"Mi si spezza il cuore": testimonianze dall'inferno di Gaza
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"Mi si spezza il cuore": testimonianze dall'inferno di Gaza

Testimonianze sul campo, come quella di Catherine Russell, Direttore generale Unicef sulla sua missione a Gaza

"Mi si spezza il cuore": testimonianze dall'inferno di Gaza
Bombardamenti israeliani su Gaza
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

15 Novembre 2023 - 14.45


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Spezza il cuore raccogliere le testimonianze accorate, disperate, che giungono ogni giorno, ogni ora, da Gaza. Ma darne conto è un dovere morale prim’ancora che professionale, a cui Globalist non intende sottrarsi. Testimonianze sul campo, come quella di Catherine Russell, Direttore generale Unicef sulla sua missione a Gaza

“Oggi sono stata in missione nella Striscia di Gaza per incontrare i bambini, le loro famiglie e gli operatori dell’Unicef. Ciò che ho visto e sentito è stato devastante. Hanno affrontato ripetuti bombardamenti, perdite e sfollamento. Nella Striscia, 1 milione di bambini di Gaza non ha un posto sicuro dove rifugiarsi. Le parti in conflitto stanno commettendo gravi violazioni contro i bambini, tra cui uccisioni, mutilazioni, rapimenti, attacchi su scuole e ospedali e la negazione dell’accesso umanitario – tutte cose che l’Unicef condanna. 

 Secondo le notizie, a Gaza, oltre 4.600 bambini sono stati uccisi e circa 9.000 feriti. Molti bambini sono dispersi e si pensa siano sepolti sotto le macerie di edifici e case crollate, il tragico risultato dell’uso di armi esplosive in aree popolate. Nel frattempo, i neonati che necessitano di cure specializzate sono morti in uno degli ospedali di Gaza, mentre l’energia elettrica e le forniture mediche si esauriscono e la violenza continua con effetto indiscriminato.

 All’ospedale Al Naser a Khan Yunis, ho incontrato pazienti e famiglie sfollate alla ricerca di un rifugio e sicurezza. Una ragazza di 16 anni dal suo letto in ospedale mi ha detto che il suo quartiere è stato bombardato. Lei è sopravvissuta ma i dottori hanno detto che non potrà più tornare a camminare.Nel reparto neonatale dell’ospedale i piccoli bambini si aggrappavano alla vita nelle incubatrici, mentre i medici si preoccupavano di come far funzionare le macchine senza carburante.

 Durante la mia missione a Gaza, ho incontrato anche operatori dell’Unicef che stanno continuando ad aiutare i bambini nonostante i pericoli e la devastazione. Hanno condiviso le loro storie strazianti sull’impatto della guerra sui loro figli, su membri delle loro famiglie uccisi e su come sono stati sfollati molte volte.

 Molte persone, compreso il nostro staff e le loro famiglie, adesso vivono in rifugi sovraffollati con pochissima acqua, cibo o servizi igienici decenti – condizioni che possono portare allo scoppio di malattie.

 Il rischio per il personale umanitario all’interno di Gaza è altissimo. Da ottobre sono stati uccisi più di 100 membri del personale dell’Unrwa.

L’Unicef e i suoi partner stanno facendo tutto ciò che possono, compreso l’invio di forniture umanitarie disperatamente necessarie. Ma il gasolio è praticamente esauritoe alcuni ospedali e centri sanitari hanno smesso di funzionare. Senza carburante, gli impianti di desalinizzazione non possono produrre acqua potabile e le forniture umanitarie non possono essere distribuite.

 L’apertura intermittente dei valichi di frontiera di Gaza ai carichi di forniture umanitarie è insufficiente a soddisfare le esigenze che stanno raggiungendo livelli altissimi. E con l’inverno alle porte, il bisogno di carburante potrebbe diventare ancora più forte. Quando ho lasciato Gaza oggi, la pioggia scrosciava, accrescendo la tristezza. Sono qui per fare tutto il possibile per chiedere la protezione dei bambini. Chiedo ancora una volta a tutte le parti di garantire che i bambini siano protetti e assistiti, come previsto dal diritto internazionale umanitario. Solo le parti in conflitto possono davvero fermare questo orrore.

 Invito inoltre le parti ad attuare un immediato cessate il fuoco umanitario, a rilasciare in sicurezza tutti i bambini rapiti e detenuti e a garantire che il personale umanitario abbia un accesso sicuro, continuativo e senza ostacoli per raggiungere chi ne ha bisogno con tutti i servizi e gli aiuti salvavita”.

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Appello unitario

“Le organizzazioni umanitarie che operano a Gaza – tra cui Save the Children, l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini e le bambine a rischio e garantire loro un futuro – hanno lanciato un avvertimento urgente: le riserve di carburante fondamentali per le operazioni di aiuto sono esaurite, causando l’interruzione completa della limitata assistenza fornita a Gaza nelle ultime settimane.

L’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi in Medio Oriente (Unrwa) e l’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) hanno annunciato ieri che l’ultimo serbatoio di carburante si è esaurito, rendendo impossibile una risposta alla popolazione e accelerando l’aggravarsi dell’attuale catastrofe umanitaria, che rischia di diventare di proporzioni inimmaginabili.

Gli ospedali e le strutture sanitarie, già gravemente paralizzati e in molti casi assediati e sottoposti a frequenti attacchi, si trovano sull’orlo dell’interruzione totale dei servizi, incapaci di fornire anche l’assistenza medica di base ai pazienti gravemente malati e feriti. Senza carburante, le morti prevenibili già previste a causa degli ostacoli all’accesso sanitario, subiranno una crescita esponenziale, così come la sofferenza della popolazione.

I due restanti impianti di distribuzione dell’acqua cesseranno di funzionare nelle prossime ore, lasciando 2,2 milioni di persone senza acqua potabile. Questa non solo è una punizione collettiva e una violazione dei diritti umani fondamentali, ma è una tragedia annunciata in termini di salute pubblica, perché comporterà che né rifiuti né liquami saranno rimossi.  La popolazione di Gaza, che già sopporta difficoltà indicibili, si trova ora ad affrontare una grave aumento dei rischi sanitari, tra cui epidemie di malattie trasmesse dall’acqua.

Senza carburante, i pochi camion di aiuti arrivati ​​nelle ultime settimane – l’unica ancora di salvezza rimasta a Gaza per la consegna di beni essenziali salvavita – sono completamente fermi.

Inoltre, senza carburante per i generatori elettrici delle reti di comunicazione, ci aspettiamo un altro black out completo delle stesse e un’interruzione di ogni collegamento con i colleghi umanitari, senza alcuna previsione su quando potranno essere ripristinate.

Le agenzie umanitarie sono già state costrette a valutare se utilizzare il carburante per alimentare gli ospedali o per fornire l’accesso all’acqua. Presto nessuno dei due sarà possibile.

Esortiamo tutte le parti a riconoscere e rispettare i propri obblighi ai sensi del diritto internazionale. Questi includono il dovere di garantire la fornitura di assistenza umanitaria e la protezione dei diritti dei civili nelle zone di conflitto. La decisione del governo israeliano di negare e limitare beni essenziali come elettricità, acqua, internet, connessioni telefoniche e, soprattutto, carburante, costituisce una violazione di tali obblighi.

La comunità internazionale deve agire in maniera congiunta e con risolutezza per garantire il flusso ininterrotto di aiuti e il carburante necessario per fornirli, salvaguardando la dignità e i diritti di tutti i civili colpiti. Questi ostacoli a una risposta umanitaria adeguata, efficace e basata sui principi, sono di natura politica e devono essere affrontati attraverso un’azione diplomatica urgente. È necessario agire in modo immediato e decisivo per evitare un completo collasso umanitario a Gaza.

*L’Associazione delle Agenzie Internazionali per lo Sviluppo, di cui Save the Children fa parte, è il principale gruppo che racchiude le organizzazioni internazionali non governative che operano nei Territori Palestinesi Occupati 

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“Mi si spezza il cuore” 

Da un report di Save the Children: “ Eì  così che iniziano i messaggi e le testimonianze che ci arrivano dal nostro staff da Gaza. 

Abbiamo ricevuto le testimonianze di alcune delle donne, madri che sono parte del nostro staff e si trovano a Gaza con le loro famiglie. Come spieghi al tuo bambino perché stanno bombardando la tua città e la tua casa? O l’orrore che è costretto a vedere? Le parole che hanno condiviso con noi ci fanno capire che non è possibile dare una risposta a questi interrogativi, perché nessuna spiegazione è sufficiente. Vanno avanti e si fanno forza per i loro figli, con la speranza che tutto questo finisca.

Gaza: testimonianze dallo staff 

Samar, lavora con noi a Gaza ed è madre di tre bambini, tutti hanno meno di sette anni e il più piccolo ne ha solo due.

“Mentre scrivo questo messaggio, mio figlio sta dormendo sulle mie ginocchia, non riesco a lasciarlo solo perché è sempre spaventato. Il mio cuore va a coloro che hanno perso i loro cari e le loro case… Anche noi stiamo aspettando il nostro turno. Viviamo nella costante paura dell’ignoto e le nostre condizioni di vita sono molto difficili, anche se il grado di sofferenza varia da persona a persona. Non abbiamo accesso all’acqua potabile e il cibo scarseggia. Non sappiamo nemmeno come faremo a provvedere ai bisogni dei nostri figli. La situazione peggiora di giorno in giorno, perché siamo costretti a comprare la farina a un prezzo quattro volte superiore a quello normale e diventa sempre più difficile trovarla. Abbiamo perso le nostre case e tutti i nostri beni; non sappiamo dove andare. Mi spezza il cuore vedere i bambini affamati e mi sento impotente sapendo di non poter provvedere ai loro bisogni. Lavarsi è diventato un lusso e so che i miei colleghi sfollati nei rifugi pubblici soffrono ancora di più”, conclude.

Raida, anche lei lavora con noi ed è madre di tre figli, tutti hanno meno di 16 anni, il più piccolo ne ha nove:

“Oggi mia figlia mi ha chiesto delle persone che partono attraverso il valico di Rafah. Le ho spiegato che hanno la cittadinanza di altri Paesi. È corsa a prendere il suo salvadanaio, che conteneva 50 shekel (12 dollari), e mi ha pregato di comprarle una cittadinanza. La situazione è molto difficile. Sono esausta” 

Razan, è nonna di 2 bambini con meno di sei anni. Lavora nel nostro team e ha viaggiato fuori Gaza prima del 7 ottobre e non può tornare dalla sua famiglia:

“Parlo con mia figlia e mi dice che i suoi figli non riescono più a sopportarlo. Urlano in continuazione. Che Dio dia a tutti la pazienza. La situazione è davvero insopportabile. I bambini si esprimono urlando. Anche mia figlia ha paura, vuole che i suoi figli restino accanto a lei. Ha paura che ci sia un attacco aereo mentre loro sono lontani da lei. Ma le ho detto di non limitarli e di cercare di stare sempre con loro. Le ho detto di abbracciali, di parlare e giocare con loro. E se Dio vuole, questa situazione finirà bene”.

Mentre le violenze nei Territori Palestinesi Occupati continuano, i civili continuano a pagare il prezzo più alto. La situazione che stanno vivendo famiglie e bambini di Gaza è intollerabile: è necessario il cessate il fuoco, ora”.

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La testimonianza di Lana, una neomamma 

“Solo due settimane fa ho dato alla luce il mio primo figlio a Gerusalemme Est.Mio figlio è sano e io e mio marito siamo innamoratissimi di lui. Ma accanto all’immutata beatitudine della maternità, c’è il dolore e il senso di colpa.  

Il dolore per le madri di Gaza che scrivono i nomi dei loro figli sulle mani, in modo che, se venissero uccisi, possano essere identificati prima di essere sepolti in una fossa comune. Dolore per le madri che partoriscono tra le macerie invece che in una stanza d’ospedale, o che subiscono cesarei senza anestesia. Dolore per le madri i cui figli sono tra i mille che si dice siano irreperibili, intrappolati sotto le macerie. Senso di colpa per ogni momento di felicità che provo con il mio neonato sapendo che le madri di Gaza sopportano la paura costante per la vita del loro bambino o il dolore inimmaginabile della sua morte. 

Secondo il Ministero della Sanità di Gaza, in tre settimane sono stati uccisi 3.300 bambini a Gaza. Come palestinese, non sono nuova a vivere il conflitto, avendo trascorso tutta la mia vita sotto l’occupazione militare israeliana. Il mondo generalmente descrive gli episodi di violenza in Cisgiordania e a Gaza come “scontri” o “escalation”. Io li ricordo come amici uccisi. O mio fratello detenuto. O come soldati che assaltano la mia casa. O una casa di famiglia demolita. O come la necessità di partorire da sola, senza la mia famiglia, a causa di chiusure e posti di blocco.  


Ma questo è diverso. La portata e la ferocia delle ostilità a Gaza mi terrorizzano. 

A volte sembra che il mondo pensi che le vite dei palestinesi non siano importanti, come se la vita di un bambino di Gaza fosse meno importante di quella degli altri bambini di questo mondo. Un comitato dell’Onu ha lanciato un monito contro i discorsi d’odio, dopo che i palestinesi sono stati definiti “animali”. Questo linguaggio ci disumanizza e suggerisce che la morte e la sofferenza dei nostri figli siano in qualche modo accettabili. Sebbene queste parole non possano sminuire la nostra dignità, non bisogna sbagliare: sono parole pericolose.

Sono stata incollata al mio telefono, mentre arrivavano messaggi sempre più strazianti da parte di amici e familiari a Gaza. Aspettando ogni mattina lo stesso messaggio: “Sono vivo”. Fino a venerdì sera, quando le linee telefoniche e l’accesso a Internet sono stati interrotti. Quando le linee di comunicazione vengono interrotte, le persone a Gaza sono tagliate fuori dal mondo, tagliate fuori l’una dall’altra, oltre ad essere tagliate fuori dall’accesso al cibo, all’acqua pulita e alle cure mediche.   

Non è esagerato dire che, se non si permette agli aiuti di entrare a Gaza nella misura richiesta, molti bambini semplicemente non sopravvivranno. Se le bombe non li uccidono, lo faranno la disidratazione o le malattie. Se passerà altro tempo senza un cessate il fuoco, senza un accesso umanitario senza ostacoli, gli aiuti in attesa su quei camion dovranno essere sostituiti da bare. Ma con solo una dozzina di camion che passano ogni giorno da un singolo valico, non posso fare a meno di chiedermi: quanti camion saranno necessari per trasportare 3.300 bare a misura di bambino? Di quanti altri avremo bisogno?”.

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