Niger, vogliono punire i golpisti. Ma c’è un problema: chi mette i soldati?
Armiamoci e partite
L’Ecowas, la comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, ha dato disposizioni ai propri responsabili militari di mettere insieme “immediatamente” una forza di intervento per un possibile dispiegamento in Niger. Queste forze restano comunque in “attesa”, hanno deciso i leader dell’organismo chiarendo che sul tavolo rimangono tutte le opzioni per una “risoluzione pacifica” della crisi. Decisione presa al termine del vertice nella capitale nigeriana: Omar Touray, presidente della Commissione dell’Ecowas ha detto che in gioco dopo il golpe militare c’è il ripristino dell’ordine costituzionale. Touray ha sottolineato che la comunità internazionale “lascia aperta ogni opzione”. Il presidente della Costa d’Avorio Alassane Ouattara ha invece spiegato che l’Ecowas il via libera ad un’operazione militare in Niger “il prima possibile”: “I capi di stato maggiore faranno altre riunioni per finalizzare le cose ma hanno l’accordo della conferenza dei capi di Stato affinché l’operazione inizi il prima possibile“.
Dichiarazioni che arrivano poco dopo la minaccia dei golpisti: il regime militare instauratosi a seguito del golpe ha fatto sapere a un alto diplomatico statunitense che ucciderà il presidente deposto Mohamed Bazoum se i Paesi vicini tenteranno qualsiasi intervento militare per ripristinare il suo governo. Secondo quanto scrive l’Associated Press, citando due funzionari occidentali, i golpisti hanno riferito al sottosegretario di Stato americano Victoria Nuland della minaccia a Bazoum durante la sua visita nel Paese nei giorni scorsi. Tutto questo dopo che i leader golpisti hanno compiuto un altro passo di rottura rispetto alle richieste di Onu, Stati Uniti e Unione europea. La giunta militare guidata dal generale Abdourahamane Tchiani ha infatti nominato il nuovo governo del Paese. Lo ha fatto con un decreto i cui contenuti sono stati diffusi sulla tv nazionale nella serata di mercoledì. L’esecutivo sarà formato da 21 membri e sarà guidato dal primo ministro Ali Mahaman Lamine Zeine. I 20 ministri, tra cui quelli della Difesa e degli Interni, sono generali del Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria (Cnsp) che ha preso il potere. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, si è detto preoccupato per lo stato del deposto presidente Bazoum e della sua famiglia, chiedendone “il rilascio immediato e incondizionato e la reintegrazione come capo dello Stato”. Intanto, però, il protrarsi della crisi politica e i sempre più delineati schieramenti hanno contribuito a peggiorare i rapporti tra uno dei vicini del Niger, il Mali alleato dei golpisti, e la Francia, che su quei Paesi ha sempre esercitato, anche dopo la loro indipendenza da Parigi, una forte influenza. I due Stati hanno infatti deciso di sospendere il rilascio dei visti ai rispettivi cittadini. L’ambasciata francese all’inizio di questa settimana ha sospeso questo tipo di attività nella capitale del Mali, Bamako, dopo aver classificato tutto il Paese in una “zona rossa” dove è fortemente sconsigliato viaggiare. La giunta del Mali ha risposto congelando i nuovi visti per i cittadini francesi presso la sua ambasciata a Parigi in un atto di “reciprocità”, ha affermato il ministero degli Esteri maliano.
Lo spazio per il negoziato sembra ormai nullo, anche perché la giunta militare non è disposta ad avere contatti diretti con l’Ecowas, secondo quanto ha detto alla Bbc Abdel Fatau Musah, commissario per gli Affari politici dell’organizzazione. Musah ha affermato che Ecowas non consentirà alla giunta di governare per un periodo transitorio, come fatto precedentemente con i golpisti in Burkina Faso – dove i militari al potere hanno oggi silenziato Radio Omega, rea secondo loro di aver ‘offeso’ i colleghi che hanno preso il potere a Niamey – e Mali. Questi due Paesi hanno persino detto che un attacco al Niger sarà da loro considerato “una dichiarazione di guerra” anche contro di loro mentre Bamako ha annunciato di aver revocato l’autorizzazione di volo a Air France.
La Costa d’Avorio fornirà un battaglione (che conterà tra gli 850 e i 1.100 effettivi) e ha preso tutti gli accordi finanziari necessari per l’operazione”, ha affermato il capo dello Stato ivoriano. Ouattara ha quindi assicurato che, se l’intervento militare della Cedeao durerà più di tre mesi, saranno presi provvedimenti a livello di bilancio in modo che i soldati e gli ufficiali ivoriani non perdano nulla. “La Costa d’Avorio è pronta e ho appena incaricato il capo di Stato maggiore delle forze armate di iniziare a mobilitare le sue truppe per la loro partecipazione a questa operazione della Cedeao”, ha aggiunto.
Intanto diverse migliaia di sostenitori del golpe in Niger hanno manifestato alla base militare francese di Niamey. “Abbasso la Francia, abbasso l’Ecowas”, hanno urlato i manifestanti. “Faremo partire i francesi. L’Ecowas non è indipendente, è una manipolazione della Francia, c’è un’influenza esterna”, ha detto Aziz Rabeh Ali, membro di un sindacato studentesco che sostiene il regime militare.
Da quando hanno preso il potere, i militari hanno puntato il dito contro la Francia,accusandola di aver influenzato la decisione presa dall’Ecowas di attivare e dispiegare la sua “forza d’attesa” in Niger per ripristinare l’ordine costituzionale. Parigi, alleata del Niger prima del colpo di Stato, ha schierato nel Paese circa 1.500 uomini, impegnati con l’esercito nigerino nella lotta contro i gruppi jihadistiche minano gran parte del Sahel.
Gli eserciti in campo
Al momento le componenti principali della Standby Force dell’Ecowas corrispondono alle forze militari dei principali Paesi partecipanti, ovvero Nigeria, Senegal e Costa d’Avorio, che nel 2022 avevano eserciti composti, secondo l’International Institute for Strategic Studies, rispettivamente da 223mila, 27mila e 19mila soldati.
Intanto la Russiaha ribadito di essere contraria a un intervento armato per risolvere la crisi in Niger, ritenendo che potrebbe provocare una “forte destabilizzazione della situazione nella regione del Sahara-Sahel“. Lo ha affermato il ministero degli Esteri in un messaggio postato sul suo sito ufficiale e ripreso dall’agenzia Ria Novosti. La Russia, si aggiunge nel messaggio, è invece favorevole a “sforzi di mediazione” da parte dell’Ecowas, la comunità degli Stati dell’Africa occidentale.
L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Turk, si dice “estremamente preoccupato” per le condizioni in cui vengono “arbitrariamente detenuti” il presidente del Niger, Mohamed Bazoum, sua moglie e suo figlio. “Rapporti credibili che ho ricevuto indicano che le condizioni di detenzione potrebbero costituire un trattamento inumano e degradante, in violazione del diritto internazionale sui diritti umani. Ho ricevuto segnalazioni secondo cui l’energia elettrica è stata interrotta” e Bazoum e i suoi familiari “non hanno accesso all’acqua potabile pulita – a causa delle temperature calde in Niger – e alle medicine necessarie”, aggiunge Turk, secondo cui “i responsabili della detenzione del presidente devono garantire il pieno rispetto e laprotezione dei diritti umani suoi e di tutti gli altri detenuti”.
Lo staff dell’organizzazione umanitaria Human Rights Watch ha parlato con il presidente deposto del Niger Mohamed Bazoum e con altri a lui vicini: “Non ho elettricità dal 2 agosto e nessun contatto con altre persone dal 4. Non posso ricevere parenti o amici che ci portano cibo ed altri rifornimenti. Mio figlio è malato, ha un serio problema cardiaco e deve vedere un medico. Si sono rifiutati di fargli ricevere cure mediche”, ha affermato il leader deposto il 26 luglio, rinchiuso con la moglie e il figlio da 16 giorni nella sua residenza. A denunciare le condizioni in cui è tenuto è anche il suo ex vice capo di gabinetto Moussa Oumarou. Secondo quanto si apprende i leader golpisti tengono reclusiuncentinaio di membridel deposto governo.
Il rischio di una “seconda Libia”
A lanciare l’allarme sono i vescovi africani. A darne conto, in un report per Vatican News, sono Francesca Sabatinelli e Stanislas Kambashi: “No all’uso della forza in Niger, che rischia di divenire una “seconda Libia”. La Conferenza episcopale unitaria dell’Africa occidentale (Cerao), e monsignor Lauren Debiré, presidente della Conferenza episcopale del Burkina Faso e del Niger (Cebn), esprimono preoccupazione per le conseguenze del colpo di stato in Niger del 26 luglio scorso e, allo stesso tempo, solidarietà ecclesiale e vicinanza spirituale al Paese africano. In un messaggio a firma di monsignor Alexis Touably Youlo, presidente della Cerao, i vescovi dell’Africa Occidentale assicurano il loro sostegno ai colleghi del Niger, garantendo di non essere “indifferenti alle sofferenze” che il Paese sta vivendo in queste settimane. La Cerao sottolinea, inoltre, il ruolo che i presuli nigerini devono svolgere per mantenere la pace nel loro Paese, “a partire dal più importante, il ministero della preghiera”. I vescovi dell’Africa occidentale impegnano quindi a pregare “per una risoluzione pacifica e definitiva della crisi attuale”.
I vescovi di Niger e Burkina Faso: no all’intervento armato
Monsignor Dabiré esprime a sua volta “grande preoccupazione e inquietudine” per i presuli di questi due Paesi saheliani. È estremamente allarmante, scrive, sapere che “lo spettro della guerra” sia tra le soluzioni previste per porre fine alla crisi, il che fa pensare alla possibilità di una “seconda Libia”, mentre le conseguenze disastrose della destabilizzazione continuano a causare “terribili sofferenze alle popolazioni del Sahel”. I vescovi della Cebn dichiarano quindi di non credere nella “soluzione della forza” dicendo “chiaramente no” all’intervento armato prospettato dall’Ecowas, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale. La Cebn esprime quindi il suo “sostegno fraterno” e la sua “solidarietà ecclesiale” ai vescovi del Niger, impegnandosi a pregare per una pace duratura e per una risoluzione pacifica della crisi in quel Paese e nel Sahel.
I vescovi della Nigeria: non si sprechino preziose vite
A esprimere contrarietà alla guerra è anche la Conferenza episcopale della Nigeria. Con una dichiarazione del suo presidente, monsignor Lucius Iwejuru Ugorji, arcivescovo di Owerri, i vescovi chiedono al presidente nigeriano Bola Ahmed Tinubu di dissuadere i Capi di Stato dell’Ecowas alla tentazione di entrare in guerra, contro i golpisti ”per evitare lo spargimento di sangue che seguirebbe all’intervento militare”. “Abbiamo sprecato molte vite umane in Africa – si legge – abbiamo anche sprecato preziose vite umane in Nigeria e non possiamo continuare in questo modo orribile, per qualsiasi motivo”.
“Un intervento armato sarebbe una follia”,
Lo dice a Patrizia Caiffa, per l’agenzia Sir, dalla capitale Niamey padre Mauro Armanino, antropologo ed etnologo: “Nel caso ci fosse uno sciagurato intervento armato il timore è che si profili un’altra avventura come l’attacco alla Libia di Gheddafi, che è stato un disastro per tutto il nord Africa e il Sahel”. Il missionario della Società delle Missioni Africane, da dodici anni alla guida di una piccola comunità cattolica costituita soprattutto da migranti africani, si unisce all’appello dei vescovi del Burkina Faso e Niger,
che in un messaggio con data 4 agosto hanno rivolto un invito al dialogo ed espresso la propria contrarietà all’intervento armato. “Speriamo si trovi una via di uscita negoziata e un accordo, che per ora non si intravede”, afferma padre Armanino. In Niger ci sono solo quattro missionari europei, di cui due a Niamey, che hanno deciso di restare accanto alla popolazione, precisa.
Padre Armanino spera “ci sia la volontà di negoziare”. In questo momento in questa “ambigua transizione” la situazione “è di stallo”, per cui “è difficile fare previsioni al momento”. Di certo ci sono maggiori difficoltà per una popolazione già provata da fame, siccità, insicurezza. “Abbiamo lunghi black out che durano molto più del solito – racconta – con poche ore al giorno di corrente. Tra le sanzioni imposte c’è infatti il taglio della corrente da parte della Nigeria, che forniva circa il 60% dell’energia elettrica. Poi stanno aumentando i prezzi delle derrate alimentari e tra la gente sale la preoccupazione per questa situazione”.
A livello di interessi geopolitici c’è sicuramente “la paura della Francia e di altri Paesi occidentali di perdere strategicamente il controllo sul Niger, come già accaduto con il Mali e il Burkina Faso”. Tra la popolazione è anche diffuso un sentimento antifrancese. “Se questa situazione fosse rimasta nigerina sarebbe stato diverso – osserva il missionario -. Si è trattato di una rivoluzione di palazzo, che poi è diventata altro. Imporre con estrema rapidità le sanzioni, senza tentativi di mediazione, con toni arroganti da parte di alcune potenze occidentali tipo la Francia, spingono a radicalizzare le posizioni. In questo modo i nemici dei miei nemici diventano amici”.
Il Niger è un luogo strategico per le presenze militari occidentali, inoltre ci sono investimenti e interessi sulle materie prime, come l’uranio e il petrolio. “Tra qualche mese entrerà in funzione un oleodotto – ricorda -. Sono tutti aspetti che probabilmente hanno fatto da detonatore a ciò a cui stiamo assistendo”, afferma padre Armanino. “Si spera che la cosa non vada troppo per le lunghe per non far soffrire un Paese già afflitto da vari mali”: “Ci sono milioni di persone che hanno difficoltà alimentari e problemi di sicurezza alle frontiere tra Niger, Burkina Faso e Mali. Speriamo la crisi non duri più del dovuto e si possa trovare una via di uscita negoziata e un accordo, che per ora non si intravede. Attualmente non c’è nessuna possibilità di uscita”.
Nel frattempo le nuove autorità stanno incontrando i gruppi musulmani, la società civile. “Come preti non ci siamo ancora incontrati, la situazione è ancora molto fluida”. “Le nostre celebrazioni continuano in maniera regolare – dice – ma un po’ di timore c’è perché la maggior parte dei membri delle nostre comunità non sono nigerini ma vengono da Paesi limitrofi che fanno parte della Ceao. Nel caso ci fosse un attacco è chiaro che i cittadini di questi Paesi avrebbero difficoltà. Per cui si cerca di evitare qualsiasi dichiarazione o posizione che possa creare problemi”.