Una tragedia, un fallimento e la guerra di cifre sui morti. A Derna, la città libica colpita una settimana fa da catastrofiche inondazioni causate dalla tempesta Daniel, non si sa quante siano le vittime.
L’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) domenica mattina in un ultimo aggiornamento sulla situazione ha parlato di “circa 11.300 morti e 10.100 dispersi nella sola città di Derna secondo la Mezzaluna rossa libica” specificando che “si prevede che questi numeri aumenteranno poiché le squadre di ricerca e soccorso lavorano 24 ore su 24”.
La Mezzaluna Rossa libica ha però smentito quel bilancio: “Siamo stupiti di vedere il nostro nome associato a queste cifre. Che aumentano la confusione e l’angoscia delle famiglie dei dispersi”, ha dichiarato all’Afp il portavoce della Mezzaluna Rossa libica Taoufik Chokri da Bengasi.
Sui numeri della tragedia c’è quindi estrema confusione: il ministro della Sanità dell’amministrazione della Libia orientale, Othman Abdeljalil, ha riferito sabato sera di 3.252 morti. Mentre in un comunicato stampa pubblicato precedentemente, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha dichiarato che sono stati trovati e identificati i corpi di 3.958 persone e che “più di 9.000 persone” risultano ancora disperse. “La situazione umanitaria rimane particolarmente grave a Derna”, ha fatto sapere l’Ocha: nella città manca l’acqua potabile e almeno 55 bambini sono rimasti intossicati dopo aver bevuto acqua inquinata.
La tempesta Daniel, che si è abbattuta nella notte tra domenica e lunedì sulla cittadina di 100mila abitanti, ha provocato il crollo di due dighe a monte dando il via a un’inondazione delle dimensioni di uno tsunami lungo il corso d’acqua che attraversa la città e sfocia nel Mediterraneo.
Responsabilità
Scrive il Post: “In Libia stanno emergendo molte responsabilità da parte della politica e delle istituzioni per l’enormità dei danni causati dalle intense alluvioni della scorsa settimana, che hanno causato più di 11mila morti. È opinione di diversi esperti che anni di divisione politica del paese, corruzione e insufficienti interventi di manutenzione delle infrastrutture abbiano aumentato le conseguenze di un disastro naturale per il quale la Libia si è dimostrata fortemente impreparata.
La parte del paese più colpita è quella a est, e in particolare la zona più danneggiata è quella della città di Derna, 90mila abitanti, dove la rottura di due dighe ha distrutto una grossa parte degli edifici. Il bilancio dei morti è ancora incerto: ci sono infatti almeno 10mila dispersi. La difficoltà a trovare i dispersi è dovuta anche al fatto che molti corpi sono stati trascinati dalle acque per decine di chilometri.
La Libia è divisa dal 2014 fra due governi rivali: uno guidato dal maresciallo Khalifa Haftar a est, la zona che viene chiamata Cirenaica, e un altro che ha sede nella capitale Tripoli a ovest, riconosciuto come unico legittimo dalla comunità internazionale e guidato dal primo ministro Abdul Hamid Dbeibah.
Claudia Gazzini, analista per la Libia dell’organizzazione non governativa International Crisis Group, ha detto ad Al Jazeera che questa situazione instabile ha provocato grosse dispute per l’assegnazione di molti fondi, tra cui quelli che dovrebbero riguardare le infrastrutture, su cui non ci sono investimenti da almeno tre anni. Di fatto nessuno dei due governi ha abbastanza soldi e legittimazione politica per fare piani a lungo termine per interventi infrastrutturali.
La mancanza di questo genere di investimenti ha provocato conseguenze concrete nel crollo delle dighe a Derna, che ha portato alla devastazione della città. Alcuni studi accademici che avevano segnalato la necessità di interventi sulle dighe di Derna: lo scorso anno una ricerca dell’università libica Omar Al-Mukhtar aveva avvertito della loro urgenza per via di «un alto rischio di inondazioni». L’autore dello studio, l’idrologo Abdul Wanis Ashour, ha detto a Reuters che c’erano stati diversi avvertimenti del pericolo di cui le istituzioni erano consce da tempo: «Lo stato lo sapeva bene, sia attraverso gli esperti della Commissione pubblica per l’acqua, sia attraverso le società straniere che erano venute a valutare le condizioni delle dighe».
Sabato le autorità libiche hanno annunciato l’apertura di un’indagine sulle responsabilità del crollo delle dighe e sulla mancata manutenzione: il procuratore generale Al-Sediq al-Sour ha detto che sarà indagata l’attuale amministrazione della città di Derna e quelle precedenti. Le dighe furono costruite negli anni Settanta.
Oltre alle responsabilità pregresse, le autorità libiche sono state accusate anche per il modo in cui hanno risposto al pericolo una volta che è diventato imminente. Sabato, prima che la tempesta Daniel arrivasse nella zona causando le alluvioni, il consiglio municipale di Derna aveva postato un messaggio sui social network in cui annunciava un coprifuoco e chiedeva ai residenti di evacuare solo le zone vicine alla costa.
Secondo Anas El Gomati, direttore del centro di ricerca indipendente Sadeq Institute, «l’inazione delle autorità nonostante il chiaro pericolo è costata migliaia di vite, mentre sarebbe bastato spendere per dei blocchi di cemento e sacchi di sabbia», riferendosi agli interventi necessari per evitare che le acque invadessero la città. Il sindaco di Derna ha respinto le critiche sostenendo di aver fatto il possibile per avvertire la popolazione, e un portavoce del governo di Haftar parlando con Bbc ha detto che i soldati avevano avvertito la popolazione di fuggire, negando di aver imposto il coprifuoco che ha trattenuto molte persone nelle proprie case.
Nel frattempo ci sono grosse difficoltà anche nella gestione dei corpi delle persone morte: al momento non ci sono abbastanza sacchi per i cadaveri e secondo l’Onu più di mille persone sono state seppellite in fosse comuni, una pratica fortemente stigmatizzata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per l’impatto psicologico che potrebbe avere sulla popolazione locale”.
Il report dell’Organizzazione meteorologica mondiale
Gli avvenimenti climatici così disastrosi erano stati, se non previsti, almeno annunciati.
Come rimarca Nigrizia “l’Organizzazione meteorologica mondiale, un recente rapporto intitolato Stato del clima in Africa 2022 reso noto in occasione del vertice africano sul clima, svoltosi a Nairobi la settimana scorsa, si è lamentata del fatto che l’Africa soffre in modo sproporzionato a causa del cambiamento climatico. Mentre il continente africano è responsabile solo di una piccola parte delle emissioni globali di gas serra.
Metteva in guardia sui rischi meteorologici e climatici in particolare nella regione nordafricana. Una situazione che mina la sicurezza alimentare. Senza contare che provoca movimenti migratori.
Nel 2022, rileva il rapporto, 110 milioni di persone in Africa sono state direttamente colpite dai rischi legati al clima e all’acqua. E i disastri naturali hanno causato danni economici per oltre 8,5 miliardi di dollari.
Tra incendi e siccità
Il cambiamento climatico ha avuto un impatto negativo sull’agricoltura, il principale mezzo di sostentamento in Africa. E a causa del cambiamento climatico, la crescita della produttività agricola è diminuita del 34%. Si prevede che i paesi africani triplicheranno le loro importazioni alimentari annuali portandole a 110 miliardi di dollari entro il 2025.
Il rapido riscaldamento e il caldo estremo sono stati avvertiti, soprattutto in Nordafrica, osserva il rapporto. In Algeria e Tunisia questi fenomeni hanno causato incendi boschivi. Libia e Marocco sono due paesi a forte rischio. Inoltre i paesi del Corno d’Africa hanno vissuto, nel 2022, la peggiore siccità degli ultimi 40 anni. Particolarmente colpiti Kenya, Etiopia e Somalia.
L’Omm rileva che l’agricoltura, la sicurezza alimentare, l’acqua, la riduzione del rischio di catastrofi e la salute sono tra le massime priorità per l’adattamento ai cambiamenti climatici in Africa. E stima il fabbisogno previsto in 2.800 miliardi di dollari, tra il 2020 e il 2030.
Il rapporto è stato curato congiuntamente dalla Commissione dell’Unione africana e dal Centro africano per la politica climatica”.
Rischio epidemie
Organizzazioni come Islamic Relief e Medici senza frontiere (Mfs) hanno avvertito che in questa seconda fase si potrebbe assistere alla diffusione di malattie e gravi difficoltà nel fornire aiuti ai più bisognosi.
Islamic Relief ha denunciato il pericolo di una “seconda crisi umanitaria” dopo l’alluvione, sottolineando il “rischio crescente di malattie trasmesse dall’acqua e di carenza di cibo, ripari e medicine”. “Migliaia di persone non hanno un posto dove dormire e non hanno cibo”, ha affermato Salah Aboulgasem, vicedirettore per lo sviluppo dei partner dell’organizzazione.
“In condizioni come queste, le malattie possono diffondersi rapidamente poiché i sistemi idrici sono contaminati. La città odora di morte. Quasi tutti hanno perso qualcuno che conoscono”. Msf, nel frattempo, ha affermato che starebbe dispiegando squadre nell’Est del paese per valutare l’acqua e i servizi igienico-sanitari.
“Con questo tipo di eventi possiamo davvero preoccuparci delle malattie legate all’acqua”, ha detto al Guardian Manoelle Carton, coordinatrice medica di Msf a Derna, che ha descritto gli sforzi per coordinare gli aiuti come “caotici”.
Le autorità libiche hanno in gran parte allontanato i civili da Derna, nel tentativo di dare spazio agli operatori umanitari di emergenza e nel timore della contaminazione delle acque stagnanti.
Solo le squadre di ricerca e soccorso potranno entrare nelle parti della città più colpite dalle inondazioni, ha affermato Salem Al-Ferjani, direttore generale del servizio di ambulanza e di emergenza nella Libia orientale. Molti cittadini hanno già lasciato volontariamente la città
Testimonianza dall’inferno di Derna
L’ha raccolta, per fanpage.it, Reem Elbreki. “Il dottor Leeth, la cui casa si trova a pochi metri dal corso della valle di Derna, la sera osserva con occhi pieni di stupore l’entità della distruzione che ha colpito la città. Lo sguardo di questo medico è molto espressivo, racconta i momenti del disastro con stupore e si chiede: l’amministrazione libica è davvero così corrotta da non aver aiutato a evacuare la città prima che avvenisse la catastrofe?
Leeth, che vive dietro la Moschea Al-Sahaba, continua: “Stavo comunicando con mio cugino, che vive di fronte alla Moschea Al-Sahaba, mentre l’alluvione ha spazzato via l’intera zona”. Alle due del mattino Leeth racconta: “Mio cugino mi ha mandato un video che mostrava il flusso dell’acqua nel piano terra della loro casa, ho provato ad uscire velocemente di casa per aiutare la famiglia di mio zio, ma l’acqua era alta due metri e tutto le macchine erano già sommerse, non potevo uscire di casa e sono salito al secondo piano, stavo cercando di salvare mia sorella e portarla al terzo piano e ho aperto la finestra per vedere la dimensione del flusso d’acqua. Avevamo un Corano in mano e i suoni del takbirat ‘Allahu Akbar’ erano molto forti in città e tutti li ripetevano”.
“Alle tre e dieci minuti esatti la diga è crollata – prosegue Leeth – . Ho visto un’onda altissima, di 40 metri, che ha divorato tutto in un attimo. In meno di un minuto l’acqua ha spazzato via tutto ciò che si trovava sulle sponde della valle. Qui la popolazione ammontava a circa 20mila cittadini. Solo alcuni di loro sono sopravvissuti… tutti gli altri sono in mare”.
Leeth continua: “La maggior parte degli abitanti della città soffre di uno stato di shock, quindi abbiamo bisogno di enormi squadre di psichiatri che ci aiutino a superare questo disastro, e molti di noi hanno completamente perso la testa”. In riva al mare, alla fine della valle, molte persone sono come impazzite. Munther spiega: “Un uomo ci ha raccontato che il suo bambino di otto anni lo ha chiamato all’una del mattino e gli ha detto: ‘Papà, torna subito a casa, ho paura’. Ma lui non poteva tornare a casa perché era un agente di polizia e la città era in uno stato di emergenza”. Secondo il racconto il papà continua a sentire le ultime parole del bambino nella sua testa”.