La notizia è passata sottotraccia per la guerra a Gaza. Eppure a quella guerra è strettamente legata e dà conto del miserando fallimento della politica estera del governo Meloni nel Mediterraneo.
Buttate fuori gli ambasciatori pro-Israele
Da un lancio di qualche giorno fa di agenzia Nova: L’Alto consiglio di Stato della Libia ha chiesto di fermare le esportazioni di gas naturale e petrolio, nonché di interrompere i legami con i paesi considerati filo-israeliani. E’ quanto emerge dalla sessione straordinaria del “Senato” libico con sede a Tripoli tenuta e dedicata ai “crimini dell’entità sionista”, ovvero Israele, “contro il popolo palestinese a Gaza, tra cui uccisioni, sfollamenti forzati, genocidio, taglio dell’acqua e dell’elettricità e embargo alle forniture di cibo e forniture mediche”, secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa libica “Lana”. Il Consiglio di Stato, una sorta di Camera alta con funzioni prevalentemente consultive ma comunque indispensabili per le decisioni e le nomine più importanti, ha chiesto anche di “boicottare” i prodotti provenienti dagli Stati considerati pro-Israele. I consiglieri hanno ribadito il proprio sostegno ai “fratelli in Palestina fino alla liberazione dei loro territori”. I membri del Consiglio di Stato, molti dei quali sono ex deputati del Congresso generale nazionale, l’ex parlamento dominato dai movimenti islamisti eletto nell’agosto del 2012 e soppresso nel 2024, hanno discusso anche la possibilità di “fornire agli aiuti umanitari e medici urgenti agli abitanti di Gaza”.
Il Piano Mattei sotto le macerie di Gaza
Illuminante è la puntuta analisi firma Umberto Mazzantini per greenreport.it: “La notizia è clamorosa ma non ha avuto molta fortuna sui giornali e i telegiornali italiani, gli stessi che prima avevano invece seguito con intensa partecipazione le peripezie e gli accordi firmati dalla nostra premier Giorgia Meloni in Libia e Paesi limitrofi per lanciare un fumoso Piano Mattei che avrebbe fatto dell’Italia un luminoso esempio di cooperazione post-neocolonialista, ma basato su due pilastri del neocolonialismo: combustibili fossili e controllo poliziesco della migrazione per interposto governo fedele/alleato,
Infatti, come scrive The Libya Observer, il 25 ottobre la Camera dei Rappresentanti (HoR) della Libia, il Parlamento “moderato” di Tripoli riconosciuto dell’Italia, dall’Europa e dall’Onu ha chiestola cacciata dalla Libia degli ambasciatori dei Paesi che sostengono «L’entità sionista occupante – Israele», sollecitando «La fine dell’esportazione di petrolio e gas verso quei Paesi se i massacri continuano nella Striscia di Gaza».
La durissima dichiarazione della Camera dei rappresentanti di Tripoli sottolinea la necessità di «Fermare immediatamente l’aggressione israeliana», descritta come «Una campagna di genocidio da parte di bande sioniste» e dicendo un netto no allo sfollamento della popolazione della Striscia di Gaza in qualsiasi circostanza.
La HoR ha criticato le visite dei presidenti e premier di Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Italia e Francia in Israele per dichiarare il loro pieno sostegno agli israeliani accusandoli di voler «Uccidere il popolo palestinese ed eradicare il suo legittimo diritto alla resistenza e costruire la propria Stato indipendente». E ha condannato le azioni israeliane, accusando gli Usa e gli altri Paesi occidentali di «Condurre una guerra di genocidio contro un popolo assediato e indifeso». Poi ha accusato alcuni Paesi arabi – alleati dell’Italia e dell’Occidente – di aver fallin to nel tentativo di normalizzazione con l’occupazione israeliana e di essere incapaci di assumere una posizione coraggiosa che esprima la volontà del popolo arabo».
Una dichiarazione durissima che è stata seguita il 26 ottobre dalla decisione dell’Alto Consiglio di Stato (HCS) libico che, riunito in sessione straordinaria, ha dato un’altra picconata a un pilastro degli accordi italo-libici e del Piano Mattei chiedendo «La cessazione delle esportazioni di gas e petrolio verso i Paesi che sostengono i crimini del regime sionista, di boicottare i loro prodotti e di sospendere i rapporti con i loro ambasciatori fino a quando la brutale aggressione contro Gaza viene fermata».
Il Consiglio di Stato libico è un organo legislativo nato dall’Accordo Politico Libico del 17 dicembre 2015, voluto dall’Onu e dai Paesi occidentali per mettere fine agli scontri interni tra le principali fazioni del Paese.
I membri dell’Hcs hanno discusso di «Ciò che l’entità sionista sta commettendo contro il popolo palestinese, soprattutto a Gaza, tra cui uccisioni, spostamenti forzati, genocidio, taglio dell’acqua e dell’elettricità e impedendo l’arrivo di cibo e forniture mediche» ed evidenziando il sostegno del popolo libico per la Palestina finché le sue terre non saranno liberate dalla brutale occupazione».”
Amina Al-Mahjoub dell’Hcs ha detto a Fawasel che «La sessione del consiglio di giovedì ha discusso la situazione nella Striscia di Gaza e prevedeva l’adozione di una serie di decisioni concordate da tutti i membri del consiglio. Tutti i membri sono d’accordo sulla decisione all’unanimità. Abbiamo esaminato i bisogni dei residenti di Gaza e la necessità di aprire i valichi di frontiera per gli aiuti umanitari e medici».
L’Hcs ha anche chiesto «La formazione di una forza militare congiunta arabo-islamica da parte dei Paesi musulmani per entrare a Gaza per proteggere i civili e fermare l’escalation della situazione a livello internazionale», invitando i paesi arabi a «Smettere di trattare con l’entità sionista». Che non è proprio quel che il governo Meloni asserisce di voler mediare con la sua tremebonda astensione all’Onu sul cessate il fuoco a Gaza.
La mozione approvata è stata proposta dai deputati del Blocco di Consenso Nazionale dell’Hcs che si sono uniti alla richiesta della Camera dei Rappresentanti di «Emanare leggi urgenti che vietino a tutte le compagnie che sostengono l’occupazione israeliana di partecipare alle prossime gare d’appalto, in particolare nei settori del petrolio e del gas in Libia».
Il Blocco ha presentato alla Camera dei Rappresentanti una proposta di legge sul boicottaggio dei sostenitori dell’aggressione contro Gaza, il cui primo articolo stabilisce che «A ogni individuo all’interno della Libia o che lo rappresenta all’estero è vietato personalmente o tramite un intermediario concludere un accordo o condurre qualsiasi transazione in qualsiasi modo con una persona che ha la nazionalità di uno dei Paesi che sostengono la guerra di Israele a Gaza». Quindi anche l’Italia e l’ENI che in Libia e nord Africa è il vero ministro degli esteri del nostro Paese.
Il secondo articolo della proposta prevede che «Il Governo di unità nazionale, in coordinamento con i ministeri degli affari esteri e delle finanze, prepari elenchi di società e persone straniere soggette a questa legge», precisando che «Tali elenchi saranno aggiornati annualmente dopo la loro approvazione da parte del Consiglio di governo». Il terzo articolo invita ad «Applicare le sanzioni penali previste dalla legge n. 62 del 1957 sul boicottaggio di Israele a coloro che violano tale legge» e il Blocco ha affermato che «Questo passo sarebbe l’espressione più chiara e ottimale della portata della solidarietà libica a livello popolare e ufficiale con la causa palestinese».
Posizioni simili a quelle dei governi di Algeria e Tunisia con i quali il governo Meloni ha tentato di mettere in atto l’ossatura araba dal Piano Mattei, ma anche i Paesi petroliferi africani subsahariani – come Angola, Mozambico e Congo – con i quali abbiamo stretto accordi per la Via della Seta de noantri, sono storicamente filo-palestinesi e all’Onu non si sono certo astenuti.
E anche il primo ministro libico Abdul Hamid Dbeibah ha denunciato «I crimini di guerra e il genocidio nella Striscia di Gaza assediata. Prendere di mira civili indifesi, bombardare ospedali, ambulanze, moschee e scuole e l’assedio soffocante e disumano della Striscia di Gaza costituiscono un genocidio, crimini di guerra e una macchia scritta dalla storia sulla fronte degli occupanti e dei loro sostenitori».
Le versioni di Israele e dei media e dei governi occidentali non convincono il premier libico che solo poche settimane fa si scambiava strette di mano e finanziamenti e armi in cambio di gas e petrolio con Giorgia Meloni. Dbeibah ha detto che «Il massacro all’ospedale Al-Ahli di Gaza ha mostrato il brutto volto dell’occupazione israeliana e dell’odiosa macchina per uccidere che si vanta del suo potere e di un sostegno illimitato e arrogante. Il popolo e il governo della Libia non risparmieranno alcuno sforzo per fornire rapidamente aiuti umanitari e di soccorso, assicurandone il passaggio a Gaza» e ha sottolineato «L’espressione di solidarietà dei libici nei confronti dei palestinesi nelle pubbliche piazze attraverso le proteste in corso a sostegno della Gaza assediata».
Dbeibah si è rivolto ai leader dei Paesi arabi (che si contendono anche le “due” Libie), dicendo che «La questione centrale della Palestina è unire tutti i nostri popoli che sperano in una posizione ferma che costringa l’aggressore, l’occupante e i suoi sostenitori a fermare l’aggressione».
Ed in questo orizzonte il Piano Mattei e l’alleanza – detta e non detta – per fermare i migranti sfumano in un’orizzonte offuscato dal fumo della guerra di Gaza e delle sue possibili ricadute su un’opinione pubblica araba sempre più arrabbiata per il doppio standard occidentale fatto proprio anche dall’Italia.
Italia che comunque cerca ancora di tenere canali aperti, sperando che il debole governo libico sia un cane che abbaia e non morde il nostro cane a sei zampe.
Il 27 ottobre l’Ambasciata d’Italia in Libia ha annunciato lo sbarco di un ulteriore aereo carico di aiuti a Derna e nelle zone colpite dalla tempesta Daniel. Dopo il disastro del 10 settembre, la Croce Rossa Italiana ha inviato in Libia veicoli di soccorso e di emergenza, oltre a pompe idriche ad alta capacità e altri materiali di soccorso. Anche la nave San Marco della Marina italiana è arrivata in Libia pochi giorni dopo la tempesta, trasportando 100 tende complete di letti e sacchi a pelo capaci di ospitare un migliaio di persone.
Ma Derna è nell’altra Libia, quella orientale, e nella Libia governata dal governo amico dell’Occidente in realtà gli amici di Hamas sono molti di più.
Il Piano Mattei sembra proprio costruito sulle sabbie di un deserto sempre più instabile e rischia di sprofondare nel sangue di Gaza”.
Le cose stanno proprio così.
Figuracce seriali
Annota F.B. sul FarodiRoma: “Mercoledì 25 ottobre il Parlamento libico (Camera dei Rappresentati con sede a Bengasi) ha invitato gli ambasciatori italiano, francese, tedesco, inglese e americano a lasciare il Paese causa il sostegno dei loro governi ad Israele. “La guerra che si svolge oggi a Gaza è una guerra genocida condotta dagli Stati Uniti e dall’Occidente contro un popolo indifeso e assediato. Per responsabilità storica e umanitaria, chiediamo agli ambasciatori dei paesi che sostengono l’entità occupante nei suoi crimini di lasciare immediatamente il paese”. Questo è quanto emerge da un comunicato condiviso dal portavoce della Camera dei Rappresentanti (Parlamento), Abdullah Belhaq.
Teoricamente la decisione è stata presa dal Governo libico Humumat al Wahadat al Watania di unità nazionale formato il 10 marzo 2021 per unificare i due governi rivali di Tripoli e Bengasi. In realtà rimane la conflittualità tra i due governi che continuano a funzionare contemporaneamente mantenendo l’assurda situazione di doppio potere che impedisce la stabilizzazione del Paese. Le elezioni (previste per il dicembre 2021) vengono continuamente rinviate in quanto il Governo di Unità Nazionale con sede a Tripoli, guidato dal Primo Ministro Abdul Hamid Mohammed Dbeibah e il governo di stabilità nazionale (GNS) con sede nell’est, guidato dal primo ministro Osama Hamad e allineato con la Camera dei Rappresentanti hanno poco interesse a tenere le elezioni che diminuiranno il loro potere.
Di conseguenza non è chiaro come verrà attuata la richiesta di partenza degli ambasciatori: Gianluca Alberini, Richard Norland (USA), Mustafa Maharaj (Francia), Dr Martin Longden (Regno Unito) e Michael Ohnmacht (Germania). Le sedi delle missioni diplomatiche di questi Paesi si trovano a Tripoli, sotto il controllo del governo di Abdul Hamid Al-Dabaiab, attualmente in aperto contrasto con il Parlamento a Bengasi. Di fatto la condanna dei cinque Paesi occidentali e la richiesta di espulsione dei loro Ambasciatori è opera del Fedmaresciallo Khalifa Belqasim Haftar Alferjani. Il silenzio sulla vicenda adottato dal governo di Al-Dabaiab a Tripoli di fatto invalida la decisione presa dal Parlamento libico.
Vi è da notare che il Parlamento ha il supporto popolare per quanto riguarda le sue posizione nella crisi Israele-Palestina. Centinaia di migliaia di libici manifestano in tutto il Paese, Tripoli compresa, in solidarietà con i palestinesi. Questo pone Al-Dabaiab in seria difficoltà nel non rendere operativa la decisione presa dal Parlamento. Tuttavia la sopravvivenza politica e finanziaria di Tripoli dipende da questi Paesi, quindi difficilmente renderà operativa la richiesta del Parlamento libico…”.
Argomenti: giorgia meloni