Gaza: il Papa ha chiamato Raisi perché sa che il conflitto non è solo con i palestinesi ma con l'Iran
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Gaza: il Papa ha chiamato Raisi perché sa che il conflitto non è solo con i palestinesi ma con l'Iran

Il primo atto diplomatico per  superare il conflitto sia stato quello compiuto da papa Francesco che ha accettato di parlare al telefono con il presidente iraniano Raisi

Gaza: il Papa ha chiamato Raisi perché sa che il conflitto non è solo con i palestinesi ma con l'Iran
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

7 Novembre 2023 - 15.06


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Ad un mese di distanza dall’assalto feroce di Hamas ritengo che il primo atto diplomatico per  superare il conflitto sia stato quello compiuto da papa Francesco che ha accettato di parlare al telefono con il presidente iraniano Raisi (un atto di coraggio vista la storia nota e disgustosa di Raisi). Infatti è impossibile concludere un conflitto, magari con un accordo di pace, se non si capisce e non si riconosce con chi si combatte. E siccome a me sembra evidente che quello in corso non è un conflitto con i palestinesi, ma con l’Iran, la scelta del papa è cruciale. Per capirla dobbiamo scegliere un punto di vista, e a me sembra che quello arabo sia decisivo. Per capire come si arrivati sin qui occorre ricapitolare le fasi storiche del conflitto nella prospettiva araba.

  1. La prima fase del lungo conflitto, quella del conflitto arabo-israeliano, per gli arabi è stata segnata e caratterizzata dallo slogan nasseriano: “nessuna voce si levi sopra la voce della battaglia”. Dunque il conflitto metteva a tacere le società, la democrazia stessa era un pericolo. Prima e sopra di tutto c’era la battaglia.
  2. Dopo il conflitto del 73 il successore di Nasser, Sadat, pose termine a questa fase, firmando la pace con Israele (che andrebbe riletta per capirne l’audacia). I fondamentalisti lo uccisero, una grande strada di Teheran fu intestata all’assassino, Khaled Istanbuli e il fronte armato contro la pace con Israele fu rappresentato da Tehran, che in certo senso fece sua lo slogan che era stato del suo più acerrimo nemico, Nasser. Ora erano loro a dire “nessuna voce si levi sopra la voce della battaglia”. 

3)   Gli sviluppi bellici degli anni Novanta portarono alla disfatta del fronte del rifiuto arabo, quello che non stava con l’Iran, rifiutava la pace  ma non combatteva la guerra, usando la questione palestinese solo per giustificare le sue leggi speciali che consentivano ogni repressione. Questo fronte, guidato dai generali siriani e iracheni, andò in frantumi e arrivarono gli accordi di pace firmati da israeliani e palestinesi. Dal versante arabo della lotta furono i kamikaze organizzati e finanziati dall’Iran a far deragliare quegli accordi, con il loro stragismo di civili. Da allora la questione palestinese è scomparsa, sostituita dalla guerra aperta tra iraniani e arabi. 

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4)   Se la guerra di Bush padre nel 1990 aveva creato le condizioni per il processo di pace, la guerra di Bush figlio dopo l’11 settembre  creò le condizioni della vittoria iraniana, prima con la conquista dell’Iraq da parte delle milizie khomeiniste e poi della Siria grazie alla sconfitta del movimento abbandonato da tutti, la Primavera araba.  A questo evidente disastro per gli arabi, gli emiri del l Golfo hanno risposto con la pace di Abramo, pensata come una pace contro l’Iran. 

5)    Quando la pace contro l’Iran è stato sul punto di chiudere il cerchio con il trattato tra Israele e Arabia Saudita, Teheran ha affidato il siluramento dell’intesa ad Hamas. Si può discutere al riguardo, visto che non sappiamo con precisione cosa si sarebbe stabilito nel trattato per i palestinesi, ma l’impressione diffusa che ancora una volta gli arabi facessero una pace senza considerare i palestinesi ha facilitato la vittoria dell’ala estremista di Hamas, quella che come Khomeini si richiama al pensiero teocratico di Sayyd Qutb e che si è alleata con Tehran. La firma iraniana nell’operazione del 7 ottobre sta nell’uso del captagon da parte dei terroristi. Questa droga sintetica che gli ha consentito di agire come hanno agito è prodotta dall’uomo di Tehran, Assad, e commercializzata nel mondo, inclusa Gaza evidentemente, das Hezbollah, il braccio operativo di Tehran nella regione. 

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6)   Dunque la guerra cominciata il 7 ottobre è una guerra dell’Iran contro Israele e gli arabi pronti a una pace con Israele contro di loro. 

Se questo è il quadro, c’è un solo modo per uscire dall’errore di consegnare ai terroristi di Hamas lo status di belligeranti e non quello di criminali: riconoscerli come criminali sì, ma usati da Tehran. Dunque la pace, se la si volesse, va fatta con il mandante, cioè con il regime iraniano. Ma il negoziato con loro, a differenza di quello che fece maldestramente Obama, non può essere solo sul nucleare, piuttosto sulla terra. Che ruolo pretende di avere l’Iran nella regione? Ritiene di poter ricostruire con la forza l’impero persiano di cui si sente erede? Ritiene di potersi vendicare di Alessandro Magno che fissò i confini della Persia alias Iran al limite orientale dell’antica Mesopotamia e non più sul Mediterraneo? Se Tehran immagina di poter imporre un balzo indietro nel tempo di circa tremila anni, lo dica. 

La risposta araba a questa visione che rifiuta l’idea stessa di storia non è quella dei tiranni corrotti che stanno straziando quelle terre e che l’Occidente seguita a inseguire. La risposta araba, popolare, l’ha data dal 2011 la Primavera: “il popolo vuole la caduta del regime”. Questo slogan fissa la linea dei tunisini, egiziani, yemeniti, libanesi, siriani iracheni, tutti i Paesi che sono stati sconvolti dalla proposta araba, alleata del mondo ma che il mondo non ha voluto sentire. Questa risposta respinge la teocrazia iraniana: non Dio, ma il popolo è sovrano. Conseguentemente non vuole regimi, ma Parlamenti nazionali espressioni dei cittadini. 

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Dunque il negoziato di pace con l’Iran è il negoziato di pace tra opinioni pubbliche che credono e affermano questa visione e un regime che definendosi “esportatore della rivoluzione” teocratica di Khomeini propone l’esatto opposto. 

Non si tratta, è evidente, di un negoziato facile, e soprattutto una delle due parti, l’opinione pubblica araba, non è rappresentata da nessuno, non potendosi ritenere alcun regime cleptocratico e tirannico arabo espressione di questa volontà. E’ qui la debolezza ma anche l’audacia della proposta di Francesco che però avrebbe sempre un freccia (oggi spuntata) al suo arco: si tratta degli arabi cristiani. Potrebbe essere loro, magari compattandosi nell’elezione di un presidente libanese atteso ormai da un anno, il primo tassello di un fronte arabo capace di negoziare. Il presidente del Libano deve essere un cristiano, si sa. 

Alleato della grande diplomazia vaticana potrebbe valere di più del cinismo del Qatar o della spregiudicatezza saudita, anche per la loro stessa tutela. I cristiani del Libano si sono addormentati nel letargo della protezione che hanno prediletto, quella di Hezbollah o quella dei sauditi. E’ ora che escano allo scoperto dagli opposti fascismi in cui sono sprofondati per salvare sé stessi e con loro il mondo arabo. Forse è chiedergli troppo, visto il livello a cui hanno contribuito a ridurre il loro Paese. Ma se non si osa si muore. Le qualità dell’Oman, mediatore costante e credibile, potrebbero affiancarli.  

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