Ora il no ad uno Stato palestinese è anche legge. Una legge che va contro il diritto internazionale e le risoluzioni delle Nazioni Unite, ma per Israele l’uno e le altre sono da sempre carta straccia. Si dirà: cosa c’era da attendersi dal governo più a destra nella storia dello Stato ebraico, un governo pieno zeppo di ministri razzisti, alcuni marcatamente fascisti, propugnatori del Grande Israele dal mare al fiume. Tutto vero. Ma non basta a spiegare un voto che è andato al di là della somma dei voti delle forze che sostengono l’esecutivo Netanyahu.
La legge del più forte
Con una maggioranza di 68 voti contro 9 la Knesset, il parlamento di Israele, ha approvato ieri una legge che vieta la creazione di uno Stato di Palestina. La mossa è stata promossa dal primo ministro Benjamin Netanyahu insieme ai partiti di destra e ha inoltre incassato il sostegno del partito centrista di Benny Gantz, Unità nazionale. Lo riferisce il Times of Israel, aggiungendo che hanno espresso voto contrario il partito arabo di Ràam, i laburisti e la coalizione di sinistra Hadash-Tàal. Si sono invece astenuti, lasciando l’aula prima della votazione, i deputati del partito d’opposizione Yesh Atid del leader Yair Lapid, sebbene si fossero detti favorevoli alla cosiddetta soluzione dei due Stati.
Nel testo si afferma che la Knesset è “fortemente contraria alla formazione di uno Stato a ovest della Giordania” in quanto la creazione di una entità statuale “nel cuore di Israele” rappresenterebbe “una minaccia all’esistenza di Israele e ai suoi cittadini, perpetrando il conflitto tra israeliani e palestinesi e l’instabilità nella regione”, aggiungendo che “sarà solo questione di tempo prima che Hamas prenderà il potere trasformandolo in uno Stato terrorista”.
Il voto giunge a pochi giorni dal discorso che il primo ministro Netanyahu terrà al Congresso degli Stati Uniti il prossimo24 luglio, al culmine di tensioni con l’amministrazione Biden e una parte di democratici contrari al modo in cui Tel Aviv sta conducendo la sua offensiva sulla Striscia di Gaza, in risposta all’aggressione di Hamas dello scorso 7 ottobre. L’annuncio arriva inoltre in seguito a nuovi Paesi che hanno annunciato di riconoscere lo Stato di Palestina, tra cui Spagna, Norvegia e Irlanda, mentre146 stati all’Assemblea generale dell’Onuhanno votato a favore di una risoluzione che risconosce tale entità.
“La decisione della Knesset è una condanna a morte degli Accordi di Oslo” ha commentato Mustafa Barghouti,il leader del’Iniziativa nazionale palestinese, come ha scritto in un post su “X”. L’intesa fu siglata in Norvegia nel 1993 tra i leader israeliani e palestinesi e definiva una road map per la creazione di uno Stato di Palestina per garantire la fine delle ostilità e la coesistenza pacifica tra “due popoli in due Stati”. “Non c’è pace né sicurezza per nessuno senza l’istituzione di uno Stato palestinese in conformità con la legge internazionale”, gli fa eco Nabil Abu Rudeina, portavoce del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), Mahmoud Abbas, in risposta alla risoluzione approvata in Israele dalla Knesset. “Queste decisioni – ha aggiunto il portavoce – confermano l’insistenza di Israele e della sua coalizione di governo nel voler gettare l’intera regione nell’abisso”. Abu Rudeina ha quindi accusato gli Usa di essere “responsabili a causa della loro parzialità e del loro sostegno illimitato” a Israele.
Il segretario generale delle Nazioni Unite (Onu) Antonio Guterres si è detto “molto deluso” dalla decisione del parlamento israeliano, ha dichiarato il suo portavoce Ste’phane Dujarric. “Il Segretario generale è molto deluso dalla decisione della Knesset”. La soluzione a due Stati è l’unica via possibile per una pace duratura, ha affermato.
Su iniziativa di Netanyahu, già lo scorso febbraio la Knesset aveva votato una risoluzione contro il riconoscimento di uno Stato palestinese ma in quel caso si parlava esplicitamente di una istituzione “unilaterale”, senza un accordo di pace con Tel Aviv, data la possibilità che altri Stati lo riconoscessero come poi avvenuto negli ultimi mesi. In questo caso il riconoscimento di uno Stato palestinese è respinto anche in caso di un accordo con Israele. Si tratta di un'”opposizione di principio”, si legge nel testo, alla soluzione dei due Stati, auspicata in questi mesi da molti leader europei, dopo aver assistito alle disastrose conseguenze della guerra a Gaza sui civili e dell’occupazione israeliana in Cisgiordania, dove di recente Israele ha approvato la più grande confisca di terre a scapito dei palestinesi degli ultimi trent’anni, nonostante la risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu n.2334 del 2016 imponga a Israele di porre fine alla sua politica di espansione degli insediamenti in territorio palestinese.
La denuncia di Peace Now.
Il progetto di confisca, approvato dal governo israeliano alla fine del mese scorso ma reso pubblico solo mercoledì, riguarda 12,7 kmq di appezzamenti contigui nella Valle del Giordano, a nord-est di Ramallah, la città dove ha sede l’Autorità nazionale palestinese.
Dichiarandoli terre statali, il governo israeliano li ha aperti all’affitto agli israeliani e vietati alla proprietà privata palestinese. Contestualmente ha autorizzato la costruzione di quasi 5.300 nuove case.
Secondo gli osservatori di Peace Now la mossa esacerberà l’escalation delle tensioni legate al conflitto a Gaza, in quanto minaccia la formazione di un futuro Stato palestinese.
Israele aveva già confiscato 8 kmq di terre a marzo e 2,6 kmq a febbraio. L’attuale confisca porta la quantità totale di terra della Cisgiordania accaparrata da Israele solo quest’anno a 23,7 kmq, stabilendo per il 2024 un record per il tasso di confische di terra israeliane.
In una registrazione trapelata ottenuta da Peace Now, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che supervisiona la pianificazione degli insediamenti e vive egli stesso in un insediamento, ha dichiarato che le confische di terra nel 2024 superano le medie degli anni precedenti di circa dieci volte. “Questa cosa è megastrategica e ci stiamo investendo molto”, ha detto Smotrich durante una conferenza per il suo Partito nazionale religioso – sionismo religioso. “È qualcosa che cambierà radicalmente la mappa”.
Nel maggio 2023 Smotrich, che ha dichiarato che la sua “missione di vita è ostacolare la creazione di uno Stato palestinese”, ha dato istruzioni ai ministeri del governo israeliano di prepararsi a far trasferire altri 500mila coloni nella Cisgiordania occupata.
Peace Now afferma che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e Smotrich, figura di spicco delle forze politiche nazionaliste di estrema destra da cui dipende la coalizione di governo, “sono determinati a combattere contro il mondo intero e contro gli interessi del popolo di Israele a beneficio di un pugno di coloni”.
“Oggi è chiaro a tutti che questo conflitto non può essere risolto senza una soluzione politica che stabilisca uno Stato palestinese accanto a Israele”, ha aggiunto il gruppo. “Eppure, il governo israeliano sceglie di renderlo difficile”.
Ci sono più di 100 insediamenti nella Cisgiordania occupata, dove vivono più di 500mila coloni ebrei con cittadinanza israeliana. I tre milioni di palestinesi che vivono nel territorio sono soggetti al dominio militare israeliano e dallo scoppio della guerra a Gaza hanno subito un maggior numero di aggressioni da parte dei coloni e di incursioni militari (quasi quotidiane), durante le quali le forze israeliane hanno distrutto strade e case, hanno arrestato 9.150 persone e ne hanno uccise 553.
Storia del riconoscimento dello Stato palestinese
Così Rachel Fink su Haaretz: “La storia del riconoscimento di uno Stato palestinese non è iniziata con il riconoscimento della sua esistenza, ma con una dichiarazione del suo diritto ad esistere. Ciò avvenne nel novembre 1974 con l’approvazione della Risoluzione 3236 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che riconosceva il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, all’indipendenza nazionale e alla sovranità.
Insieme alla risoluzione, le Nazioni Unite accordarono alla Palestina lo status di osservatore, consentendo all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina – che nel 1974 era stata riconosciuta dall’Onu come unico rappresentante riconosciuto del popolo palestinese – alcuni privilegi all’interno delle Nazioni Unite, ma non il diritto di voto nell’Assemblea Generale.
Ci sarebbero voluti altri 15 anni prima che l’Olp rivendicasse ufficialmente la sovranità sui territori palestinesi riconosciuti a livello internazionale: la Cisgiordania, che comprende Gerusalemme Est, e la Striscia di Gaza. Queste delimitazioni dei confini non erano arbitrarie. Facevano parte delle ampie porzioni di territorio conquistate dalle forze israeliane durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967: la Cisgiordania dai giordani e la Striscia di Gaza dagli egiziani.
Alla fine del 1988, la Palestina era riconosciuta come Stato da 78 Paesi. Ulteriori progressi verso la creazione di uno stato furono compiuti con la firma degli Accordi di Oslo da parte di Israele e dell’Olp nel 1993. In quell’occasione fu creata l’Autorità Palestinese, l’organo di governo incaricato dell’autogoverno palestinese, anche se in modo limitato, su alcune parti della Striscia di Gaza e della Cisgiordania. I negoziati furono infine vanificati dall’assassinio del Primo ministro israeliano Yitzhak Rabin nel 1995 e dallo scoppio della seconda intifada cinque anni dopo.
Nei circa 30 anni trascorsi tra l’assassinio di Rabin e l’ultima guerra tra Israele e Hamas a Gaza, altri 40 paesi hanno dichiarato pubblicamente di riconoscere uno stato palestinese. Il mese scorso, un gruppo di isole caraibiche, tra cui Giamaica, Barbados e Bahamas, si è unito al gruppo, seguito dai recenti quattro. Il numero di paesi che riconoscono ufficialmente la Palestina è attualmente di 145.
Cambiamento di status o puramente simbolico?
Gli effetti devastanti della guerra di Israele a Gaza hanno spinto molti leader mondiali a ribadire il loro impegno per una soluzione a due Stati. Ma questa recente ondata di annunci pone una domanda: Il riconoscimento di uno Stato palestinese è un’azione simbolica o ha implicazioni pratiche?
Tra i 145 Paesi, alcuni hanno compiuto ulteriori passi avanti nel riconoscimento dello Stato palestinese istituendo ambasciate, principalmente a Ramallah in Cisgiordania, o firmando accordi commerciali con l’Autorità palestinese. Cipro e il Marocco hanno attualmente delle ambasciate all’interno del territorio palestinese, mentre altri 10 Paesi – tra cui Cina e Danimarca – vi hanno stabilito dei consolati. Altri paesi, come la Finlandia, hanno uffici di rappresentanza che funzionano in modo simile.
I palestinesi stessi hanno una rete di ambasciate e missioni diplomatiche in 94 paesi del mondo. L’Unione Europea, la Giordania, il Canada e gli Stati Uniti hanno firmato accordi commerciali con loro.
Tamar Megiddo, docente senior presso il Dipartimento di Relazioni Internazionali della Hebrew University ed esperta di diritto pubblico internazionale, afferma che esistono due approcci principali per analizzare il significato delle dichiarazioni.
“Il primo – e questa è davvero l’opinione di minoranza – è che il riconoscimento internazionale della Palestina è il meccanismo con cui sarà ufficialmente dichiarata uno Stato”, afferma Megiddo. Questa linea di pensiero sostiene che se un numero sufficiente di Paesi riconoscesse uno Stato palestinese, questo raggiungerebbe lo status ufficiale”.
Ma l’opinione maggioritaria tra gli studiosi e gli accademici”, aggiunge Megiddo, “è che la Palestina sia in realtà già uno stato che questi paesi stiano semplicemente riconoscendo che ciò è vero”.
“Questo è certamente il modo in cui i palestinesi e i loro sostenitori vedono le cose. Vedono ciò che hanno fatto Spagna, Norvegia, ecc. come una rivendicazione dei fatti piuttosto che come un cambiamento di status”.
L’autrice sottolinea anche un evento avvenuto di recente che non ha necessariamente fatto notizia, certamente non in Israele, ma che forse è ancora più significativo delle recenti dichiarazioni. “Il mese scorso, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che concede alla Palestina ancora più privilegi in seno alle Nazioni Unite”.
“A questo punto, l’unica cosa che non possono fare è votare”, osserva Megiddo. “E questo è un altro aspetto importante del crescente numero di Paesi che riconoscono uno Stato palestinese. Questo dà alla Palestina un maggiore accesso alle organizzazioni e alle convenzioni internazionali, un aspetto che l’Olp ha posto al centro del suo programma negli ultimi dieci anni”.
Per quanto riguarda l’eventualità che le Nazioni Unite riconoscano uno Stato palestinese – cosa che, almeno per ora, sembra improbabile dato il potere di veto degli Stati Uniti su qualsiasi risoluzione “sostanziale” – Megiddo spiega che tale Stato sarebbe quasi certamente guidato dall’Autorità palestinese e i suoi confini “dovranno essere definiti da organismi internazionali come la Corte internazionale di giustizia”.
“Formalmente, uno Stato palestinese includerebbe la Striscia di Gaza”, aggiunge Megiddo, “ma dovremmo davvero aspettare e vedere cosa succede nella pratica in termini di Hamas. Il fatto che l’Autorità Palestinese non controlli una parte del territorio non significa che il governo non sia un governo o che lo Stato non sia uno Stato.
“Sarebbe simile ad altri esempi in cui i ribelli prendono possesso di una certa area e il governo non è in grado di gestirla”.
In ogni caso, afferma Megiddo, “i confini esatti e chi controlla quali territori sono meno preoccupanti. Molti paesi hanno in corso dispute di confine con i paesi vicini. E non dimentichiamo che Israele è stato accettato dalle Nazioni Unite prima che i suoi confini fossero completamente stabiliti”.
“La questione più urgente è che i territori che costituiscono lo Stato palestinese sono attualmente occupati dalle forze israeliane. Presumibilmente, se le Nazioni Unite dovessero conferire alla Palestina uno status ufficiale, Israele dovrebbe ritirare l’occupazione”.
Data la recente affermazione del Primo ministro Benjamin Netanyahu, secondo cui “a prescindere da tutto, Israele manterrà il pieno controllo di sicurezza su tutto il territorio a ovest del fiume Giordano”, comprese Gaza e la Cisgiordania, questo scenario non sembra plausibile a breve”.
E dopo il voto dei giorni scorsi, nostra postilla finale, questo scenario è vietato per legge. La legge che si fa spregio del diritto e della legalità internazionali. La legge di quella che si continua a definire l’”unica democrazia in Medio Oriente”.
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