in fase di sbarco che di prima accoglienza, per garantire che le persone richiedenti protezione internazionale possano farne richiesta e che le persone con bisogni specifici vengano prontamente individuate, e nel supporto ai trasferimenti, rinnovano l’appello per un accesso più ampio a percorsi legali più sicuri per la migrazione e l’asilo nell’Unione Europea, per evitare che le persone debbano ricorrere a viaggi pericolosi in cerca di sicurezza e protezione”.

Il deserto della morte

Così lo racconta Patrizia Caiffa per l’agenzia Sir: “La situazione dei migranti sub-sahariani che vivono o passano per la Libia è drammatica: chi è irregolare non ha accesso alle cure sanitarie di base, i bambini non possono frequentare la scuola e se vengono intercettati dalle forze dell’ordine rischiano di finire nei famigerati centri di detenzione dove vengono notoriamente violati i diritti umani. Delle condizioni dei centri attualmente si sa poco e nulla. Da oltre un anno non vengono rilasciati più visti d’ingresso agli operatori internazionali, per motivi burocratici. Non va meglio in Tunisia, dove dal mese di febbraio gli africani sub-sahariani sono stati costretti a chiudersi in casa per paura di aggressioni a causa di una campagna di odio fomentata da alcune dichiarazioni del presidente Kais Saïed. Ora i toni si sono un po’ smorzati, ci sono piccole azioni di solidarietà dalla società civile, ma di fatto chi è in condizione di irregolarità continua a lavorare in nero, a cottimo, rischiando moltissimo. Molti sono stati rimpatriati in Costa d’Avorio o Senegal. La situazione più terribile riguarda migliaia di persone abbandonate nel deserto al confine tra Tunisia e Libia. Nessuno li vuole. Scioccante è stata la foto di una mamma e della figlia ritrovate morte, probabilmente di fame e sete, nella stessa posizione in cui dormivano. “Si parla di 1.000 o forse 2.000 persone a ridosso del confine – riferisce al Sir da Tunisi Flavia Pugliese, referente di Terre des hommes per i progetti in Libia -. Ma non ci permettono di andare a verificare la situazione umanitaria per capire se è possibile intervenire. Il governo tunisino ha consentito l’accesso solo all’Organizzazione internazionale per le migrazioni, all’Unhcr e alla Croce rossa tunisina ma possono solo distribuire aacqua e cibo”.

 “L’opinione comune – prosegue – è che il governo non intenda farsene carico, per cui queste persone vengono sballottate tra Libia e Tunisia. La settimana scorsa c’è stata anche l’ondata di caldo più forte della storia tunisina, sicuramente saranno in condizioni terribili. Ma nelle ultime settimane in Tunisia c’è un rifiuto verso tutto quello che è irregolare”.

Terre des hommes, specializzata nella difesa dei diritti dei bambini, gestisce dal 2018 tre progetti in Libia, finanziati da Ue, Eco, Aics, Unicef, nel campo dell’educazione, della protezione dell’infanzia e della salute, collaborando con le istituzioni locali. Nei loro centri ad ovest a Tripoli e nella regione meridionale del Fezzan fanno supporto psicoeducativo e sociale a bambini libici, migranti di passaggio e rifugiati con le rispettive famiglie, tra gli 8.000 e i 10.000 ogni anno. Tutto è in mano allo staff libico (circa 25 persone) ma è gestito da remoto, dalla sede tunisina, per via del blocco dei visti per il personale espatriato. Fino al 2019 Terre des hommes operava anche in due centri di detenzione libici  (Qasr Bin Ghasheer, Tajoura) e nel campo per sfollati libici di Alfallah.

“Oggi nei nostri centri comunitari, che sono una sorta di mini scuole – spiega Pugliese – incontriamo migranti che hanno difficoltà ad accedere ai servizi di base. Molti sono bambini costretti al lavoro minorile, all’accattonaggio, o ad attività non lecite, pur di sbarcare il lunario”.

Migranti sub-sahariani, integrazione impossibile.

 La situazione dei migranti sub sahariani in Libia e Tunisia – la maggior parte fugge da conflitti, fame, povertà e aspira ad imbarcarsi verso l’Europa – è quindi sempre sul filo dell’emergenza, le organizzazioni umanitarie devono per lo più rispondere a bisogni di base. L’integrazione è difficile se non impossibile. “Non c’è alcun sistema di integrazione formalizzato, né la volontà di integrare i migranti nelle società libica o tunisina – spiega l’operatrice umanitaria -. Quali sono le alternative? I richiedenti asilo non possono essere rimandati nei Paesi di provenienza, è vietato dal diritto internazionale. Oppure vengono messi nei centri di detenzione, in attesa di sapere cosa fare, ma purtroppo sappiamo quali sono le condizioni. Non esiste un meccanismo di presa in carico e regolarizzazione. È una situazione di emergenza immediata a cui non si sta rispondendo, mentre serve una visione di lungo periodo”.

Nel sud della Libia alcuni si fermano per cercare lavoro nei canali informali per guadagnare qualcosa e poi spostarsi più a nord per tentare la traversata. “Tutti i migranti senza documenti in regola non sono ammessi nella società libica e in quella tunisina – – precisa Pugliese -. I bambini non possono andare a scuola, non hanno accesso alle cure di base. Quindi vivono in condizioni di totale esclusione, nascondendosi, scappando, cercando di non essere intercettati. Quando vengono intercettati dai raid della polizia o durante le traversate vengono messi nei centri di detenzione. Quello che succede lì solo il padre eterno lo sa. Noi non abbiamo mai messo piede dentro i centri ma si sente dire che sono dei lager, dove le persone vengono sfruttate, picchiate, derubate del poco che hanno. L’integrazione nel tessuto sociale libico non è possibile”.

Sui recenti accordi tra Tunisia e Unione europea gli operatori umanitari sono perplessi: “Bisogna capire se servono solo per il controllo delle frontiere o è previsto anche altro. Finora non abbiamo visto nessuna apertura sulla possibilità di fondi disponibili per il versante umanitario. Ce lo auguriamo un po’ tutti ma al momento non c’è nulla”.

Nulla, tranne la morte.

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