La scoperta tardiva di un inferno in terra: la sofferenza come "normalità" imposta a Gaza
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La scoperta tardiva di un inferno in terra: la sofferenza come "normalità" imposta a Gaza

 Gaza è diventata un "luogo di morte inabitabile". Così le Nazioni Unite. E’ vero. Ma lo era ancor prima, molto prima, che Gaza fosse ridotta dalla reazione di Israele all’attacco di Hamas del 7 ottobre, un cumulo di macerie.

La scoperta tardiva di un inferno in terra: la sofferenza come "normalità" imposta a Gaza
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

7 Gennaio 2024 - 12.30


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 Gaza è diventata un “luogo di morte inabitabile”. Così le Nazioni Unite. E’ vero. Ma lo era ancor prima, molto prima, che Gaza fosse ridotta dalla reazione di Israele all’attacco di Hamas del 7 ottobre, un cumulo di macerie. Lasciatecelo dire, a noi di Globalist. Raccontare oggi la tragedia, il genocidio in atto a Gaza, è facile. Fa notizia, almeno ancora per un po’. Ma dove erano i raccontatori dell’oggi quando Gaza era “inabitabile” nella sua parvenza di “normalità”. Chi ne ha scritto? Chi ha dato il giusto risalto ai puntuali, documentati, rapporti di Ong internazionali come Oxfam, Amnesty International, Human Rights Watch etc? Pochi, pochissimi. E sapete perché? Perché i palestinesi esistono mediaticamente soltanto quando diventano “minaccia”. Esistono perché terrorizzano. Della loro quotidianità disperante, del loro essere popolo occupato da oltre mezzo secolo, non gliene frega niente a nessuno dei tanti soloni che pontificano in qualche salotto televisivo o nelle articolesse di una stampa insopportabilmente mainstream. 

Quella “normalità” che uccide

Costoro a Gaza non c’hanno mai messo piede. Non ne hanno respirato gli odori insalubri di una immensa prigione a cielo aperto, con il liquame che si mischia con l’acqua del mare, con i bambini che giocano  a scalare montagne di rifiuti. Non hanno la benché minima percezione di cosa voglia dire vivere isolati dal resto del mondo, crescere senza speranza, con l’infanzia negata, con la morte che bussa continuamente alla porta. 

E a pagarne il prezzo più alto sono i più indifesi tra gli indifesi: i bambini. 

Così l’ultimo grido d’allarme dell’Unicef: “I bambini della Striscia di Gaza si trovano ad affrontare una triplice minaccia mortale per le loro vite, con l’aumento dei casi di malattie, il crollo della nutrizione e l’escalation delle ostilità che si avvicina alla quattordicesima settimana.

 Migliaia di bambini sono già morti a causa delle violenze, mentre le condizioni di vita dei bambini continuano a deteriorarsi rapidamente, con l’aumento dei casi di diarrea e la crescente povertà alimentare tra i bambini, aumentando il rischio di un aumento delle morti tra i bambini.

 “I bambini di Gaza sono intrappolati in un incubo che peggiora di giorno in giorno”, ha dichiarato Catherine Russell, Direttrice generale dell’Unicef. “I bambini e le famiglie della Striscia di Gaza continuano a essere uccisi e feriti nei combattimenti, e le loro vite sono sempre più a rischio a causa di malattie prevenibili e della mancanza di cibo e acqua. Tutti i bambini e i civili devono essere protetti dalla violenza e avere accesso ai servizi e alle forniture di base”.

 I casi di diarrea nei bambini sotto i cinque anni sono passati da 48.000 a 71.000 in una sola settimana a partire dal 17 dicembre, pari a 3.200 nuovi casi di diarrea al giorno. L’aumento significativo dei casi in un periodo di tempo così breve è una forte indicazione del fatto che la salute dei bambini nella Striscia di Gaza si sta rapidamente deteriorando. Prima dell’escalation delle ostilità, si registrava una media di 2.000 casi di diarrea nei bambini sotto i cinque anni al mese. Questa recente impennata rappresenta uno sconcertante aumento di circa il 2000%.

 Da quando, a fine dicembre, la Classificazione Integrata della Fase di Sicurezza Alimentare ha avvertito del rischio di carestia nella Striscia di Gaza, l’Unicef ha rilevato che un numero crescente di bambini non riesce a soddisfare i propri bisogni nutrizionali di base. Circa il 90% dei bambini di età inferiore ai due anni consuma due o meno gruppi di alimenti, secondo un’indagine dell’Unicef condotta il 26 dicembre. Questo dato è in aumento rispetto all’80% dei bambini rispetto alla stessa indagine condotta due settimane prima. La maggior parte delle famiglie ha dichiarato che i propri figli ricevono solo cereali – compreso il pane – o latte, il che equivale alla definizione di “grave povertà alimentare”. Anche la diversità alimentare delle donne in gravidanza e in allattamento è gravemente compromessa: il 25% ha consumato solo un tipo di alimento il giorno precedente e quasi il 65% solo due.

 Il deterioramento della situazione sta sollevando preoccupazioni per la malnutrizione acuta e la mortalità che sta superando la soglia della carestia. L’Unicef è particolarmente preoccupato per la nutrizione di oltre 155.000 donne in gravidanza e madri in allattamento, nonché di oltre 135.000 bambini sotto i due anni, date le loro specifiche esigenze nutrizionali e la loro vulnerabilità.

 Se combinate e non trattate, la malnutrizione e le malattie creano un circolo vizioso mortale. È dimostrato che i bambini in cattive condizioni di salute e nutrizione sono più vulnerabili a infezioni gravi come la diarrea acuta. La diarrea acuta e prolungata aggrava seriamente le cattive condizioni di salute e la malnutrizione dei bambini, esponendoli a un elevato rischio di morte.

 Il conflitto ha danneggiato o distrutto i sistemi idrici, igienici e sanitari essenziali nella Striscia di Gaza e ha limitato la capacità di trattare la malnutrizione grave. Inoltre, i bambini sfollati e le loro famiglie non sono in grado di mantenere i livelli di igiene necessari per prevenire le malattie, data l’allarmante mancanza di acqua sicura e di servizi igienici, e molti ricorrono alla defecazione a cielo aperto. Nel frattempo, i pochissimi ospedali funzionanti sono talmente concentrati a rispondere all’elevato numero di pazienti feriti nel conflitto che non sono in grado di trattare adeguatamente i focolai di malattia.

 Fin dall’inizio del conflitto, l’Unicef ha consegnato forniture vitali alla Striscia di Gaza, tra cui vaccini, forniture mediche, kit per l’igiene, latte in polvere pronto per l’uso, alimenti supplementari specializzati, integratori alimentari e alimenti terapeutici pronti per l’uso per la prevenzione precoce e il trattamento della malnutrizione acuta. L’Unicef ha anche consegnato carburante, acqua, cisterne e taniche, servizi igienici mobili, teloni, tende, vestiti invernali e coperte.

 L’Unicef chiede la ripresa del traffico commerciale per rifornire gli scaffali dei negozi e un immediato cessate il fuoco umanitario per contribuire a salvare vite civili e alleviare le sofferenze.

 “L’Unicef lavora per fornire gli aiuti salvavita di cui i bambini di Gaza hanno disperatamente bisogno. Ma abbiamo urgentemente bisogno di un accesso migliore e più sicuro per salvare le vite dei bambini”, ha dichiarato Russell. “Il futuro di altre migliaia di bambini di Gaza è in bilico. Il mondo non può restare a guardare. La violenza e la sofferenza dei bambini devono finire”.

A voi “smemorati”

Quindici anni di blocco totale.  Una condizione disumana. A 15 anni dall’inizio del blocco israeliano su Gaza, ancora 2,1 milioni di persone vivono reclusi, in quella che di fatto è una prigione a cielo aperto. Un’intera generazione di giovani palestinesi, oltre 800 mila, hanno trascorso la loro intera vita in questa situazione, senza conoscere nient’altro.

È la denuncia lanciata da Oxfam alla vigilia del quindicesimo anniversario dall’inizio delle restrizioni imposte sulla Striscia, di fronte ad una situazione di cui non si intravede nessuna soluzione negoziata tra le parti, nonostante gli sforzi umanitari sostenuti dalla comunità internazionale e dalle Nazioni Unite, che fino ad oggi hanno stanziato 5,7 miliardi di dollari in aiuti.

“Siamo di fronte ad una crisi divenuta cronica, che costringe organizzazioni come Oxfam – da anni operativa sul campo – a lavorare per garantire la mera sopravvivenza di una popolazione sfinita, eppure straordinariamente resistente   –afferma Paolo Pezzati, policy advisor di Oxfam per le emergenze umanitarie – In questo momento 7 persone su 10 a Gaza dipendono dagli aiuti umanitari per far fronte ai bisogni essenziali di ogni giorno. Il controllo di Israele sulla Striscia è pressoché totale e si spinge a livelli paradossali e punitivi nei confronti della popolazione. Pensiamo alle regole sull’esportazione di pomodori, che di fatto impediscono ai produttori di vendere ciò che hanno coltivato. Rivolgiamo un appello al Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, affinché una revoca immediata del blocco su Gaza divenga prioritaria nell’agenda internazionale”.

#OpenUpGaza15: una campagna per ridare speranza 

Partirà nei prossimi giorni #OpenUpGaza15, una campagna di sensibilizzazione per restituire speranza a una generazione che rischia di perderla per sempre. Basti pensare che il 63% dei giovani a Gaza non riesce a trovare lavoro e 4 ragazze su 5 non hanno un’occupazione retribuita.

“Molte restrizioni israeliane hanno ragioni politiche, non certo di sicurezza. Le famiglie palestinesi di Gaza subiscono collettivamente una punizione illegale –aggiunge Pezzati – Israele impedisce l’esportazione di pasta di datteri, biscotti e patatine fritte, ha interdetto l’uso del 3G e del 4G sui cellullari, non c’è PayPal. Certamente questo non è un paese per giovani.”

Le storie dei giovani perduti di Gaza

La campagna #OpenUpGaza15 racconterà la storia di 15 ragazzi, le privazioni quotidiane, gli ostacoli, le difficoltà con cui devono fare i conti per vivere e coltivare i propri interessi.

Come quella di Ahmad Abu Dagga che a 15 anni è bravissimo in scienze, ma teme che finirà la scuola senza aver mai visto un microscopio; o quella di Alaa Abu Sleih, 23 anni, nato con una disabilità, che quando si è rotto il pannello dei comandi della sua sedia a rotelle non ha potuto averne uno nuovo, mentre le gomme si stanno consumando e non sa come riuscirà a muoversi.

Le restrizioni limitano la possibilità di portare aiuti

In questo momento è perciò difficilissimo portare aiuti alla popolazione di Gaza, promuovere lo sviluppo per un’organizzazione come Oxfam, che al pari di altri lavora tra le mille restrizioni imposte da Israele sui servizi e sulla mobilità di risorse e persone. Val la pena ricordare a questo proposito che il 97% dell’acqua corrente non è potabile a Gaza e che la fornitura di elettricità è limitata a 12 ore al giorno.

 Urgente un piano vincolante per la rimozione del blocco

“Le Nazioni Unite e i gli Stati membri devono usare tutta la diplomazia possibile per porre fine al blocco – conclude Pezzati – Tutte le parti devono impegnarsi per un piano con precise scadenze e stringenti meccanismi di rendicontazione. Crediamo davvero sia giunta l’ora di consegnare alla storia questi 15 anni di blocco.” 

Infanzia negata

Dopo 15 anni di vita sotto blocco, nella Striscia di Gaza, quattro bambini su cinque dichiarano di soffrire di depressione, angoscia e paura. Sono questi i risultati del Rapporto “Intrappolati”, diffuso oggi da Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini e garantire loro un futuro.
 La ricerca ha rilevato che il benessere mentale di bambini, giovani e operatori sanitari nell’area è notevolmente peggiorato negli anni. I bambini che segnalano disagio emotivo a Gaza, infatti, sono l’80%, in netto aumento rispetto al 55% del 2018, quando è stato realizzato uno studio simile. Questi dati mostrano, ancora una volta, come la situazione attuale abbia un impatto profondamente negativo sul benessere dei bambini e sulla loro speranza in un futuro migliore.
 Il rapporto “Intrappolati”, ha rilevato un considerevole aumento di bambini che hanno riferito di sentirsi spaventati (84% rispetto al 50% del 2018), nervosi (80% rispetto al 55%), tristi o depressi (77% rispetto al 62%) e in lutto (78% contro 55%). Più della metà di loro ha pensato al suicidio (il 55% di loro) e tre su cinque hanno commesso atti di autolesionismo (59%).
 Save the Children chiede che il governo di Israele revochi il blocco della Striscia di Gaza e che le autorità locali, la comunità internazionale e i donatori sostengano il rapido rafforzamento dei servizi di protezione per l’infanzia e di supporto per la salute mentale.
Negli ultimi 15 anni, i bambini nella Striscia di Gaza sono stati vittime di sei eventi che hanno avuto un impatto devastante su di loro: stiamo parlando di cinque picchi di violenza a cui si aggiunge la pandemia da Covid-19, che oltre al blocco terrestre, aereo e marittimo imposto dal governo di Israele limita la loro vita. Dei due milioni di abitanti di Gaza, il 47% è costituito da bambini e più di 800mila di loro non hanno mai conosciuto una vita senza blocco

Oltre ai danni fisici, alla privazione economica e alla mancanza di accesso a servizi essenziali come l’assistenza sanitaria, secondo il rapporto di Save the Children, il blocco ha generato una profonda emergenza sulla salute mentale di bambine, bambini e adolescenti.

Amr, 14 anni, ricorda ancora il terrore che ha provato durante l’escalation di violenza dell’anno scorso: “Di notte non riuscivo a dormire perché avevo gli incubi. Avevo davvero paura che avrebbero bombardato la nostra casa o avrebbero bombardato di nuovo i nostri vicini. Ero terrorizzato. Raccontavo a mio padre degli incubi e lui mi rassicurava dicendomi che non sarebbe accaduto. Poi tornavo a letto e cercavo di dormire di nuovo”.
I genitori o caregiver che hanno partecipato alla raccolta dati dell’Organizzazione, hanno sottolineato che il 79% dei bambini e degli adolescenti hanno avuto un aumento degli episodi di enuresi notturna rispetto agli scorsi anni e il 78% che i propri figli spesso non hanno completato i compiti. Circa il 59% di loro ha affermato che c’è stata una crescita del numero di minori che hanno difficoltà nel linguaggio e nella comunicazione, o che soffrono di mutismo reattivo temporaneo, un sintomo che è conseguenza di traumi o abusi. Come sottolinea Save the Children, tutti questi aspetti hanno un enorme impatto, sia nell’immediato che a lungo termine, sullo sviluppo, l’apprendimento e l’interazione sociale di bambine, bambini e adolescenti.


 Secondo il rapporto “Intrappolati”, gli stessi genitori e caregiver stanno sperimentando livelli più elevati di stress emotivo e il 96% di loro riferisce di sentirsi infelice e costantemente ansioso.


“I bambini di Gaza con cui abbiamo parlato per questo realizzare questo rapporto, hanno raccontato di vivere in un perenne stato di paura, preoccupazione, tristezza e sofferenza, in attesa che scoppi il prossimo round di violenza e che si sentono incapaci di dormire o di concentrarsi. L’evidenza fisica del loro disagio, con enuresi notturna, perdita della capacità di parlare o di completare i compiti di base, è scioccante e dovrebbe servire da campanello d’allarme per la comunità internazionale”, dichiara Jason Lee, Country Director di Save the Children nei Territori Palestinesi Occupati.


“Già cinque anni fa, genitori e caregiver ci dicevano che la loro capacità di sostenere i propri figli era al limite a causa del blocco, della povertà cronica e dell’insicurezza e che molto probabilmente sarebbe stata completamente annullata in caso di un altro conflitto. I dati del nostro rapporto mostrano che le loro preoccupazioni purtroppo si sono avverate” ha proseguito Jason Lee.


“Chiediamo a tutte le parti di affrontare le cause profonde di questo conflitto e di adottare misure per proteggere tutti i bambini e le famiglie che meritano di vivere in sicurezza e con dignità. Abbiamo bisogno di una cessazione immediata delle ostilità e dello stop alle privazioni economiche che sono enormi fattori di stress nella vita dei bambini, così come un’azione per sostenere il potenziale di resilienza dei bambini e delle loro famiglie nella Striscia di Gaza”, conclude Jason Lee.


Ameera, 14 anni, ci ha raccontato come la sua vita sarebbe cambiata se l’embargo fosse stato rimosso oggi, dicendoci che si sarebbe “…sentita più connessa al mondo intero”. “Potrei fare quello che voglio e andare dove voglio. Studierei informatica e in particolare mi laureerei in progettazione di realtà virtuale. Questo è ciò che voglio davvero fare nella vita, ma non posso farlo qui a Gaza, non abbiamo un programma del genere”, ha commentato.
 Save the Children chiede al governo di Israele di adottare misure immediate per revocare il blocco della Striscia di Gaza nel quadro della risoluzione 1860 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (2009). La comunità internazionale dovrebbe chiedere urgentemente a Israele di compiere questi passi, oltre a porre fine all’occupazione in corso e a lavorare con tutti gli attori in campo, affinché si creino le condizioni per rinnovare i colloqui tra le parti in conflitto e arrivare ad una giusta soluzione.


L’agonia di Gaza

Gaza, una prigione che torna a fare notizia quando si fa la conta dei morti, quando torna ad essere un teatro di guerra. Allora i riflettori si riaccendono, i media ne tornano a parlare. Dimenticando che la vera, grande tragedia di Gaza e della sua gente, è la normalità.  Ed è nella ‘normalità’ che Gaza muore. Nel silenzio generale, nel disinteresse dei mass media, nella complicità della comunità internazionale, nella pratica disumana e illegale delle punizioni collettive perpetrate da Israele, nel cinico operare di Hamas, Gaza sta morendo. L’assedio sta privando una popolazione di 2,1milioni di abitanti, il 56% al di sotto dei 18 anni, del bene più vitale: l’acqua. A otto anni dal sanguinoso conflitto che nel 2014 distrusse buona parte del sistema idrico e fognario di Gaza, il sistema straordinario disegnato dalla comunità internazionale per la ricostruzione post-bellica (il cosiddetto Gaza Reconstruction Mechanism-Grm) non riesce ancora a rispondere ai bisogni degli oltre 2 milioni di abitanti della Striscia “intrappolati” in una delle zone più densamente popolate del mondo. Una situazione drammatica, rimarcava un precedente report di Oxfam, aggravata degli effetti del quindicennale blocco di Israele sulla Striscia, di cui le prime vittime sono oltre 2 milioni di persone che devono sopravvivere con uno scarsissimo accesso all’acqua e una situazione igienico-sanitaria in continuo peggioramento. Basti pensare che il 95% della popolazione – anche solo per bere e cucinare – dipende dall’acqua marina desalinizzata fornita dalle autocisterne private, semplicemente perché l’acqua fornita dalla rete idrica municipale (che presenta oltre 40% di perdite) non è potabile o perché oltre 40mila abitanti non sono allacciati alla rete. A questo si aggiunge un sistema fognario del tutto inadeguato con oltre un terzo delle famiglie che non è connesso al sistema delle acque reflue. Una situazione di carenza idrica di cui fanno le spese soprattutto donne e bambini, che in molti casi sono costretti a lavarsi, bere e cucinare con acqua contaminata e si trovano esposti così al rischio di diarrea, vomito e disidratazione.Gli effetti del blocco israeliano nella vita di tutti i giorni: commercio praticamente inesistente, famiglie divise e persone che non possono muoversi per curarsi, studiare o lavorare. Siamo all’annientamento di una popolazione: oltre il 65% degli studenti delle scuole gestite dall’Unrwa (l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi)  a Gaza non riescono a trovare lavoro a causa delle dure condizioni di vita, dell’aumento della povertà e dei tassi di disoccupazione. 

Questa è la vita a Gaza, se di vita si può parlare. E chi governa Israele come chi impone la sua legge nella Striscia, lo sanno bene. Come lo sa bene la comunità internazionale, capace solo di invitare alla moderazione o (l’Onu) a prospettare una commissione d’inchiesta, ripetendo una stanca litania che fa seguito all’esplosione della violenza. Tutti conoscono la realtà di Gaza, la tragedia umana che in essa si consuma.  Ma questa consapevolezza non porta alla ricerca di un accordo, di una pace giusta, duratura, tra pari. Non impone rinunce per ridare speranza. Costa meno combattere, perché, tanto, a chi vuoi che possa interessare la sorte di due milioni di persone ingabbiate nella prigione chiamata Gaza”. 

Il rapporto di Gaza è del 15 giugno 2022. Nessun talk show l’ha ripreso, nessun solone ne ha scritto.  

(prima parte)

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