“La guerra è la cosa più stupida e irrazionale che possiamo continuare a fare perché è inconcludente, autodistruttiva e nessuno la può vincere. Continuare a fare la guerra sarà la scelta peggiore. Per gli ucraini, per noi e per il mondo….”.
Alla vigilia della Giornata internazionale della pace del 21 settembre, la Fondazione PerugiAssisi per la cultura della pace diffonde il discorso pronunciato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres e rilancia un nuovo accorato appello all’impegno per fermare la guerra in Ucraina.
Riecheggiando il monito del Segretario Generale dell’Onu, Antonio Guterres (13 settembre 2023) “La pace è sotto attacco, goccia dopo goccia, il veleno della guerra sta infettando il nostro mondo, per le persone e per il pianeta dobbiamo impegnarci per la pace”, la Fondazione PerugiAssisi torna a chiedere ai responsabili della politica nazionale e internazionale di raccogliere l’appello di Papa Francesco e lavorare per ottenere l’immediato cessate-il-fuoco.
“Continuare a fare la guerra, ha dichiarato Flavio Lotti, Presidente della Fondazione PerugiAssisi, sarà la scelta peggiore. Mentre crescono montagne di sofferenze e ingiustizie, la guerra è la cosa più stupida e irrazionale che possiamo continuare a fare perché è inconcludente, autodistruttiva e nessuno la può vincere.”
“Se continua questa guerra tutti quanti andiam per terra”. Un documento , una visione, una battaglia di civiltà
“La guerra è la cosa più stupida e irrazionale che possiamo continuare a fare perché è inconcludente, autodistruttiva e nessuno la può vincere. Continuare a fare la guerra sarà la scelta peggiore. Per gli ucraini, per noi e per il mondo.
La scelta peggiore produrrà gli esiti peggiori: il martirio e la devastazione epocale dell’Ucraina, l’allargamento della guerra e delle devastazioni al resto dell’Europa e quindi anche all’Italia, fino -e speriamo mai- all’apocalisse atomica. Per questo ci vuole un’uscita diplomatica dalla guerra.
La guerra è un disastro anche perché non riesce a risolvere nessuno dei problemi che i suoi sostenitori pretendono di risolvere: la conquista e la smilitarizzazione dell’Ucraina da parte della Russia, la vittoria dell’Ucraina sulla Russia e la riconquista dei territori occupati, il ripristino della legalità internazionale, l’esportazione della democrazia,… La guerra non è dunque solo “un crimine in grande” che doveva e poteva essere evitato ma anche “un tragico fallimento”.
Per questo, dopo tanti mesi di inutili stragi, nell’interesse superiore delle presenti e future generazioni, torniamo a chiedere a tutti i responsabili della politica nazionale, europea e internazionale di essere “realisti”, di raccogliere l’appello di Papa Francesco e di fare tutto il necessario per raggiungere l’immediato cessate-il-fuoco.
Non è vero che fermare la guerra voglia dire abbandonare gli ucraini. E’ vero il contrario! Fermare la guerra vuol dire fermare il massacro degli ucraini e la distruzione del loro paese. Fermare la guerra vuol dire fermare l’escalation militare, l’annientamento quotidiano di civili e soldati, le sofferenze di tutte le persone che devono cercare di sopravvivere nel campo di battaglia, la distruzione di immensi territori e di preziose risorse naturali, la corruzione, il traffico delle armi, il radicamento dell’inimicizia e dell’odio,… L’impegno per ottenere il cessate-il-fuoco deve procedere di pari passo con un altro serio lavoro: quello difficile ma indispensabile della costruzione delle condizioni per la pace.
La lunga “grande assenza” di una seria politica di pace e l’assurda pretesa di vincere la guerra con la guerra non è più sostenibile (se mai lo fosse stata).
Basta! La guerra ci sta impoverendo!
Questa guerra, nel cuore dell’Europa, ci costa tantissimo e ci sta mettendo in ginocchio. Ogni giorno crescono le persone che precipitano nella disperazione e sono abbandonate da chi aveva e ha il compito di proteggerle.
L’esplosione incontrollata del costo dell’energia, lo scoppio e la corsa dell’inflazione, la recessione economica, la speculazione su tutti i beni primari, l’aumento vertiginoso delle disuguaglianze, la crescente sottrazione e distruzione di enormi quantità di soldi pubblici, l’impoverimento di noi tutti e di centinaia di milioni di altre persone, la distruzione del sistema economico/produttivo europeo… nessuno di questi problemi sarà risolto, o anche solo alleviato, se non rimuoviamo la causa principale che è: la guerra.
La continuazione della guerra in Ucraina ci impedisce, inoltre, di affrontare tutte le altre grandi sfide “strutturali”, le crisi a cascata e i continui shock globali che stanno seminando sofferenze, ansie e disperazione in tante persone: il cambiamento e le catastrofi climatiche, il dramma delle migrazioni forzate, le guerre economiche e finanziarie, l’implosione autoritaria di molti paesi, lo scontro tra nazionalismi, la proliferazione delle armi e la moltiplicazione dei conflitti armati, la crisi mondiale delle Istituzioni democratiche, la rivoluzione digitale fuori controllo…
Papa Francesco ce l’ha insegnato: ogni spiraglio va cercato!
I talebani della guerra dicono che non abbiamo alternative, che la guerra è la sola cosa che possiamo fare per difendere l’Ucraina. Ma non è vero.
Mentre i censori e i propagandisti della guerra continuano a manomettere la realtà, noi continuiamo a dire chiaro e forte: la storia, la ragione e la politica ci insegnano che le alternative esistono e vanno sinceramente volute, cercate e costruite con coraggio, pazienza, tenacia, visione e lungimiranza.
La pace non è solo l’obiettivo. La pace è la via. La via scelta dalla comunità internazionale dopo lo sterminio di settanta milioni di persone, la distruzione dell’Europa e lo scoppio della bomba atomica. La sola che mette in primo piano la vita e non gli interessi. La vita degli ucraini e dei russi, la nostra e quella degli altri, la vita di tutta la famiglia umana e non gli interessi dei soliti pochi. Non serve dirsi pacifisti. Chi ama la vita e la vita dei propri figli, non può che fare la scelta della pace.
Fare la pace è difficile ma è necessario. Per questo si deve fare. La strada per la pace può essere lunga, tortuosa, incerta, ma è l’unica strada possibile per allontanarci dall’orlo del precipizio.
La pace non è il frutto di anime buone e illuminate, ma del lavoro laborioso di esseri imperfetti che lottano ogni giorno con l’arte del rispetto, del dialogo e della persuasione. Dalla fine della seconda guerra mondiale moltissime persone hanno dato la vita per la pace, molte istituzioni sono state costruite e molte politiche sono state realizzate per costruire e assicurare la pace nel mondo. Il fatto che tali istituzioni siano state messe in crisi non ci consente di buttarle via ma ci deve spingere a moltiplicare gli sforzi per risanarle, rigenerarle e rimetterle nelle condizioni di lavorare.
Non dimentichiamo che la pace è un diritto fondamentale, riconosciuto nella Carta delle Nazioni Unite, nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e nella nostra Costituzione. Un diritto primario che va promosso e difeso con la politica e l’economia, la cultura e l’educazione.
“La mia speranza è che si dia spazio alle voci di pace, a chi si impegna per porre fine a questo come a tanti altri conflitti, a chi non si arrende alla logica “cainista” della guerra ma continua a credere, nonostante tutto, alla logica della pace, alla logica del dialogo, e alla logica della diplomazia.” Appello di Papa Francesco ai giornalisti, 26 agosto 2023
Cura, non bombe!
“Deponiamo le armi, riduciamo le spese militari per provvedere ai bisogni umanitari, convertiamo gli strumenti di morte in strumenti di vita” Papa Francesco, 19 agosto 2023
Più di due trilioni di dollari: la guerra in Ucraina (ma non solo quella) ci sta rubando e distruggendo una montagna di soldi. Quei soldi sono nostri e dei nostri figli, soldi pubblici, soldi di chi lavora e paga le tasse. Dicono che servono alla nostra sicurezza ma è un grande imbroglio perché in questo modo cresce solo la nostra insicurezza.
In un tempo di così grave crisi economica, sociale e ambientale, mentre sappiamo di non avere abbastanza risorse per fare tutto, dobbiamo decidere dove mettiamo i nostri soldi. Se vogliamo che i soldi delle nostre tasse vengano spesi dai governi per soddisfare i nostri bisogni più elementari, non dobbiamo permettere che ci sia alcun aumento delle spese militari. L’idea di aumentarle ancora fino e oltre il 2% come pretende la Nato deve essere abbandonata. Questo è il tempo in cui tutta la cosiddetta “spesa per la sicurezza” deve essere posta sotto una trasparente radicale revisione. Il Ministero della Difesa deve essere il primo ad essere sottoposto alla “spending review” a cui sono già stati costretti, più volte, tutti gli altri ministeri.
La vera sicurezza di cui ci dobbiamo preoccupare è la sicurezza delle persone che non riescono ad arrivare a fine mese, che sono costrette a sopravvivere nella più totale incertezza, talvolta in ambienti malsani, senza dignità, diritti né legge, in balia della paura e della violenza, dell’illegalità, di sfruttatori, criminali e mafie. E’ di loro che ci dobbiamo occupare, come stabilito nella nostra Costituzione (art. 2 e 3), nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (art. 25), nella Carta dell’Onu, nell’Agenda 2030 e nel Rapporto dell’Unesco “Re-immaginare i nostri futuri insieme”.
Dobbiamo aiutare chi non ce la fa, soccorrere chi è in difficoltà, proteggere chi è minacciato o abusato, nutrire chi è affamato e assetato, curare chi è ammalato, sostenere chi è fragile, ridurre le disuguaglianze, promuovere le pari opportunità, preservare i beni comuni, promuovere la transizione ecologica,… Per questo, dobbiamo disarmare e rimettere al centro le comunità locali e finanziare e riqualificare i servizi pubblici e universali (i servizi sociali, sanitari, per l’educazione, la formazione, l’ambiente, la cultura, …) così come dobbiamo ricostruire e rifinanziare la solidarietà e la cooperazione internazionale.
Se solo smettiamo di pagare lo stipendio di qualche Reggimento, possiamo pagare gli stipendi di tanti medici e infermieri, insegnanti e assistenti sociali. Se smettiamo di finanziare qualche missione militare propagandistica possiamo finanziare le persone, le famiglie, le attività economiche colpite dagli eventi climatici estremi (terremoti, alluvioni, esondazioni, frane, bombe d’acqua, tempeste, siccità,…) come in Emilia Romagna o in Libia. Se rinunciamo a comprare altri cacciabombardieri possiamo assicurare l’assistenza domiciliare socio sanitaria alle persone non autosufficienti, assumere dei buoni medici di famiglia, finanziare la rete territoriale di contrasto alla violenza sulle donne. Se rinunciamo a costruire la terza portaerei possiamo prenderci cura di tanti bambini, donne e giovani in fuga dalla miseria e dalla guerra. Se rinunciamo ad acquisire altri duecento carri armati possiamo investire sulla cura, sulla formazione e sul lavoro delle nostre giovani generazioni. Adesso è il tempo della cura, non delle bombe! Nell’ora della crisi, la cura è la risposta di cui abbiamo bisogno, la più concreta, immediata ed efficace, la miglior fabbrica di benessere, il vero, grande, investimento sul futuro.
Diamoci da fare insieme per costruire un avvenire di pace
La guerra in Ucraina non è venuta dal nulla ma è parte e conseguenza di un mondo che da più di due decenni sta progressivamente scivolando nella guerra. Quando Papa Francesco parla della “terza guerra mondiale a pezzi che si va espandendo” alcuni lo accusano di esagerare. Ma lo scontro planetario -reso evidente anche dalle sempre crescenti tensioni tra Stati Uniti e Cina- si sta acutizzando e ciò che ancora oggi riteniamo impossibile sta diventando sempre più possibile e probabile.
Dopo aver abbandonato il paradigma della cooperazione per passare al paradigma della competizione, i “grandi” del mondo sembrano aver scelto il paradigma del conflitto globale.
La guerra, il grande scontro degli interessi economici mascherati da falsi interessi nazionali e falso sovranismo, la volontà di potenza, la legge selvaggia del più forte e la nuova impressionante corsa al riarmo che accompagna lo smantellamento di tanti accordi strategici per la limitazione degli armamenti stanno ridefinendo le relazioni internazionali -e quindi la vita dell’umanità- per gli anni che verranno.
Con la fine del mondo bipolare, il passaggio al mondo unipolare e ora a quello “zero-polare”, insieme all’indebolimento delle istituzioni internazionali unificanti, stiamo assistendo alla diffusione di un tribalismo geopolitico che sta accelerando la distruzione della convivenza nel pianeta.
Davanti a noi si para sempre più chiaro un bivio: o cominciamo a prenderci cura della famiglia umana e del pianeta che la sostiene o non sfuggiremo alla guerra totale.
Prenderci cura della famiglia umana vuol dire riconoscere ciò che la realtà ha reso evidente ovvero che viviamo in un pianeta dove tutto – persone, popoli, nazioni, economie, risorse, natura, presente e futuro….- è interconnesso e interdipendente, che i problemi e le sfide che dobbiamo affrontare sono troppo grandi perché i Paesi possano pensare di affrontarli da soli o con qualche alleato, che se vogliamo avere un futuro e assicurarlo ai nostri figli e nipoti dobbiamo attuare il primo articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e promuovere l’amicizia sociale, il dialogo politico e la cooperazione universale riconoscendoci “sorelle e fratelli tutti”.
Per promuovere e organizzare la cura della famiglia umana e del pianeta, abbiamo bisogno di rafforzare le istituzioni internazionali democratiche a cominciare dall’Onu.
L’Onu è come la terra: è l’unica casa che abbiamo. Sapere che si trova in grave difficoltà e piena di contraddizioni non ci consente di buttarla via. Chi vuole prendersi cura dell’umanità e del pianeta deve impegnarsi per dare a questa organizzazione tutti gli strumenti e i mezzi per realizzare il suo mandato originario: “salvare le future generazioni dal flagello della guerra, promuovere il progresso sociale ed un più elevato tenore di vita in una più ampia libertà, riaffermare la fede nei diritti fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole”.
Della mancanza di volontà di molti governi nazionali di agire insieme “per il bene pubblico globale”, nonostante si sia iper-connessi e interdipendenti, sono già evidenti le tragiche conseguenze in tanti campi: da quello ambientale a quello sanitario, da quello umanitario a quello della sicurezza. Il mondo sta soffrendo una gravissima crisi globale di cura e una “carestia di fraternità”. Tutte le spie di allarme del mondo sono accese. Ignorarlo è da irresponsabili.
Ne è consapevole anche il Segretario Generale dell’Onu, Antònio Guterres, che ha avviato l’organizzazione di un “Summit of the Future” che il 22 e 23 settembre 2024 intende riunire a New York i Capi di Stato di tutto il mondo per “riaffermare la Carta delle Nazioni Unite, rinvigorire il multilateralismo, dare impulso all’attuazione degli impegni esistenti, concordare soluzioni concrete alle sfide, ripristinare la fiducia tra gli Stati membri e adottare un “Patto per il futuro”.
Siamo ad un nuovo bivio cruciale. Il futuro sarà il tribunale delle nostre scelte presenti. Quelle dei governanti ma anche delle nostre. Per questo, invitiamo tutte e tutti, donne, uomini, giovani e anziani, scuole, associazioni e istituzioni, a promuovere dal basso, con coraggio e creatività, un movimento per trasformare il futuro con la cura. Siamo ancora in tempo per scrivere un nuovo capitolo di pace nella storia dell’umanità. Scriviamolo assieme!”.
Globalist ci sta. Sta dalla parte dei nuovi “partigiani”. I partigiani della pace.