Lo hanno definito il Gramsci curdo, perché lui – al pari del grande pensatore comunista incarcerato dal fascismo – è davvero un prigioniero politico.
Selahattin Demirtas è una persona che sta pagando un durissimo prezzo per le sue idee: vittima del bavaglio e della repressione del Sultano che regna in Turchia e che ha criminalizzato ogni forma di dissenso, spedendo molti oppositori politici in carcere con l’accusa di terrorismo se sensibili alla causa curda e se accusati di far parte della fantomatica ‘rete di Gulen’ a cui Erdogan ha attribuito la responsabilità del fallito golpe.
Lui è rimasto a lottare anche se il vento della repressione soffiava forte: “Mio marito sapeva che sarebbe stato arrestato con diversi mesi di anticipo. Anche se molti gli hanno suggerito di andare all’estero, lui ha rifiutato. E quando migliaia di persone sono state arrestate» dopo il fallito golpe in Turchia, «ha detto che sarebbe rimasto e avrebbe resistito».
Lo aveva raccontato nei mesi scorsi Basak Demirtas, moglie del leader del partito filo-curdo Hdp,. E infatti Selahattin, è detenuto da oltre un anno nel carcere di massima sicurezza di Edirne con accuse di “terrorismo” per un presunto sostegno al Pkk curdo.
Lo sfidante del Sultano, molto amato dalla sua gente, rischia fino a 142 anni di carcere.
Nell’intervista, con cui ha rotto un lungo silenzio, Basak Demirtas ha raccontato i lunghi mesi passati lontano dal marito insieme alle due figlie di 10 e 13 anni, che in questa situazione «hanno mostrato un livello di maturità superiore alla loro età».
Da quando è in carcere ha perso 12 chili, aveva racconta la moglie, che lè riuscita a visitarlo ogni settimana viaggiando dalla loro casa di Diyarbakir, a 1’600 km di distanza.
«Sono sempre stata molto orgogliosa di mio marito per la sua giusta lotta», ha aggiunto, sostenendo che «non è un segreto che la particolare ostilità del presidente (Recep Tayyip Erdogan) nei confronti di mio marito è iniziata dopo le elezioni del 7 giugno 2015», in cui l’Akp perse la maggioranza assoluta per la prima volta dal 2002, proprio per l’ingresso in Parlamento dell’Hdp. Per questo, oggi «la nostra fiducia nel sistema giudiziario è pari a zero».
Ma Selahattin Demirtas no demorde. Da dietro le sbarre la sua voce per la libertà deve trovare più forza. Contro ogni dittatura, ogni autoritarismo. Per la libertà dei popoli.