Parole intrise di verità. Dispensate da uno che il “mare della Morte” lo conosce meglio di tanti altri che pure su di esso pontificano nei sempre più squalificati salotti tv o nei sempre meno venduti quotidiani cartacei. Uno che sa che cosa significhi fare inchiesta e che ha atre due doti: l’arguzia sicula e una memoria di ferro. Parliamo di Sergio Scandura, corrispondente dalla Sicilia di Radio Radicale. L’ultimo X è un dispensato di saggezza e di graffiante memoria: “Con questa ‘puntatina’ turca della premier, si ammette il già patente fallimento degli accordi criminogeni imbastiti col memorandum Italia-Libia (e della stessa politica estera di un paese del G7, ammesso esista una politica estera per quelle regioni): qualcuno se ne è accorto?”.
Scandura sì. E anche Globalist, grazie a lui. Per il resto, siamo all’Istituto Luce 2.0. Tutti ai piedi della presidente del Consiglio, che vaga nella sponda Sud del Mediterraneo inanellando dichiarazioni solenni puntualmente smentite dai fatti. Ad accompagnarla, è quella sorta di patacca fattuale chiamata “Piano Mattei”. Giorgia Meloni lo tira in ballo ogni tre per due: in Tunisia, in Libia, in Egitto, e ora pure in Turchia. La Turchia di Erdogan, quello che ha spianato i curdi nel Rojava siriano, che ha riempito le patrie galere di decine di migliaia di oppositori – parlamentari liberamente eletti, attivisti dei diritti umani, avvocati, blogger, giornalisti indipendenti, professori universitari. E l’elenco potrebbe essere chilometrico-; il “sultano” che briga con Putin 8ma noi non appoggiamo (l’Ucraina?) , che flirta con Haftar (il generale libico in combutta con i trafficanti di esseri umani in Cirenaica, su cui pendono documentate accuse di crimini di guerra) , e dice le peggio cose sull’Israele tanto sostenuto da Meloni. T
utto scompare nella narrazione trionfale della stampa mainstream delle due ore di colloqui a Istanbul tra la presidente del Consiglio e il suo omologo turco. Se non ci fossero di mezzo guerre, stragi di migranti, diritti umani conculcati, ci sarebbe da ridere leggendo certe articolesse di accompagno della missione in terra ottomana della prode Giorgia. Il ridicolo è ampiamente superato.
Missione turca
Carissimo Sergio, quel fallimento che tu ricordi è nella storia. E’ suggellato dalla strage infinita di migranti nel Mediterraneo, nelle deportazioni nei lager libici, nella continua ricerca di “gendarmi” che, ben retribuiti, facciano il lavoro sporco a posto nostro. Erdogan è uno di questi. L’uomo che ricatta l’Europa, che non ha mai dismesso l’idea, islamo-nazionalista, di ridare vita ad un impero neo-ottomano.
Leggete le righe che seguono con uno sforzo d’immaginazione. Pensate ai cinegiornali del ventennio, alla voce stentorea con cui si raccontavano le prodezze del duce. “Il bilaterale a Palazzo Vahdettinsegue i colloqui tra i due leader già avvenuti a margine degli incontri multilaterali di Bali, Vilnius, New York e Dubai.
Al suo arrivo Meloni ha visitato il Gran Bazar di Istanbul accolta dagli applausi dei presenti (sic). Circondata dagli agenti della scorta nel mercato più grande e antico della città, la premier è stata applaudita da vari negozianti e passanti. «Come state, tutto bene?», ha detto ad alcuni di loro che l’hanno salutata in italiano: «Vivete qua?». «No, in Francia, però veniamo sempre in Italia», le ha risposto un uomo. «E tornate», l’invito rivolto dalla presidente del Consiglio, che durante la visita al mercato si è fermata anche da Havuzulu, uno storico ristorante ottomano. Poco prima delle 17, riferisce l’Adnkronos, Meloni ha fatto ingresso a Palazzo Vahdettin per l’incontro con il Presidente della Repubblica di Turchia, Recep Tayyip Erdoğan. Mentre il colloquio tra Meloni ed Erdogan era in corso, la presidenza della Repubblica di Ankara ha diffuso una foto dei due leader, seduti accanto alla bandiera italiana e quella turca.
Meloni e Erdogan hanno discusso durante il loro faccia a faccia del «rafforzamento della cooperazione sui migranti, dove la collaborazione dello scorso anno ha portato ad una riduzione del 56% dei flussi irregolari lungo il corridoio Italia- Turchia». La cooperazione in questo ambito, hanno spiegato fonti italiane, sarà sempre più stretta anche in relazione alla Libia dove i rispettivi ministeri degli Esteri intendono concludere presto una intesa.
L’incontro fra la premier Giorgia Meloni e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, a quanto si apprende da fonti italiane, ha permesso fra l’altro un confronto sui grandi temi globali anche alla luce della presidenza italiana del G7, con particolare riferimento alla guerra a Gaza e all’invasione russa in Ucraina. Meloni, spiegano le stesse fonti, ha espresso grande apprezzamento per i costanti sforzi di mediazione diplomatica di Ankara, con particolare riferimento alla riattivazione della Black Sea Grain Initiative per sbloccare l’invio del grano dai porti ucraini dopo che nel luglio scorso la Russia non ha rinnovato l’accordo.
A quanto si apprende nel bilaterale di circa due ore è stato fatto il punto delle relazioni bilaterali in tutte le sue dimensioni: politiche e di difesa, economiche e culturali. Ed è stato constatato «l’eccellente stato delle relazioni economiche con un interscambio commerciale che ha superato i 25 miliardi di euro e si avvicina all’obbiettivo condiviso dai governi di almeno 30 miliardi di interscambio entro il 2030».
Applausi di gente attorno a te…
Resoconta da Istanbul Lorenzo De Cicco, inviato di Repubblica al seguito della presidente del Consiglio: “Sotto le volte del Gran Bazar di Istanbul l’applaudono come una diva. I turchi, almeno quelli che si destreggiano tra baracchini di tappeti, ceramiche e Louis Vuitton false, non si ricordano di quando la premier italiana, all’epoca solo leader di FdI, diceva ai quattro venti: “No ad Ankara nella Ue”. Anche Giorgia Meloni fa finta di non ricordarselo, nella sua prima, blindatissima, visita ufficiale nella città del Bosforo, ospite del “sultano” Recep Tayyip Erdogan. Visita complicata, ma cominciata col relax: atterraggio in tarda mattinata, poi quasi due ore a spasso per il Bazar, con sosta in una bottega di gioielli e in negozi di lampade e tappeti, poi kebab per pranzo da “Havuzlu”, ristorante dalle atmosfere ottomane. In serata, il bilaterale. Niente dichiarazioni congiunte col presidente turco, però. Nemmeno un punto stampa coi giornalisti. Dunque niente domande, compresa quella sulle sue vecchie dichiarazioni. Risposte che la premier, evidentemente, non voleva dare.
Perché dalla trasferta turca, Meloni porta a casa la sponda di Erdogan sulla Libia, per contenere gli arrivi dei migranti. Secondo gli analisti del governo, infatti, gli sbarchi dalla Tunisia sarebbero in calo, negli ultimissimi mesi (anche se siamo a gennaio, spostamenti ai minimi), mentre sono ripresi quelli dalle coste libiche. Per Meloni è un campanello d’allarme, anche perché nel suo primo anno di governo gli sbarchi sono esplosi, anziché diminuire (+49,47% sul 2022, anche se dalla Turchia sono calati del 56%). Cercasi aiuto da Erdogan, allora. Il faccia a faccia di ieri sera, con cena a seguire, due ore tra le tende damascate di palazzo Vahdettin, mette il turbo a un’intesa che verrà siglata nei prossimi mesi dai ministeri degli Esteri italiano e turco, con le autorità della Tripolitania. Il patto, nelle intenzioni di Palazzo Chigi, dovrebbe vedere la luce entro l’estate, periodo caldo per gli sbarchi. E sarà firmato in Libia, anche col governo di unità nazionale. La Farnesina è già al lavoro. Un testo chiuso non c’è. Ma l’Italia potrebbe fornire mezzi e formazione alla Guardia costiera libica. L’obiettivo di medio termine poi è una pacificazione della Libia, con elezioni libere. Anche se, ammesso che ci si arrivi, toccherà prima procedere a tappe.
L’altro aspetto spigoloso di questa visita è l’ingresso di Ankara nell’Ue. La Turchia da anni spinge per l’adesione. E adesso per riaprire una discussione sul tema. Meloni da premier non può certamente ripetere quanto diceva quando era a capo di un piccolo partito di opposizione. E fa sfoggio di realpolitik. Dunque per il governo italiano oggi è importante creare un rapporto costruttivo con la Turchia, intensificare gli interscambi commerciali che valgono 25 miliardi. Anche tramite Leonardo: i droni italiani potrebbero essere equipaggiati con missili leggeri o razzi guidati come il sistema Cirit della turca Roketsan. Ma Palazzo Chigi sembra comunque intenzionato a muoversi nel solco della “comunicazione congiunta” rilasciata a inizio novembre dalla Commissione Ue e dell’Alto Rappresentante Josep Borrell. Un dossier che sarà affrontato nei prossimi consigli europei, forse già in quello di febbraio. Insomma, il massimo che Meloni può concedere al “sultano” è di sostenere gli sforzi dell’Ue per migliorare il dialogo politico con Ankara. Ma l’adesione all’Unione non è all’ordine del giorno. Parole che però non possono essere pronunciate “in chiaro” dalla premier, se poi si chiede a Erdogan di dare una mano sui migranti e giocare da “garante” in Tripolitania, dove l’influenza turca è consolidata. Da quanto trapela da Chigi infatti, il rapporto con l’Ue è stato affrontato solo come uno “scambio di idee”.
Anche sul Medio Oriente restano differenze marcate. Particolare interessante: proprio a ridosso del faccia a faccia Meloni-Erdogan, l’agenzia di Stato turca, Anadolu, ha rilanciato le parole pronunciate 24 ore prima dalla segretaria del Pd Elly Schlein sulla “necessità” di evitare di inviare armi a Israele. Erdogan, è noto, ha paragonato Hitler al premier israeliano Netanyahu. Per il governo italiano invece va certamente evitata l’escalation, ma la premessa (non condivisa dal presidente turco) è che gli attentati del 7 ottobre hanno rappresentato una violenza inqualificabile. Insomma le divergenze rimangono. Non a caso c’è decisamente poca enfasi nel resoconto che filtra da fonti italiane, secondo cui la guerra a Gaza sarebbe stata discussa quasi en passant, “nel confronto sui temi globali”, anche alla luce della presidenza del G7 che ora ricade su Meloni. Decisamente più articolato invece il passaggio sul conflitto in Ucraina: Meloni ha fatto sapere di avere ringraziato Erdogan per la mediazione per rilanciare l’accordo sull’export di grano tra Mosca e Kiev”.
Delle problematiche a cui accenna l’inviato di Repubblica non c’è cenno nei servizi dell’Istituto Luce del Terzo millennio: la Rai Tv. Solo applausi, strette di mano, compiaciuti riconoscimenti reciproci. Era successo con la Libia, poi con la Tunisia. Sappiamo come sono andati a finire. E ora proviamo anche con Erdogan, non si sa mai. Dei patti stretti da Meloni ne abbiamo perso il conto. Ma non dei loro risultati: un totale fallimento.
Caro Sergio, è difficile mantenere la schiena dritta.