Guerra, la trappola-Gaza, il nodo Netanyahu: due grandi ne riflettono
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Guerra, la trappola-Gaza, il nodo Netanyahu: due grandi ne riflettono

Thomas L.Friedman e Gilles Kepel sono due autorità assolute quanto a Israele, il Medio Oriente, il radicalismo islamico. La Stampa ha il merito di averne riportato considerazioni di straordinario interesse. 

Guerra, la trappola-Gaza, il nodo Netanyahu: due grandi ne riflettono
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

31 Ottobre 2023 - 15.07


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Thomas L.Friedman e Gilles Kepel sono due autorità assolute quanto a Israele, il Medio Oriente, il radicalismo islamico. La Stampa ha il merito di averne riportato considerazioni di straordinario interesse. 

Thomas L. Friedman per The New York Times pubblicato da La Stampa.

 Di seguito, i passaggi salienti: “Ammiro l’empatia con cui il presidente Biden si è recato di persona in Israele e ha parlato per convincere gli israeliani che non sono soli nella loro guerra contro i barbari di Hamas, tendendo allo stesso tempo la mano ai palestinesi moderati. Biden ha cercato di indurre le autorità israeliane in preda alla rabbia a fermarsi e a riflettere […] Credo che se si butta a capofitto dentro Gaza per distruggere Hamas […] Israele commette un errore devastante sia per gli interessi degli israeliani sia per quelli degli americani.

 Un errore di questo tipo potrebbe innescare una deflagrazione mondiale e sbriciolare l’intera compagine delle alleanze filoamericane che gli Stati Uniti hanno tessuto nella regione da quando Henry Kissinger riuscì a porre fine alla guerra del Kippur nel 1973.

Qui non si tratta di capire se Israele ha diritto a una rappresaglia contro Hamas per le barbarie inflitte a uomini, donne, neonati e anziani israeliani. Certo che lo ha. Qui si tratta di farlo nel modo giusto, che non faccia il gioco di Hamas, Iran e Russia.

 Se Israele entra a Gaza e ci resta per mesi, per uccidere o catturare ogni singolo esponente di Hamas, leader o combattente che sia, e al tempo stesso continua a espandere gli insediamenti ebraici in Cisgiordania – rendendo impossibile qualsiasi soluzione dei Due Stati con la ben più moderata Anp – non ci sarà una coalizione con i palestinesi o la Lega Araba o l’Unione europea o le Nazioni Unite o la Nato in grado di aiutare Israele, non se Israele sarà guidato da un governo che pensa e agisce come se potesse vendicarsi giustamente di Hamas mentre continua a costruire ingiustificatamente in Cisgiordania una società in cui vige l’apartheid, gestita da ebrei suprematisti. Questa è una politica contraddittoria.

 […] anche se il premier Netanyahu si rende conto che esagerare a Gaza potrebbe innescare l’esplosione di tutta la regione, i partner della sua coalizione di destra non vedono l’ora di alimentare le fiamme in Cisgiordania. Netanyahu […] per non essere arrestato per corruzione ha bisogno che quegli estremisti di destra restino nella sua coalizione. […] se non romperà i rapporti con i suprematisti ebrei continuerà a mettere tutto Israele dentro una gabbia a Gaza. […] le autorità militari israeliane in questo momento sono ancora più bellicose del primo ministro. Sono arrabbiate e determinate ad assestare a Hamas un colpo che nessuno dimenticherà mai nell’intera regione. […] Biden deve dire a questo governo israeliano che assumere il controllo di Gaza senza abbinare a questa impresa un simultaneo approccio del tutto diverso nei confronti degli insediamenti, la Cisgiordania e una soluzione dei Due Stati sarebbero una catastrofe sia per Israele sia per l’America.

Dobbiamo insistere affinché i nostri alleati arabi ed europei si adoperino per la creazione di un’Autorità nazionale palestinese più efficiente, meno corrotta e più legittimata in Cisgiordania e che, dopo una transizione a Gaza, dia una mano a governare anche lì. Non senza un cambiamento radicale, però, della politica di Israele nei confronti dell’Anp e dei coloni ebrei. In caso contrario, quello che è iniziato con un massacro di Hamas contro Israele potrebbe innescare una guerra in Medio Oriente. […] credo che Israele farebbe meglio […] a eseguire attacchi chirurgici con le sue forze speciali contro la leadership di Hamas, distinguendo tra civili abitanti di Gaza e Hamas. Se invece Israele ritiene di dover rioccupare Gaza per distruggere Hamas, dovrà abbinare questa operazione all’impegno a realizzare una soluzione dei Due Stati con i palestinesi che sono pronti a fare pace con Israele.

Se Israele vuole uscire da questa crisi deve sbarazzarsi del premier Benjamin Netanyahu». Ad affermarlo è Gilles Kepel, membro dell’International board della Fondazione Med-Or e professore all’Università di Parigi, specialista dell’Islam e del mondo arabo […] Parlando dell’attacco di Hamas, Kepel ricorda che è legato a «due eventi fondatori mitici nella coscienza araba»: la guerra del Kippur avvenuta 50 anni prima e l’attacco dell’11 settembre 2001. […]

Le responsabilità di Netanyahu

Emergono con nettezza nell’intervista di Danilo Ceccarelli: “

 Professor Kepel, ma quali sono esattamente le responsabilità di Netanyahu in questa crisi?

«Ha diviso la società israeliana appoggiandosi sull’estrema destra pro-coloni per ottenere in Parlamento una maggioranza utile a cambiare la legge in modo da evitare la prigione. Ha avuto un’ossessione nei confronti della sua sopravvivenza politica che ha portato le sfide globali per la sicurezza del Paese ad un’impasse mai vista prima nella storia di Israele. […] Oggi molti israeliani si chiedono se sia il caso di eliminarlo prima di condurre l’offensiva militare, perché non ha più legittimità politica. Per la prima volta dal 1948 l’invincibilità di Israele è stata attaccata in questo modo. […]».

 L’Iran ha svolto un ruolo nell’aggressione di Hamas?

«Secondo l’intelligence statunitense Teheran non ha niente a che vedere con l’attacco del 7 ottobre ma io non ci credo. Trovo improbabile che dei garagisti di Hamas abbiano potuto disattivare da soli la barriera di sicurezza di Israele con cacciaviti e pinze. […] Una disorganizzazione causata da Netanyahu, che in qualsiasi altro Paese sarebbe già finito davanti alla Corte marziale».

 E il Qatar?

«Doha è l’intermediario tra l’Iran e Israele. Le trattative si fanno lì, dove il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, vive in palazzi lussuosi. Per non far esplodere la situazione a Gaza, Netanyahu aveva creato un sistema insieme all’ex capo del Mossad, Yossi Cohen: ogni mese atterrava all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv un aereo pieno di dollari del Qatar, che venivano portati da lussuose jeep Mercedes fino alla frontiera con Gaza, dove venivano presi dai servizi egiziani che li portavano poi nella Striscia».

Quindi Teheran svolge un ruolo di primo piano in tutta la regione?

«Conduce le danze. Il Qatar è stato aiutato dall’Iran quando tra il 2017 e il 2020 ha subito un embargo dagli altri Stati del Golfo. Poi i due Paesi condividono il più grande giacimento di gas al mondo, il North Dome/South Pars: i qatarini si occupano delle estrazioni e poi versano soldi agli iraniani».

 Recentemente il ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin ha evocato il jihadismo d’atmosfera, riprendendo un suo concetto. Cosa intende esattamente con questa espressione?

«[…] dopo la distruzione di al Qaeda e dell’Isis, con i Fratelli musulmani non più troppo apprezzati dal Qatar e dalla Turchia, non c’è una vera organizzazione dell’Islam sunnita radicale capace di dare ordini. C’è un jihadismo d’atmosfera nel web, dove si ritrovano influencer e utenti che considerano la nostra legge come quella dei miscredenti e per questo secondo loro non bisogna rispettarla. Per loro conta solo la Sharia, la legge islamica nella sua dimensione più rigida. Questo significa che si ha il diritto di uccidere gli infedeli e gli apostati, i musulmani che non sono salafiti, e saccheggiare le loro proprietà».

C’è qualche esempio?

«Gli scontri nelle banlieue scoppiati dopo la morte di Nahel (il giovane rimasto ucciso a giugno durante un controllo strada nella periferia di Parigi, ndr). I giovani algerini sono andati in giro a saccheggiare negozi, e si sono fermati solo quando non c’erano più scarpe Nike o occhiali da sole firmati da rivendere nei mercati o su Internet. Questo è il jihadismo d’atmosfera, in base al quale si passa all’azione quando si presenta l’opportunità. Non si può quindi parlare di lupi solitari». […]”.

Gaza, l’invasione israeliana incontra per ora una dura resistenza

Ne dà conto, con la consueta perizia documentale e analitica, Pietro Batacchi diretto di Rid (Rivista italiana difesa): “Le forze israeliane sono entrate a Gaza in grande stile da 3 giorni: ormai si può parlare di invasione a tutti gli effetti. 

Le Idf si sono pienamente stabilite nell’area nord della Striscia e lungo la fascia costiera, sempre nel settore settentrionale, dove si sono spinti per 3-4 km a sud, fino al Bianco Resort. Per ora si guardano bene dall’entrare nel cosiddetto “quadrilatero”, ovvero quel sistema urbano composto più a sud da Gaza City e a nord da Beith Lahia e Beit Hanoun e da Jabalyia, con quest’ultima che, assieme al suo campo profughi, è collegata alla stessa Gaza City senza soluzione di continuità. Gli Israeliani stanno cercando di “ripulire” la cintura esterna al quadrilatero, dove esistono pochissimi insediamenti e villaggi, e stanno lavorando molto con il Genio per creare postazioni e terrapieni per proteggersi sopratutto dal fuoco dei mortai da 120 mm. I miliziani di Ezzedin Al Qassam (braccio armato di Hamas) e delle Brigate Al Quds (braccio armato della Jihad Islamica) utilizzando i tunnel conducono anche qualche imboscata per cercare di contendere il terreno e creare un po’ di attrito. Al momento, le IDF non sembrano voler entrare più in profondità nel tessuto urbano del quadrilatero, la cui “geografia” è peraltro resa ancora più complicata dall’elevato grado di distruzione, in particolare di Beit Hanoun; cosa che obbligherebbe a lunghe e complesse operazioni di rimozione ostacoli e macerie da parte del Genio. A partire dalla cintura esterna le Idf conducono delle azioni mirate: entra, colpisci ed esci. Di domenica, per esempio, è la notizia di scontri nel quartiere di Shuyaya, nella parte orientale di Gaza City. Gli obbiettivi di questi raid – condotti da commandos, forze speciali e parà, assieme a operatori dello Shin Bet – è cercare di liberare gli ostaggi – come accaduto con la soldatessa Ori Magidish l’altro ieri – neutralizzare elementi di Hamas e della Jihad e cercare di interdire le azioni delle squadre lanciarazzi. Allo stesso tempo bisogna valutare la risposta dell’avversario e quanto le sue capacità siano state “ammorbidite” da 3 settimane di intensi attacchi aerei. Per il resto, si continua a lavorare con l’Aviazione e i droni (in particolare gli HERMES 450) che orbitano costantemente sull’area per fare sorveglianza e ricognizione alimentando con i dati raccolti le operazioni terrestri e, in caso di cosiddetti bersagli popup, li eliminano con i missili SPIKE di bordo. Importante in questa fase anche il ruolo dell’artiglieria: si colpisce sopratutto con i razzi guidati ACCULAR, che equipaggiano sia gli MLRS MENATETZ che i nuovissimi lanciarazzi ruotati 6×6 PULS.

L’altro fronte aperto è quello a sud di Gaza City, in particolare tra il campo di Al Burej, la “Netzarim Junction” sull’autostrada Saah Al Din (che attraversa tutta la Striscia dal valico di Erez al valico di Rafah) e l’agglomerato di Zeitoun, nella periferia meridionale di Gaza City. Ad est di Zeitoun stamattina si segnalavano duri scontri tra fazioni palestinesi e Idf, ma non è chiaro quanto e se le stesse Idf stiano prendendo piede.

L’obbiettivo israeliano probabilmente in questa fase è cercare di isolare la parte nord di Gaza dal resto della Striscia – dove però rimarrebbe un altro dei tradizionali bastioni di Hamas, ovvero Khan Younis – e aumentare poi la pressione sui blocchi urbani, dopo però averli “frazionati”. Una strategia che richiede non solo molto tempo e l’accettazione di un rischio elevato, ma anche molte risorse e tanti riservisti. Il che, se il fronte resta solo quello di Gaza, e in misura minore quello della Cisgiordania, potrebbe essere sostenibile, ma se Hezbollah “si sveglia” sul serio la coperta rischia di essere corta. Al momento non si hanno dati certi su il numero e il tipo delle forze israeliane a Gaza, ma è possibile stimare la presenza della 401ª Brigata corazzata, della

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