Le forze israeliane hanno bombardato le aree della città di Rafah, al confine meridionale, dove si sta rifugiando più della metà della popolazione di Gaza, il giorno dopo che il primo ministro Benjamin Netanyahu ha respinto la proposta di porre fine alla guerra.
Netanyahu ha detto mercoledì che le condizioni proposte da Hamas per un cessate il fuoco, che comporterebbe anche il rilascio degli ostaggi tenuti dal gruppo militante palestinese, sono “deliranti” e ha promesso di continuare a combattere, dicendo che la vittoria è a portata di mano e a pochi mesi di distanza.
Il rifiuto fa seguito a un’intensa attività diplomatica volta a porre fine al conflitto durato quattro mesi e mezzo prima del minacciato attacco israeliano a Rafah, che ora ospita più di un milione di persone, molte delle quali in tende improvvisate e prive di cibo e medicine.
Giovedì mattina gli aerei israeliani hanno bombardato la zona di Rafah, hanno riferito testimoni alla Reuters, uccidendo almeno 11 persone in attacchi contro due case. I carri armati hanno anche bombardato alcune aree nella parte orientale di Rafah, intensificando i timori dei residenti di un imminente attacco di terra.
Le agenzie umanitarie hanno messo in guardia da una catastrofe umanitaria se Israele dovesse portare avanti la minaccia di entrare in una delle ultime aree rimaste della Striscia di Gaza in cui le sue truppe non sono entrate durante l’offensiva di terra.
Mercoledì il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha affermato che spingersi a Rafah, al confine con l’Egitto, “aumenterebbe quello che è già un incubo umanitario con conseguenze regionali indicibili”.
Coloro che sono fuggiti nella città di confine, quasi la metà dei 2,3 milioni di abitanti di Gaza, si trovano di fronte a una scelta terrificante: restare nella sovraffollata Rafah – che un tempo ospitava 280.000 persone – e attendere l’attacco, oppure rischiare di spostarsi a nord attraverso un’area di continui combattimenti.
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