Israele, dieci mesi di guerra: un disastro strategico senza scusanti
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Israele, dieci mesi di guerra: un disastro strategico senza scusanti

In meno di un anno, migliaia di bambini sono stati uccisi nello Stato di Palestina, in Israele, in Libano e nelle alture occupate del Golan.    Ogni escalation di violenza nella regione porterà gravi conseguenze umanitarie.

Israele, dieci mesi di guerra: un disastro strategico senza scusanti
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

8 Agosto 2024 - 19.12


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In meno di un anno, migliaia di bambini sono stati uccisi nello Stato di Palestina, in Israele, in Libano e nelle alture occupate del Golan.    Ogni escalation di violenza nella regione porterà gravi conseguenze umanitarie.

Ad affermarlo è Adele Khodr, Direttrice regionale dell’Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa

 “I bambini di molti Paesi del Medio Oriente si trovano oggi più che mai ad affrontare una dura realtà: una vita avvolta dall’incertezza e dalla violenza – afferma Khodr – .L’ondata di violenza e attacchi ha colpito diversi paesi della regione negli ultimi mesi, con un bilancio sconvolgente sulla vita dei bambini.

Quasi ad ogni notizia di un attacco, si aggiungono le notizie di bambini tra le persone uccise. In meno di un anno, migliaia di bambini sono stati uccisi nello Stato di Palestina, in Israele, in Libano e nelle alture occupate del Golan. 

 Oltre queste tragiche morti, ci sono ancor più ragazzi e ragazze che soffrono per le ferite che hanno segnato per sempre i loro corpi e causato danni non misurabili alla loro salute mentale. Molti hanno perso le case a causa di sfollamento e vivono in un costante stato di incertezza e paura.

 La situazione per i bambini minaccia di peggiorare notevolmente. Ogni escalation di violenza nella regione porterà gravi conseguenze umanitarie, mettendo in pericolo le vite e il benessere di molti altri bambini. Avrà anche effetti di lunga durata sulle prospettive di pace e stabilità in Medio Oriente. Una de-escalation immediata è essenziale per salvaguardare le vite e il benessere dei bambini, perché l’alternativa è inconcepibile.

 L’Unicef continua a chiedere a tutte le parti di esercitare con urgenza la massima moderazione e di proteggere i civili e i servizi essenziali su cui fanno affidamento per la loro sopravvivenza, in linea con le loro responsabilità ai sensi del diritto internazionale umanitario. I bambini hanno il diritto di essere protetti dalla violenza e questo dovrebbe essere sempre sostenuto. 

 L’Unicef rimane sul campo, collabora con i partner per fornire servizi essenziali e aiuti per supportare e proteggere i bambini nella regione. Ciò di cui i bambini hanno realmente bisogno sono però la pace e la sicurezza, l’opportunità di una vita vissuta con dignità e liberi da privazioni e paure. Questo inizia con la de-escalation, una soluzione politica durevole e la promessa di un futuro migliore.”

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Disastro strategico

Ugo Tramballi, storico inviato di esteri del Sole24Ore, è tra i più preparati, equilibrati, giornalisti che chi scrive ha incrociato nei quasi quarant’anni di frequentazione del Medio Oriente. Ecco il suo report per Ispi (Istituto studi di politica internazionale), tra i più autorevoli think thank di politica estera italiani.

Scrive Tramballi: “Con un lancio di razzi, un paio di giorni fa Hamas aveva festeggiato, a suo modo e in anticipo, l’inizio dellundicesimo mese di guerra a Gaza. L’effetto militare è stato nullo, quello strategico enorme: dopo una ripetitiva quotidianità di mortidistruzionibombardamenti a tappeto; conmigliaia di civili affamati e sull’orlo della denutrizione, il movimento islamico palestinese è ancora in grado di lanciare razzi.

Passati dieci mesi, la guerra d’Israele a Gaza assomiglia sempre più a un disastro strategico. Non è stato raggiunto alcuno dei risultati pretesi da Benjamin Netanyahu, e con più cautela perseguiti dai vertici delle forze armate israeliane. Lo stato ebraico non è in grado di sradicare Hamasdalla striscia di Gaza. Se domani fosse raggiunta una tregua a lungo termine (l’ipotesi sembra impossibile), gli stessi terroristiche avevano iniziato la guerra, sarebbero determinanti per la lunga ricostruzione: posto si possano trovare paesi e finanziatori arabi e occidentali intenzionati a realizzarla all’ombra di Hamas.

Prima della guerra iniziata il 7 ottobre, il consenso della popolazione di Gazaera molto basso. Ma già alcuni mesi fa, il Palestinian Center for Policy and Survey Research del professor Khalil Shikaki, aveva notato un cambiamento: nel dicembre 2023, due mesi dopo l’inizio della guerra, solo il 36% dei gazawi era favorevole ad Hamas; tre mesi di bombardamenti e insensate stragi israeliane più tardi, il consenso era salito al 50%.

È cresciuto nel mondo anche l’isolamento d’Israele per il modo in cui sta conducendo la guerra. L’unica arma dello stato ebraico, della sua diplomazia e delle comunità che ne sostengono i comportamenti, è l’accusa di antisemitismo usata come una specie di arma di distruzione di massa. Tutti sono antisemiti, soprattutto i sudafricani che hanno promosso l’accusa di genocidio davanti alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja. Se esiste un paese nel quale l’antisemitismo non è parte della sua storia, quello è il Sudafrica. Al contrario, forse nessun’altra comunità al mondo ha conosciuto decenni di persecuzione razziale simile a quella degli ebrei europei.

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Una guerra così lunga, così violenta e così senza una via d’uscita militare né diplomatica, non poteva essere cauterizzata e rinchiusa dentro i piccoli confini della striscia. Gli attori non potevano che moltiplicarsi: Hezbollah libanese, gliHouthi yemeniti, l’Iran. E gli Stati Uniti della cui stagione elettorale Bibi Netanyahu sta facendo un uso politico brutale. Anche questa è una prova del disastro militare israeliano: non sapendo vincere da solo, Netanyahu cerca di spingere l’America nel conflitto.

Incapace di prendere dopo dieci mesi di guerra il vero responsabile dei 1.200 morti israeliani del 7 ottobre, il Mossado chi per lui, ha puntato su un soft target, un obiettivo più facile da raggiungere: anziché lo psicopatico Yahya Sinwar, che continua a dare ordini da un tunnel di Gaza, il moderato Ismail Hanyieh.

Naturalmente il leader politico di Hamas era un moderato rispetto ai canoni comportamentali di un’organizzazione politico-religiosa a vocazione terroristica. Anche lui portava gravi responsabilità nel caos nel quale è immersa la regione.

Ma quanto meglio di lui sono gli israeliani Itamar Ben Gvir e Bezelel Smotrich? Sono importanti ministri del governo Netanyahu, capi di movimenti nazional-religiosi razzisti, assertori della conquista di tutti i territori palestinesi e del suprematismo ebraico: la forma forse più malata di superiorità razziale, data la tragica storia del popolo ebraico.

Mentre a Gaza donne e bambini continuano a moriree l’esercito israeliano è lontano da una vittoria, Smotrich e Ben Gvir stanno cambiando in peggio le leggi del paese, annettendo nuove terre palestinesi in Cisgiordania, costruendo nuovi insediamenti. Lo denuncia l’ultimo rapporto del movimento pacifista israeliano Peace Now. 

Il conflitto di Gazaè il prodotto di uno scontro ormai secolare fra israeliani e palestinesi, della lunga occupazione israeliana e del velleitarismo palestinese. Ora, l’ulteriore aggravante di questa guerra è che al potere, alla guida degli avvenimenti, ci sono degli estremisti: dall’una e dall’altra parte. Implicitamente, per quanto nemici, questi estremisti sono anche alleati. Il vero genio della materia “Potere” è Bibi Netanyahu, disposto a tutto per mantenere il suo che dura da troppo tempo perché il sistema democratico israeliano non subisca seri danni.

Il nemico preferito di Netanyahuera Hamasche si rifiutava di riconoscere Israele, non l’Autorità Palestinese di Ramallahin pace da trent’anni. Ordinando di uccidere il politico Haniyeh, Bibi ha implicitamente favorito il capo dell’ala militare Yahya Sinwar che di Hanyieh era un avversario.

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Il capo politico di Hamas volava spesso da Dohadove era in esilio, a Teheran. Anche la scelta dell’occasione per ucciderlo aveva un senso: l’inaugurazione della presidenza iraniana di Masoud Pezeshkian, eletto con un programma moderato. Secondo lui l’Iran non dovrebbe fare una guerra contro Israele ma pensare a risolvere i problemi economici del paese, moderare le politiche religiose, ad aprire il dialogo con l’Occidente.

È blasfemia politica per chi, come Netanyahu, ha bisogno di un Iran nemico del mondo; e chi, come ayatollah e Pasdaran, di unIsraele nemico della fede. È innegabile che l’assassiniodi Hanyehabbia aumentato le possibilità di questi ultimi e ridotto le speranze di cambiamento di Pezeshkian.

Per anni Netanyahuaveva invocato la guerra all’Iran e il coinvolgimento americano. Alle assemblee generali dell’Onu sono rimasti famosi i suoi discorsi sull’imminenza della catastrofe nucleare. I grafici col disegno della bomba atomica iraniana che Bibi mostrava, lasciavano attonita e imbarazzata la platea internazionale.

La grande crisi allargata alla regione ha posto in secondo – forse settimo o ottavo – piano ilmassacro che continua a Gaza e i programmi di Smotrich e Ben Gvir in Cisgiordania. Scoppierà la grande guerra? A leggere soprattutto la stampa italiana, l’ipotesi è che il conflitto stia per essere mondiale: Occidentee sunniti da una parte; sciitiRussiaeCina dall’altra, in una grande resa dei conti.

Tuttavia, l’Irane il suo principale alleato libanese, Hezbollah, sanno che Israeleha i mezzi per radere al suolo Teheran e Beirut: quest’ultima già varie volte diroccata negli ultimi 40 anni da Zahal, le forze armate israeliane. Le sofisticate modalità dell’omicidio di Hanyiehhanno anche un valore deterrente riguardo alle illimitate capacità d’Israele.

Ma anche gli israeliani sanno che le capacità distruttive di iraniani ed Hezbollah sono infinitamente più grandi di quelle di Hamas. La strage di civili compiuta il 7 ottobre verrebbe moltiplicata. Oltre all’arsenale di Teheran, gli sciiti libanesi posseggono circa 150 mila fra razzi e missili.

Fino ad ora queste considerazioni hanno mantenuto il confronto fra IsraeleIran ed Hezbollah all’interno di una parità sul diritto di risposta alla risposta di una risposta: una specie di tauromachia infantilema molto pericolosa. Soprattutto quando conclude Tramballi – oloro che prendono le decisioni su come e a chi tocchi rispondere, sono degli estremisti: da una parte e dall’altra””.

Non una parola da aggiungere.

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