Israele, quando la felicità di un popolo viene strumentalizzata dalla peggiore propaganda politica. È ciò che avvenuto dopo la notizia della liberazione di quattro ostaggi nell’operazione condotta a Nuseirat da un commando dell’Idf e di Shin Bet.
Propaganda miserevole
A darne conto sono due delle firme più autorevoli di Haaretz: Yossi Verter e Anshel Pfeffer.
Scrive Verter: “L’ondata di gioia che si è scatenata in tutto il Paese, nei caffè sulla spiaggia – e persino ad Atene, dove centinaia di israeliani si erano recati per assistere a un’esibizione dei Coldplay – ha illustrato il sentimento di disperazione e di soffocamento che ha intrappolato tutti noi. La gioia privata delle famiglie i cui cari sono stati salvati dalla prigionia di Hamas si è trasformata in una celebrazione nazionale che è arrivata a sorpresa nel bel mezzo del sabato, otto mesi e un giorno dopo il massacro e il rapimento.
La complessa ed eroica operazione congiunta Idf-Shin Bet-Yamam, con il suo vertiginoso successo, ha raddrizzato la schiena di molti israeliani. La gioia è stata guastata dalla morte di uno dei comandanti della forza, l’ispettore capo Arnon Zmora. Ma il prezzo avrebbe potuto essere molto più pesante, anche per i quattro ostaggi, se qualcosa fosse andato storto. Tutto questo dimostra quanto sia necessario un accordo, immediatamente. Anche a costo di porre fine alla guerra.
Sono 120 le persone rimaste in prigionia di Hamas, la maggior parte cittadini israeliani e alcuni lavoratori stranieri. Secondo le valutazioni aggiornate di alti funzionari della difesa e politici, solo la metà di loro è ancora viva. Fino a sabato, sette sono stati salvati in operazioni militari e 110 sono stati liberati nell’accordo di novembre. Molte operazioni basate su informazioni precise sono state annullate all’ultimo minuto, poiché il rischio che i terroristi uccidessero gli ostaggi era maggiore della possibilità di liberarli vivi.
Il salvataggio di sabato non ha prodotto alcun cambiamento strategico. Israele è ancora profondamente impantanato nel fango gazawo, senza un orizzonte diplomatico, senza piani per il dopoguerra, con il mondo intero che gli volta le spalle. Il numero di vittime nel campo profughi di Nuseirat durante il salvataggio peggiorerà ulteriormente la posizione internazionale di Israele. I membri estremisti del gabinetto chiederanno altre operazioni di questo tipo, affermando che solo in questo modo potremo liberare gli ostaggi rimasti. Sanno che non è vero. Che comporta rischi enormi. Ma a loro cosa importa?
Secondo i piani sventati dalla folle realtà israeliana, Benny Gantz avrebbe dovuto annunciare l’uscita del suo Partito di Unità Nazionale dal governo, con lui e Gadi Eisenkot che avrebbero lasciato il gabinetto di guerra. La sua conferenza stampa è stata annullata e rinviata a data ignota. L’8 giugno, data fissata nel suo ultimatum, è passato, con i due ex capi di stato maggiore dell’Idf ancora nel gabinetto.
La scadenza di tre settimane che Gantz ha dato al Primo Ministro Netanyahu nel suo ultimatum del 18 maggio è sembrata strana fin dall’inizio. Perché l’8 giugno? L’intera iniziativa è stata resa superflua subito dopo la sua nascita, con Netanyahu che ha respinto le richieste di Gantz. Per qualche motivo, Gantz ha deciso di aspettare fino all’ultimo momento, senza poter agire.
Quando se ne andrà Gantz? Una data possibile è proprio questo lunedì, quando il primo ministro chiederà al plenum della Knesset di approvare la prima fase della legge che esenta gli studenti della yeshiva dalla leva militare. Da un lato, ci sono combattenti coraggiosi disposti a rischiare la vita per salvare israeliani prigionieri. Dall’altra parte, gli scansafatiche e i parassiti che urlano: “Moriremo prima di essere arruolati”. E con chi si schierano Netanyahu e la sua banda?
Tra l’altro, c’è chi dice ai propri comandanti via radio che “i diamanti sono nelle nostre mani” [riferendosi agli ostaggi salvati], mentre altri definiscono i diamanti come persone usate per scopi politici [riferendosi alle registrazioni trapelate del clientelismo della ministra dei Trasporti Miri Regev]. Questo non è populismo. È la nostra realtà.
Anche la politica ha avuto una giornata campale sabato. Netanyahu si è presentato, nel bel mezzo del Sabbath, all’ospedale di Sheba, facendosi fotografare con ciascuno degli ostaggi salvati: Noa Argamani, Andrey Kozlov, Shlomi Ziv e Almog Meir Jan. I quattro sono stati benedetti. Hanno toccato la divinità. E di sabato! Ma questo è diverso dagli altri ostaggi che sono stati liberati nell’accordo di novembre, che hanno detto per mesi che non potevano e non possono ancora credere che Netanyahu non li abbia chiamati una sola volta dal loro rilascio.
Ad oggi, non ha ancora chiamato le famiglie dei quattro ostaggi uccisi in prigionia, forse dall’Idf. Le famiglie Cooper, Peri, Popplewell e Metzger non riceveranno una chiamata da Netanyahu. Egli è responsabile solo di risultati come un salvataggio in stile Entebbe.
Questo è il tipo di leadership senza principi, cinica e maligna della persona che occupa ancora l’ufficio del Primo ministro. Netanyahu ha approvato l’operazione; se, Dio non voglia, fosse finita diversamente, con la morte degli ostaggi e di altri soldati, avrebbe affrontato le telecamere? Il suo ufficio avrebbe dichiarato che aveva approvato l’operazione e dato le istruzioni, e avrebbe pubblicato la sua foto dalla war room? Avrebbe profanato il sabato?
A queste domande (retoriche) ha risposto Avi Marciano, padre di uno spotter rapito da Nahal Oz e ucciso all’ospedale Al-Shifa. “Guardo Yakov, il padre di Noa Argamani, e non posso che commuovermi. Sono davvero felice dal profondo del cuore per le famiglie che sono state fortunate e hanno potuto abbracciare i loro cari. Sono anche invidioso. Questo sottolinea quanto sia stato brutto il nostro finale. Quando il finale è brutto, il Primo ministro non si fa vedere. E non chiama nemmeno”.
Cinismo senza limiti
Anshel Pfeffer è tra i più stimati inviati di guerra israeliani. Le sue analisi sono supportate, arricchite, da una esperienza maturata sul campo.
“Il salvataggio degli ostaggi Noa Argamani, Andrey Kozlov, Almog Meir Jan e Shlomi Ziv – annota Pfeffer sul quotidiano progressista di Tel Aviv – avvenuto sabato mattina nell’operazione di Nuseirat, ha regalato agli israeliani un raro Shabbat di gioia dopo quello dell’orrore del 7 ottobre. Non è stato solo il risultato. Quattro ostaggi vivi sono tornati alle loro famiglie 245 giorni dopo essere stati catturati da Hamas al festival musicale Nova.
La combinazione di intelligence accurata, pianificazione intensiva ed esecuzione coordinata è stata un promemoria essenziale, di cui gli israeliani avevano tanto bisogno, delle capacità dei loro servizi militari e di sicurezza che erano state offuscate dai fallimenti degli ultimi otto mesi.
Ma l’ondata di sentimenti, euforia e sollievo per il ritorno degli ostaggi ha potuto oscurare solo per poco il fatto che a Gaza rimangono ancora 120 ostaggi, 43 dei quali sono già stati dichiarati morti da Israele, mentre si presume che il numero reale sia notevolmente più alto. I quattro ostaggi riportati vivi hanno più che raddoppiato il numero di quelli salvati dalle forze israeliane – ora sono sette, insieme a Ori Megidish, localizzato e salvato all’inizio della guerra, e Louis Har e Fernando Marman, salvati a Rafah a febbraio.
Sette dei 135 che sono stati restituiti, tra cui 19 corpi e 109 rilasciati da Hamas, quattro dei quali all’inizio della guerra in seguito alle pressioni del Qatar e 105 nell’ambito della tregua di fine novembre.
I sostenitori di Benjamin Netanyahu si sono affrettati a pubblicare online, dopo la notizia del successo del salvataggio, uno spezzone di Gadi Eisenkot tratto da un’intervista rilasciata a gennaio, quando aveva detto che non c’era alcuna possibilità di un salvataggio degli ostaggi in stile Entebbe, perché “sono sparpagliati in modo tale, anche sottoterra soprattutto, che la possibilità [di un loro salvataggio in un’operazione militare] dopo Ori Megidish è molto bassa. Dobbiamo dire con onestà che probabilmente non potremo restituire gli ostaggi vivi nel prossimo futuro se non attraverso un accordo, e chiunque [dica il contrario] sta ingannando il pubblico”.
Naturalmente Eisenkot non ha detto che sarebbe stato impossibile salvare gli ostaggi. Stava parlando di tutti gli ostaggi ancora in cattività. La sua valutazione è condivisa da tutto l’establishment della sicurezza, che ritiene che, sebbene alcuni ostaggi possano essere salvati nel corso di operazioni speciali, possano essere rilasciati nella loro interezza solo nell’ambito di un accordo con Hamas.
Semmai, il numero di ostaggi liberati finora, sette in operazioni speciali e 109 in accordi con Hamas, non fa che dimostrarlo. Ma i fatti non sono importanti quando la politica ha la precedenza.
La rapidità con cui i portavoce di Netanyahu hanno cercato di utilizzare il salvataggio degli ostaggi per infangare i rivali del loro leader può essere paragonata solo alla rapidità con cui Netanyahu, che in quanto primo ministro non dovrebbe per convenzione impegnarsi in attività pubbliche durante lo Shabbat, si è precipitato all’ospedale di Sheba per farsi fotografare con gli ostaggi liberati.
È interessante notare che non ha ancora incontrato molte delle famiglie degli ostaggi negli otto mesi dalla loro cattura, né gli ostaggi che sono stati rilasciati come parte dell’accordo a novembre. Non ha nemmeno risposto al telefono alle famiglie dei quattro ostaggi – Amiram Cooper, Yoram Metzger, Chaim Peri e Nadav Popplewell – che sono stati dichiarati morti domenica scorsa. In parte è perché, a differenza dei quattro ostaggi salvati questo sabato, sono per lo più membri di kibbutzim e ci si può aspettare che lo accusino pubblicamente. Ma soprattutto perché Netanyahu si assume la responsabilità solo per le storie di successo.
Il fatto che quattro ostaggi siano stati salvati e siano ancora in condizioni di salute relativamente buone è la prova che un accordo è fondamentale per salvare gli altri che sono ancora vivi. Netanyahu e i suoi partner vogliono che gli israeliani ignorino il fatto che aspettare nella speranza che si ripeta una combinazione simile di intelligence e circostanze operative non farà altro che segnare il destino della maggior parte di loro”.
Così Pfeffer. La sua considerazione finale è un atto d’accusa contro chi governa Israele: un politico che gioca con la vita e i sentimenti di un popolo. Il suo nome è Benjamin Netanyahu.
Argomenti: israele