Combattenti per la pace: la Ong israelo-palestinese da sostenere
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Combattenti per la pace: la Ong israelo-palestinese da sostenere

Una Ong israelo-palestinese che in una lettera-appello indirizzata ai suoi sostenitori internazionali, tra cui JCall, hanno comunicato le loro meritorie attività.  

Combattenti per la pace: la Ong israelo-palestinese da sostenere
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19 Agosto 2024 - 00.45


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In tempi di guerra, gli unici che vale la pena sostenere sono i “Combattenti per la pace”. 

Combattenti per la pace

Una Ong israelo-palestinese che in una lettera-appello indirizzata ai suoi sostenitori internazionali, tra cui JCall, hanno comunicato le loro meritorie attività.  

“Cari amici,
In mezzo all’escalation di tensioni nella regione, continuiamo a perseguire un’altra strada. Ci rifiutiamo di accettare la violenza come soluzionealla nostra disperazione e scegliamo di riconoscere l’umanità che c’è negli altri, resistendo insieme all’ingiustizia e incarnando una realtà alternativa che promuova la sicurezza e la dignità di tutti.
Il 31 luglio, dopo che i coloni sono entrati nel terreno privato della famiglia Kisiya ad alMakhrour, proprio vicino al nostro ufficio palestinese a Beit Jala, siamo entrati in azione per resistere in modo nonviolento all’acquisizione del terreno da parte dei coloni. Ogni giorno siamo stati presenti insieme ad attivisti israeliani e palestinesi, dimostrando ai coloni e all’esercito che la famiglia ha degli alleati che la proteggono dalla loro violenza e documentando l’ingiustizia in tempo reale. Il 12° giorno della campagna, abbiamo costruito una tenda sulla montagna di fronte alla terra della famiglia che sta per essere espropriata e l’abbiamo chiamata “Campo di Resistenza Nonviolenta” di AlMakhrour e stiamo invitando attivisti, diplomatici, politici, giornalisti e chiunque creda nel sostegno dei diritti dei palestinesi a rimanere nella loro terra a venire a stare con noi.

Il mese scorso abbiamo anche lanciato un nuovo programma pilota: la Scuola israeliana di fede per la libertà, un programma educativo intensivo di 3 settimane per gli ebrei israeliani di estrazione religiosa per affrontare i problemi del conflitto e dell’occupazione e imparare la nonviolenza, la costruzione della pace e i diritti umani attraverso una lente religiosa.
Il gruppo di 15 giovani partecipanti ha incontrato ospiti speciali per conferenze informative, ha visitato comunità palestinesi in Cisgiordania per vedere da vicino l’occupazione e si è impegnato nello studio di testi religiosi.
Inoltre, abbiamo organizzato un seminario di due giorni per il programma “Terra al di là delle montagne” che invita gli educatori ad approfondire il conflitto e l’occupazione per educare meglio i loro studenti su questo tema. A Gerusalemme si sono uniti a noi 18 educatori e siamo stati grati di sentire tutti i loro commenti positivi su quanto il seminario sia stato significativo per loro.
Abbiamo anche avviato una nuova collaborazione con Sadaka-Reut, che ospiterà una serie di conferenze educative in quattro parti, intitolata “Un’altra storia”, una volta alla settimana di sera a Tel Aviv e rivolta al pubblico israeliano. La serie ospiterà relatori che stimoleranno l’ispirazione e forniranno un contesto su come vivere una realtà alternativa qui in Israele/Palestina. La prima sessione ha invitato Rula Hardal, co-direttrice di A Land For All  e la seconda ha ospitato Maya Savir, che ha parlato dei conflitti violenti in Sudafrica e Ruanda, dei processi di riconciliazione e di ciò che potremmo imparare da questi e applicare alla nostra realtà.
La nostra Palestinian Freedom School ha avviato la terza coorte a maggio con 21 partecipanti e sta continuando per 6 mesi. Di recente hanno fatto un’escursione di gruppo e si sono incontrati per workshop e seminari sui temi della leadership, della nonviolenza, della risoluzione dei conflitti e altro ancora.
Occupazione sistematica

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Il Sito Patrimonio dell’Umanità della Palestina, noto come Terra degli Ulivi e delle Viti – Paesaggio Culturale di Gerusalemme del Sud, Battir a sud-ovest di Gerusalemme, sta subendo un attacco totale da parte delle attività di insediamento israeliane in corso e pianificate. attività di insediamento israeliane in tutta la sezione della zona centrale del Patrimonio dell’Umanità situata nell’Area C della Cisgiordania.

Gli sviluppi recenti e simultanei in diversi luoghi all’interno dell’area del Sito del Patrimonio Mondiale rappresentano un’ampia e grave minaccia per le comunità palestinesi che vivono nell’area e per il loro prezioso patrimonio: in particolare, l’insediamento dell’avamposto dei coloni di Ain Bardamo/Battir nel dicembre 2023. I tentativi dei coloni, sostenuti dall’esercito, di impossessarsi di terreni a Wadi al-Makhrour, nonché la proposta di creare un insediamento completamente nuovo a Nahal Heletz. L’insieme di queste iniziative fa parte di una strategia più ampia avviata dal governo israeliano per interrompere la continuità territoriale palestinese a ovest di Betlemme. In questo modo, queste azioni non solo stanno frammentando lo spazio palestinese e privano grandi comunità del loro patrimonio naturale e culturale, ma rappresentano anche una minaccia imminente per un’area considerata di altissimo valore culturale per l’umanità.

Va notato che, in questo modo, Israele sta violando la Convenzione del 1972, di cui è firmatario, che stabilisce che gli Stati firmatari si impegnano a non adottare alcuna misura deliberata che possa danneggiare il patrimonio culturale e naturale  situato sul territorio di altri

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Questi sviluppi si aggiungono a progetti precedenti e in corso, come l’espansione della strada 60 a Beit Jala, e i piani di espansione dell’insediamento di Har Gilo.

Il 31 luglio 2024, i coloni dell’avamposto nell’area di al-Makhrour, accompagnati dall’esercito israeliano hanno fatto irruzione nel terreno aggredendo i membri della famiglia Kisiya e gli attivisti che cercavano di costringerli a lasciare l’area.

Da allora, gli attivisti per i diritti umani (tra cui Combatants for Peace, Rabbis for Human Rights e altri) hanno raggiunto la famiglia Kisiya ogni notte nel tentativo di reclamare la loro terra. I soldati hanno costretto con la violenza gli attivisti e i membri della famiglia a lasciare la terra usando ordini di “zona militare chiusa”. L’8 agosto, la famiglia insieme ad altri attivisti ha allestito un accampamento accanto al terreno in segno di protesta nonviolenta e invita gli attivisti a unirsi a loro.

Al Makhrour è un’area agricola a ovest della città di Beit Jala. Le famiglie locali coltivano ancora i suoi boschetti e frutteti e alcuni terreni sono di proprietà privata. Nell’ultimo decennio l’Amministrazione Civile ha periodicamente demolito alcune delle piccole strutture costruite dai contadini per ripararsi durante la.

stagione delle coltivazioni. Una delle famiglie colpite è la famiglia Kisiya. Nel 2019 l’Amministrazione Civile ha demolito una casa e un ristorante che avevano costruito su un terreno per il quale la famiglia possiede un atto notarile che è stato recentemente riconfermato dal tribunale israeliano (nel 2023). Su un terreno adiacente è stato fondato un avamposto di coloni col supporto del Fondo Nazionale Ebraico e la sua filiale, Himanuta, che permette ai coloni di appropriarsi delle proprietà palestinesi”.

Un pogrom “legalizzato”
Nella notte tra giovedì e venerdì decine di coloni israeliani hanno attaccato   la cittadina palestinese di Jit, in Cisgiordania. Hanno lanciato bombe molotov e dato fuoco a case e auto parcheggiate: il ministero della Salute palestinese ha detto che un ragazzo di vent’anni è stato ucciso e un’altra persona ha riportato ferite gravi al petto.

Sui social stanno circolando diversi video e foto che mostrano la situazione, in cui oltre agli edifici e alle auto incendiate si vedono colonne di fumo e persone che cercano di scappare.

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Alcuni dei coloni avevano il volto coperto. Non è chiaro quanti fossero: il quotidiano israeliano Times of Israel ha parlato di 50 persone, mentre un residente di nome Hassan ha detto   al quotidiano Haaretz di averne contate circa 100. «Quando sono uscito per vedere cosa stesse succedendo, mi hanno attaccato con il gas lacrimogeno. Hanno incendiato la mia auto e ne hanno distrutta un’altra, poi hanno proseguito verso la città», ha detto. Secondo Hassan l’esercito sarebbe arrivato «circa un’ora dopo, si sono presi il loro tempo e hanno lasciato che facessero quello che volevano».

Da decenni Israele costruisce e amplia   insediamenti e colonie in Cisgiordania, un territorio che però secondo gran parte della comunità internazionale appartiene ai palestinesi. Questo è stato ribadito   lo scorso luglio dalla Corte internazionale di giustizia, il più importante tribunale delle Nazioni Unite, secondo cui l’utilizzo delle risorse naturali che Israele fa in quelle zone vìola il diritto internazionale.

Oggi in Cisgiordania vivono circa 2,7 milioni di palestinesi e 500mila coloni israeliani. I loro rapporti sono sempre stati parecchio problematici, ma a partire dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza, lo scorso 7 ottobre, gli scontri e le violenze sono notevolmente aumentati. Secondo l’ufficio delle Nazione Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha), dall’ottobre del 2023 allo scorso luglio almeno 553   persone palestinesi sono state uccise in Cisgiordania, tra cui 131 bambini. Di questi, 536 sono stati uccisi da soldati israeliani e sei dai coloni. Più di 5.500 persone palestinesi sono state ferite. Nello stesso periodo sono state uccise 14 persone israeliane, di cui nove soldati e cinque coloni.

Un quadro devastante che Globalist ha documentato nel corso degli anni, con il prezioso contributo delle migliori firme del giornalismo israeliano e di esponenti della società civile palestinese che non si arrendono. Convinti come siamo che se un giorno in quella martoriata terra di Palestina ci sarà una pace giusta, tra pari, essa non potrà che nascere dal basso, dal dialogo tra donne e uomini coraggiosi, che sanno che l’unica “battaglia” per cui vale la pena combattere, è la “battaglia della pace”.

Che ha bisogno, oggi più che mai, di “Combattenti”. Combattenti per la pace.

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