Ciò che in Israele si scrive, in Italia sarebbe tacciato di antisemitismo
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Ciò che in Israele si scrive, in Italia sarebbe tacciato di antisemitismo

Pensiamo alle parole di uno che è stato primo ministro d’Israele: Ehud Olmert. Dice peste e corna di Netanyahu e invoca la restituzione delle terre occupate da Israele ai palestinesi...

Ciò che in Israele si scrive, in Italia sarebbe tacciato di antisemitismo
Proteste contro Netanyahu
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

8 Novembre 2023 - 15.16


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Il direttore di Globalist, Gianni Cipriani, ha il vizietto, fruttuoso, di andare controcorrente rispetto alla superficialità partigiana della stampa mainstream. E lo fa, memore della sua storia di giornalista d’inchiesta, razza ormai in via di estinzione, che va alla ricerca di chicche preziose che sulla stampa di cui sopra non trovano spazio.

Di solito, perché sono notizie, dichiarazioni, che contrastano una informazione con l’elmetto, come quella che in Italia si è arruolata in difesa del diritto d’Israele non alla risposta, dovuta, inevitabile, attacco terroristi di Hamas del 7 ottobre, ma al diritto di spianare Gaza, considerando decine di migliaia di vittime civili, moltissime delle quali donne e bambini, come “effetto collaterale” , doloroso ma alla fin fine inevitabile, dell’annientamento dei “nazisti” di Hamas. A guidare Israele in questa guerra di annientamento è un primo ministro definito nei peggiori termini possibili, e qui c’è la chicca segnalata in questa chiava da Cipriani, ossia le parole di uno che conosce benissimo Netanyahu, avendolo avuto come collega di partito, il Likud, per una vita politico. Uno che è stato primo ministro d’Israele: Ehud Olmert. Costui nella dichiarazione segnalata da Cipriani, non solo si dice d’accordo alla soluzione a due Stati, ma addirittura ne definisce i confini: quelli pre Guerra dei Sei giorni, con alcune modifiche territoriali, fondate sulla base del principio di reciprocità. Se Olmert facesse queste dichiarazioni oggi, in Italia, non in Israele in Italia, verrebbe tacciato dagli ultras d’Israele di essere connivente con i terroristi sanguinari di Hamas. 

A questo siamo arrivati. Alla caricatura demonizzante delle posizioni altrui. A considerare nemici di Israele, da comodi divani dei salotti mediatici romani e milanesi, ex primi ministri d’Israele, generali della riserva, ex capi dei servizi di intelligence israeliani – Mossad e Shin Bet – firma del giornalismo israeliano che mettono sul banco degli imputati, per il disastro del 7 ottobre e tant’altro, l’osannato, dalla stampa mainstream italiota, Benjamin Bibi Netanyahu.

Dimissioni, subito

Globalist preferisce far parlare analisti israeliani, personalità che per storia e passaporto, non possono certo essere definiti degli antisemiti. 

Persone come Nehemia Shtrasler, che su Haaretz scrive: “Mentre Benjamin Netanyahu pianta un coltello nella schiena dei piloti e dei soldati riservisti accusandoli falsamente di essere responsabili della disfatta del 7 ottobre, ci sono alcuni giornalisti di sinistra (la destra ha una miriade di portavoce) che per qualche motivo hanno deciso di aiutare l’imputato.

Notano che il primo ministro è responsabile della catastrofe e che si preoccupa solo di se stesso, ma poi, con uno spettacolare salto mortale, giungono all’assurda conclusione che l’opinione pubblica non dovrebbe chiedere le sue dimissioni immediate, ma solo dopo la fine della guerra. Dicono che tale richiesta non farà altro che “rafforzarlo”. Se è così, allora chiediamo che Bibi rimanga in carica per sempre, in modo da indebolirlo.

Gli stessi giornalisti e analisti di seconda categoria affermano che è importante consegnarlo alla giustizia, ma “non ora”. Ignorano il fatto che lui e la sua banda di disonesti non hanno aspettato nemmeno un momento, ma stanno già lavorando dall’alba al tramonto alla ricerca dei verbali delle riunioni per dimostrare che le Forze di Difesa Israeliane e il servizio di sicurezza Shin Bet sono da biasimare, che il movimento di protesta è da biasimare, i piloti da combattimento riservisti, David Ben-Gurion – tutti sono colpevoli, e solo lui è puro come la neve. La loro richiesta, “non ora”, è come quella di genitori i cui figli vengono maltrattati dalla maestra d’asilo che chiedono che venga sostituita, ma solo tra due o tre anni.

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Non c’è nulla di nuovo nel fatto che ogni criminale insista nel dire “sono innocente”. Anche i leader israeliani del passato non volevano dimettersi. Golda Meir non volle dimettersi dopo la disfatta della guerra dello Yom Kippur e Menachem Begin non volle dimettersi dopo la prima guerra del Libano. Solo la pressione dell’opinione pubblica e le manifestazioni periodiche li costrinsero a dimettersi. Oggi è lo stesso. Se vogliamo che se ne vada presto, dobbiamo iniziare a manifestare contro di lui oggi stesso.

Le proteste interromperanno il funzionamento della sua enorme “macchina dei veleni”, una macchina che comprende migliaia di bot che amplificano costantemente i suoi messaggi sui social media. Ancora oggi, continua a elargire miliardi agli ultra-ortodossi e ai coloni, oltre a fornire posti di lavoro agli alleati per assicurarsi il loro sostegno quando sarà il momento. Siamo in un incontro di boxe di 15 round, in cui è difficile andare al tappeto al primo round. Prima devi sferrare una serie di pugni che facciano perdere l’equilibrio all’avversario e solo dopo puoi sferrare il colpo finale.

C’è un gruppo di israeliani che lo capisce molto bene. Si chiama Mehdal 23 e ogni giorno organizza una manifestazione al 22 di Kaplan St. a Tel Aviv, non lontano dalla più grande manifestazione delle famiglie degli ostaggi, con persone che reggono cartelli con slogan come “Bibi è colpevole”, “Bibi sta distruggendo Israele” e “Bibi, dimettiti”. Il gruppo lo segue anche nelle sue case di Cesarea e Gerusalemme.

Il fondatore del gruppo è Gideon Avital-Eppstein, che già il secondo giorno di guerra (8 ottobre) si trovava con dei cartelli davanti all’ingresso principale della base di Kirya, sede del quartier generale dell’Idf e del Ministero della Difesa, in Begin Road. Sei o sette persone si sono presto unite a lui e l’esercito ha chiamato la polizia. Sulla scena è arrivato il sovrintendente Meir Suissa, il criminale in uniforme che all’inizio dell’anno ha lanciato granate stordenti contro i manifestanti a favore della democrazia. Arrivò con alcuni agenti e, senza alcun preavviso, iniziarono a picchiare ferocemente i manifestanti, che erano adulti di età avanzata. Gideon e i suoi compagni sono caduti e sono rimasti feriti. Gideon è stato addirittura portato all’ospedale Ichilov con una ferita alla testa. In un paese democratico, Suissa sarebbe stato perseguito e mandato in prigione per aggressione. Invece, La Familia, il fan club razzista della squadra di calcio Beitar Jerusalem, sta pensando di inviargli dei fiori e il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir sta pensando di promuoverlo.

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Mehdal 23 prevede di estendere le sue manifestazioni quotidiane a Gerusalemme, con la partecipazione importante delle famiglie in lutto, e di continuare l’assedio alla casa (alle case, più precisamente) di Netanyahu, chiedendo le sue immediate dimissioni.

Bibi deve andarsene ora non solo per la sua assoluta responsabilità nella disfatta del 7 ottobre, ma anche perché sta sabotando lo sforzo bellico. È impossibile vincere con lui, né in battaglia né sul fronte socio-economico.

Gran parte della famiglia di Gadi Kedem è stata uccisa dai terroristi di Hamas nella loro casa nel Kibbutz Nir Oz: sua figlia, Tamar Kedem Siman Tov; suo marito, Yonatan (Johnny); sua suocera Carol Siman Tov; le due figlie di sei anni della coppia, Shahar e Arbel; e il loro figlio Omer, di quattro anni. Parlando con immenso dolore, il padre in lutto, Gadi Kedem, ha detto: “Incolpo Netanyahu per il più grande disastro nella storia dello Stato, il sangue della mia famiglia è sulle sue mani”.

Kedem ha ragione. Il sangue delle 1.400 persone che sono state uccise e trucidate nell’attacco di Hamas del 7 ottobre è sulle mani di Netanyahu. L’uomo più spregevole della storia del popolo ebraico deve essere cacciato, immediatamente”.

Ora, pensate per un istante, un solo istante se una affermazione del genere “Netanyahu. L’uomo più spregevole della storia del popolo ebraico…”, fosse stata pronunciata o scritta in Italia. Apriti cielo! Giù botte (parolaie) da orbi, a colpi “ecco l’antisemita”, guai al “sostenitore dei terroristi palestinese”. Giù le mani da Bibi….

Meno male che in Israele. Lì un giornalismo con la schiena dritta esiste e non si autocensura, neanche in tempi di guerra, soprattutto in tempi di guerra.

“Non sarà comunque una vittoria”.

Giornalisti come Zvi Bar’el, storica firma di Haaretz, un professionista conosciuto e apprezzato per la sua competenza, rigore di giudizio, indipendenza. Scrive Bar’el a proposito della guerra in corso: “Non ci sarà alcuna immagine di vittoria da questa guerra, perché non finirà nemmeno quando si smetterà di sparare. Secondo quanto riferito, le Forze di Difesa Israeliane hanno già circondato l’ospedale di Al-Shifa e pare che presto faranno irruzione. Forse presto vedremo video di soldati dell’Idf che visitano le cantine dell’enorme ospedale.

Insieme a giornalisti e fotografi, visiteremo il posto di comando sotterraneo di Hamas, vedremo i piani del massacro nel sud di Israele sui nostri tablet ed esamineremo il libretto di istruzioni che ordinava agli assassini di uccidere il maggior numero possibile di persone. Forse vedremo anche i corpi di alti, anzi altissimi funzionari di Hamas stesi sul pavimento. Forse il leader di Hamas nella Striscia di Gaza, Yahya Sinwar, ci verrà servito su un piatto d’argento.

Ma non sarà un’immagine di vittoria. Chiedi ai genitori delle 1.400 persone uccise; chiedi alle madri, ai fratelli e agli zii dei 240 ostaggi; chiedi alle persone sradicate da Be’eri e Re’im, da Sufa e Nahal Oz, che passano notti da incubo negli hotel, se questa è una consolazione sufficiente per loro.

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Le migliaia di bambini gazawi  che sono stati uccisi fino ad oggi e che saranno uccisi in futuro, allevieranno le loro menti e le loro anime tormentate? Le immagini di devastazione da Gaza cancelleranno le orribili immagini dei cadaveri carbonizzati a Re’im, dei corpi con gli occhi cavati e gli arti tagliati a Zikim, dei mucchi di ostaggi caricati come bestiame macellato su pickup Toyota bianchi diretti ai tunnel e alle cantine di Gaza?

Nessuna immagine di vittoria è possibile quando i responsabili di questo terribile massacro sono ancora aggrappati al potere e al paese come se fosse una palestra nel loro parco giochi privato. Quindi, anche se ci sarà una vittoria militare a Gaza, non potrà concludersi con la rimozione di Hamas.

Dopo che tutte le promesse saranno state mantenute, Hamas sarà finito e i suoi leader saranno stati liquidati, inizieranno la seconda e la terza campagna di questa guerra. Perché l’organizzazione nota come Governo di Israele sta lavorando alacremente per ostacolare qualsiasi piano per il giorno successivo alla guerra, anche se siamo già nel bel mezzo di essa e Israele è diventato un occupante a tutti gli effetti a Gaza.

Per quanto riguarda il governo, l’idea che l’Autorità Palestinese si assuma la responsabilità di Gaza non è contemplata. È un’illusione di cui non si deve parlare, né tantomeno accennare.

Secondo questo governo, trasferire il controllo all’Autorità Palestinese non è diverso dal lasciare Hamas al potere. Dopo tutto, il governo chiama l’Autorità Palestinese “autorità del terrore”, anche se l’amministrazione di Washington la pensa diversamente. Si tratta di una minaccia che deve essere eliminata, soprattutto dopo la scomparsa di Hamas, se effettivamente scomparirà.

Trasferire il potere all’Autorità Palestinese distruggerebbe la strategia israeliana di fare affidamento su una scissione perpetua tra la Cisgiordania e Gaza per bloccare la minaccia di una soluzione a due Stati. Questa gloriosa strategia è ciò che ha dato ad Hamas il suo status unico e il suo potere di veto su qualsiasi soluzione diplomatica, uno status che Israele ha coltivato e incoraggiato per anni.

Se l’Autorità palestinese riprende a essere l’unico rappresentante di tutti i palestinesi, e non solo della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, smetterà di servire l’argomentazione israeliana secondo cui, in assenza di un unico rappresentante, non c’è alcun partner per i colloqui. Senza Hamas al servizio dell’ideologia di Benjamin Netanyahu, quest’ultimo dovrà prendere il posto dell’organizzazione e presentarsi al fronte per combattere il mondo intero, soprattutto gli Stati Uniti, su ogni accenno di iniziativa diplomatica.

Questa sarà la terza campagna di guerra. E finché sarà questo governo a pianificare lo scenario postbellico, i residenti della zona di confine di Gaza e della Galilea faranno bene a trovare sistemazioni alternative a lungo termine. Questa sarà la loro immagine di vittoria”.

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