Obitorio Gaza: una verità che va gridata
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Obitorio Gaza: una verità che va gridata

Dichiarazione di Adele Khodr, Direttore regionale Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa

Obitorio Gaza: una verità che va gridata
Palestinesi a Gaza
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

13 Novembre 2023 - 13.12


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Di seguito le denunce di Agenzie Onu, di importanti Ong internazionali.

Dichiarazione di Adele Khodr, Direttore regionale Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa; Laila Baker, Direttore regionale Unfpa per gli Stati Arabi; Ahmed Al-Mandhari, Direttore regionale Oms per il Mediterraneo orientale.

“I Direttori regionali dell’Unfpa, dell’Unicef e dell’Oms chiedono un’azione internazionale urgente per porre fine agli attacchi in corso contro gli ospedali di Gaza. Siamo inorriditi dalle ultime notizie di attacchi contro e nelle vicinanze dell’ospedale Al-Shifa, dell’ospedale pediatrico Al-Rantissi Naser, dell’ospedale Al-Quds e di altri nella città di Gaza e nel nord della Striscia di Gaza, che hanno causato molte vittime, tra cui bambini. Le intense ostilità che circondano diversi ospedali nel nord di Gaza impediscono un accesso sicuro al personale sanitario, ai feriti e agli altri pazienti. Secondo le notizie, i neonati prematuri e i neonati in attesa di supporto vitale sono morti a causa di interruzioni di corrente, di ossigeno e di acqua all’ospedale Al-Shifa, mentre altri sono a rischio. Il personale di diversi ospedali riferisce di mancanza di carburante, acqua e forniture mediche di base, mettendo a rischio immediato la vita di tutti i pazienti. Negli ultimi 36 giorni, l’OMS ha registrato almeno 137 attacchi all’assistenza sanitaria a Gaza, che hanno causato 521 morti e 686 feriti, tra cui 16 morti e 38 feriti tra gli operatori sanitari in servizio. Gli attacchi alle strutture mediche e ai civili sono inaccettabili e costituiscono una violazione del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani e delle Convenzioni. Non possono essere tollerati. Il diritto di richiedere assistenza medica, soprattutto in tempi di crisi, non dovrebbe mai essere negato. Più della metà degli ospedali della Striscia di Gaza sono chiusi. Quelli ancora funzionanti sono sottoposti a forti tensioni e possono fornire solo servizi di emergenza molto limitati, interventi chirurgici salvavita e servizi di terapia intensiva. La carenza di acqua, cibo e carburante minaccia anche il benessere di migliaia di sfollati, tra cui donne e bambini, che si rifugiano negli ospedali e nelle loro vicinanze. Il mondo non può rimanere in silenzio mentre gli ospedali, che dovrebbero essere rifugi sicuri, si trasformano in scene di morte, devastazione e disperazione. È necessaria un’azione internazionale decisa per garantire un immediato cessate il fuoco umanitario e prevenire ulteriori perdite di vite umane, oltre a preservare ciò che resta del sistema sanitario di Gaza. È necessario un accesso libero, sicuro e duraturo per fornire carburante, forniture mediche e acqua per questi servizi salvavita. La violenza deve finire ora”.

Racconti dall’inferno in terra

Save the Children. l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini e le bambine a rischio e garantire loro un futuro, ha raccolto alcune testimonianze di alcune donne, madri ma anche operatrici dell’Organizzazione, che ogni giorno stanno affrontando le difficoltà quotidiane e le paure di tutti gli abitanti di Gaza, dopo l’escalation che continua dal 7 ottobre.

“Mentre scrivo questo messaggio, mio figlio sta dormendo sulle mie ginocchia, non riesco a lasciarlo solo perché è sempre spaventato. Il mio cuore va a coloro che hanno perso i loro cari e le loro case… Anche noi stiamo aspettando il nostro turno. Viviamo nella costante paura dell’ignoto e le nostre condizioni di vita sono molto difficili, anche se il grado di sofferenza varia da persona a persona”, ha raccontato Samar*, che lavora con Save the Children ed è madre di tre bambini, tutti hanno meno di sette anni e il più piccolo ne ha solo due. “Non abbiamo accesso all’acqua potabile e il cibo scarseggia. Non sappiamo nemmeno come faremo a provvedere ai bisogni dei nostri figli. La situazione peggiora di giorno in giorno, perché siamo costretti a comprare la farina a un prezzo quattro volte superiore a quello normale e diventa sempre più difficile trovarla. Abbiamo perso le nostre case e tutti i nostri beni; non sappiamo dove andare. Mi spezza il cuore vedere i bambini affamati e mi sento impotente sapendo di non poter provvedere ai loro bisogni. Lavarsi è diventato un lusso e so che i miei colleghi sfollati nei rifugi pubblici soffrono ancora di più”, conclude.

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“Oggi mia figlia mi ha chiesto delle persone che partono attraverso il valico di Rafah. Le ho spiegato che hanno la cittadinanza di altri Paesi. È corsa a prendere il suo salvadanaio, che conteneva 50 shekel (12 dollari), e mi ha pregato di comprarle una cittadinanza. La situazione è molto difficile. Sono esausta” ha detto Raida*, che lavora per l’Organizzazione ed è madre di tre figli, tutti hanno meno di 16 anni, il più piccolo ne ha nove.

Razan*, è nonna di 2 bambini con meno di sei anni. Lavora per Save the Children e ha viaggiato fuori Gaza prima del 7 ottobre e non può tornare dalla sua famiglia: “Parlo con mia figlia e mi dice che i suoi figli non riescono più a sopportarlo. Urlano in continuazione. Che Dio dia a tutti la pazienza. La situazione è davvero insopportabile. “I bambini si esprimono urlando. Anche mia figlia ha paura, vuole che i suoi figli restino accanto a lei. Ha paura che ci sia un attacco aereo mentre loro sono lontani da lei. Ma le ho detto di non limitarli e di cercare di stare sempre con loro. Le ho detto di abbracciali, di parlare e giocare con loro. E se Dio vuole, questa situazione finirà bene”.

“Per proteggere chi non imbraccia le armi, c’è il diritto internazionale umanitario che non chiede né pace, né giustizia, ma il rispetto, durante le operazioni militari, del principio di distinzione tra obiettivi militari e popolazione civile, e dei principi di umanità e proporzionalità, che impongono limiti e condizioni all’utilizzo della forza. Non un costrutto legale astratto, ma un quadro di norme per limitare gli effetti più devastanti dei conflitti, assicurando la protezione dei civili e l’accesso dei soccorritori.  

È doverosa la condanna al brutale attacco del 7 ottobre e alla presa degli ostaggi da parte di Hamas. Da allora bombardamenti incessanti e indiscriminati hanno scatenato una punizione collettiva oltre ogni regola.  

A Gaza, dove un’intera popolazione viene equiparata a un obiettivo militare e costretta a movimenti forzati, è stato screditato lo spirito stesso del diritto internazionale umanitario, mentre diventa totalmente irrealistico un efficace dispiegamento degli aiuti. 

Prima del 7 ottobre, tra i 300 e i 500 camion di rifornimenti entravano nella Striscia ogni giorno. Per settimane il valico di Rafah è stato chiuso, dal 21 ottobre a oggi è transitata una media di 40 camion al giorno: beni essenziali del tutto insufficienti per gli oltre 2 milioni di palestinesi sotto assedio. È fondamentale interrompere bombardamenti e attacchi indiscriminati per consentire un flusso costante e prevedibile di forniture mediche e umanitarie. Attraverso più valichi e su tutta la Striscia e non in aree predefinite, e senza mai diventare uno strumento per spingere le persone a spostarsi.  

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A Gaza, oggi, non c’è un posto sicuro. Anche l’eventuale presenza di combattenti tra i civili non giustifica mai la trasformazione di un’intera area urbana in obiettivo militare. Un ospedale, un’ambulanza non dovrebbero mai essere un target, ma questi attacchi accadono quasi ogni giorno e si stanno ancora intensificando. 

“La situazione è catastrofica”, dicono dottori e infermieri di Medici Senza Frontiere che operano ad Al Shifa. E a Gaza le strutture mediche sono colpite due volte: dai bombardamenti e dalla mancanza di gasolio, elettricità e farmaci essenziali, che alla fine ne causano la chiusura. Rendere insicure le strutture sanitarie, concepite per offrire cure e salvare vite, è un attacco diretto ai principi fondamentali del diritto umanitario internazionale e all’umanità.  

L’uso di civili come scudi umani è altrettanto disumano, oltre che proibito, come la presa di ostaggi, ma nemmeno è consentito condizionare gli aiuti al loro rilascio.  

Il ruolo delle organizzazioni umanitarie, come Msf, non è lamentare la violazione delle norme umanitarie, ma chiedere quotidianamente il loro rispetto agli eserciti o ai gruppi armati che controllano territori e popolazioni. Non sempre funziona, non tutti i giorni, ma queste non sono regole per umanitari, sono responsabilità di tutti gli Stati.  

Oggi più che mai serve la loro applicazione in Medio Oriente dove il conflitto arabo-israeliano, irrisolto da troppo tempo, è entrato in una inaudita spirale di violenza politica e militare.  

La gravità della situazione impone a tutti, soprattutto ai paesi con un’influenza nella regione, e anche all’Italia, di chiedere un immediato cessate il fuoco. Le pause umanitarie di alcune ore non bastano.  

Noi siamo pronti ad aumentare la nostra risposta a Gazac on l’invio di nuovi team e forniture mediche. Ma qualsiasi sforzo sarà insufficiente o inutile senza un cessate il fuoco immediato”.

500mila ostaggi

“La situazione per circa 500.000 civili palestinesi e per gli oltre 200 ostaggi israeliani e di altri Paesi intrappolati nel nord di Gaza è sempre più preoccupante, dato che sono stretti in un “assedio nell’assedio”. È l’allarme lanciato nei giorni scorsi da Oxfam di fronte alla morsa imposta dalle forze israeliane su Gaza City e sul nord della Striscia.

“Siamo sfuggiti alla morte due volte – raccontava un operatore di Oxfam – Ci sentiamo come topi in gabbia. Gaza City è chiusa, e abbiamo appreso che le persone in viaggio per trovare un rifugio nel sud sono rimaste uccise durante un attacco aereo. Sembra che stiano per bombardare l’area. A Shifa la situazione è un incubo: le fogne sono state danneggiate e le mosche sono dappertutto. Il rumore dei droni in cielo non ci lascia mai”.

“Condividiamo quello che abbiamo con altre dieci famiglie. – ha aggiunto Alhasan Swairjo, un altro operatore di Oxfam che si trova con la famiglia nel nord di Gaza – Nei mercati sta finendo tutto e dipendiamo dal cibo in scatola. I panifici non hanno elettricità e senza carburante avranno autonomia solo qualche giorno ancora. Facciamo il pane in casa, ma non sappiamo se nei prossimi giorni avremo abbastanza gas per cucinare. I nostri figli soffrono, non capiscono perchè ci siamo trasferiti, perchè Israele ci spara. Non riusciamo a spiegargli quanto sta accadendo. Stiamo lottando per sopravvivere”. 

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“La decisione di Israele di privare i civili di Gaza di beni essenziali per la loro sopravvivenza, come cibo, acqua, carburante e medicine equivale a una punizione collettiva. Israele sta usando la fame come arma di guerra, un crimine secondo il diritto umanitario internazionale, che non viene mitigato dal passaggio di qualche aiuto attraverso Rafah – sottolinea in una nota Paolo Pezzati, portavoce di Oxfam Italia per le crisi umanitarie – L’ordine di evacuazione del 13 ottobre non riduce la necessità di proteggere i civili che non possono o non vogliono andarsene. Le comunicazioni con Gaza in questo momento sono frammentarie e non consentono di accertare esattamente quanto sta accadendo. I civili non dovrebbero mai essere il bersaglio di attacchi e, se scelgono di rimanere nelle loro case, hanno il diritto di farlo in sicurezza. In questo momento c’è il rischio che il prezzo che pagheranno nel nord di Gaza sia altissimo”.

A più riprese Oxfam ha condannato Hamas per l’attacco del 7 ottobre e per l’uccisione di 1.400 israeliani, per lo più civili, e per la cattura di oltre 200 ostaggi – tutte violazioni del diritto umanitario internazionale. Tutti gli ostaggi detenuti da Hamas e dai gruppi armati dovrebbero essere rilasciati immediatamente e senza condizioni.

Oxfam sta anche sostenendo alcune delle organizzazioni partner che operano ancora nel sud di Gaza, per fornire aiuti alla popolazione, mentre portare aiuti nel nord della Striscia al momento è praticamente impossibile. Gli oltre due milioni di persone ora ammassate nel sud di Gaza affrontano una situazione di insicurezza, caos e incertezza, con acqua, cibo, medicine e carburante insufficienti”.

Il crollo quasi totale e gli attacchi ai servizi medici e sanitari in tutta Gaza, in particolare nelle aree settentrionali, minacciano la vita di tutti i bambini della Striscia di Gaza. Questo l’allarme lanciato oggi dall’Unicef. “Il diritto alla vita e alla salute dei bambini viene negato – ha dichiaratoAdele Khodr, Direttore regionale dell’Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa, in un comunicato – la protezione degli ospedali e la consegna di forniture mediche salvavita è un obbligo previsto dalle leggi di guerra ed entrambe le cose sono necessarie ora”. “I bambini di Gaza sono appesi a un filo, soprattutto nel nord – ha detto Khodr – migliaia e migliaia di bambini rimangono nel nord di Gaza mentre le ostilità si intensificano. Questi bambini non hanno un posto dove andare e sono a rischio estremo. Chiediamo che gli attacchi alle strutture sanitarie cessino immediatamente e che vengano consegnati urgentemente carburante e forniture mediche agli ospedali di tutta Gaza, comprese le zone settentrionali della Striscia”. 

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