Israele ha deciso di trasformare la Cisgiordania nella Striscia di Gaza
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Israele ha deciso di trasformare la Cisgiordania nella Striscia di Gaza

Israele ha deciso di trasformare la Cisgiordania nella Striscia di Gaza. È l’incipit di un editoriale di Haaretz. La giudeizzazione della Cisgiordania, dall’apartheid allo “Stato dei coloni”

Israele ha deciso di trasformare la Cisgiordania nella Striscia di Gaza
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

6 Settembre 2024 - 15.58


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Israele ha deciso di trasformare la Cisgiordania nella Striscia di Gaza. È l’incipit di un editoriale di Haaretz. La giudeizzazione della Cisgiordania, dall’apartheid allo “Stato dei coloni”, dove la violenza è legalizzata, i pogrom contro villaggi palestinesi e prassi quotidiana. Globalist ne ha scritto a più e più riprese, con il prezioso contributo dei più autorevoli analisti israeliani e i rapporti, a decine, delle più accreditate associazioni per i diritti umani, internazionali (Amnesty International, Human Rights Watch), Ong presenti in Palestina (Oxfam, Msf etc), e israeliane (B’Tselem, Peace Now). Giudeizzare la Cisgiordania: è il primo obiettivo dei fanatici di Eretz Israel, che oggi dettano legge nello sciagurato governo Netanyahu.

Così Haaretz: “Israele ha deciso di trasformare la Cisgiordania nella Striscia di Gaza.  I metodi operativi sono gli stessi, così come gli armamenti. Anche gli obiettivi sono simili e i risultati non tarderanno ad arrivare: Israele si sveglierà presto con un’altra Gaza, questa volta al confine orientale, con tutto ciò che ne consegue.

Dallo scoppio della guerra, Israele ha cambiato la sua politica in Cisgiordania   e i palestinesi che vi abitano hanno dovuto affrontare una nuova realtà ancora più dura. Il primo passo è stato la chiusura totale e la cancellazione di tutti i permessi di lavoro in Israele. La libertà di movimento è stata ridotta al minimo, quindi l’accesso ai luoghi di lavoro è stato limitato anche in Cisgiordania e la situazione economica si è ulteriormente deteriorata. 

Poi l’esercito ha iniziato a utilizzare nuovi metodi di combattimento, alcuni dei quali fino ad allora erano stati applicati solo a Gaza e in Libano: I droni e gli aerei dell’aviazione sono diventati il principale strumento di distruzione contro sospetti ricercati e persone innocenti, in un numero mai visto dalla seconda intifada. Israele sta ignorando l’intenzione del presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas di visitare Gaza, una visita che potrebbe contribuire a risolvere la questione di chi gestirà il valico di Rafah, continuando a danneggiare il bilancio dell’Autorità Palestinese. In sostanza, la nuova politica consiste nel promuovere l’annessione della Cisgiordania nello stesso momento in cui l’occupazione viene giudicata nei forum internazionali. 

Con la vaga giustificazione della “guerra al terrorismo”, dal 7 ottobre l’esercito ha ucciso almeno 621 palestinesi della Cisgiordania, secondo i dati di B’Tselem. I dati compilati dalle Nazioni Unite mostrano che almeno 140 di loro sono stati uccisi in 50 attacchi aerei. Allo stesso tempo, la violenza dei coloni si è notevolmente intensificata, raggiungendo livelli senza precedenti. I pogrom e le rivolte nei villaggi palestinesi sono diventati una routine, per lo più sotto la protezione dell’esercito e senza alcun intervento concreto da parte di quest’ultimo. 

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Dieci giorni fa, l’esercito ha intensificato i combattimenti e ha lanciato l’Operazione Campi Estivi, attualmente in corso. Le redini sono state allentate e l’esercito sta operando come a Gaza. Almeno 38 palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania, tra cui almeno 9 minorenni. La distruzione seminata dall’esercito nei campi profughi assomiglia a quella di Gaza. Si è sempre trattato di operazioni inutili il cui unico risultato, in assenza di un piano politico, è quello di spingere i residenti della Cisgiordania sempre più nella disperazione e verso la lotta armata.

Il ministro della Cisgiordania, Bezalel Smotrich, e il ministro della sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, sotto la guida di Netanyahu e con la partecipazione dell’esercito, stanno facendo di tutto per aprire un altro fronte   oltre a quelli già in fiamme. Presto otterranno il loro desiderio”. 

E realizzeranno, aggiungiamo noi, il loro sciagurato obiettivo: trasformare la Cisgiordania occupata nel “Regno di Giudea e Samaria”, lo “Stato dei coloni”. 

Una grande lezione di storia. E di politica

È quella che offre, sempre sul quotidiano progressista di Tel Aviv, una grande donna, una eccezionale politica e intellettuale di raro spessore, che chi scrive ha avuto modo di conoscere personalmente nell’oltre trentennale frequentazione d’Israele: Yuli Tamir. La professoressa Tamir è presidente del Beit Berl College, ed è stata ministra dell’Istruzione e uno dei fondatori di Peace Now.

Scrive Tamir: “Molti di noi si chiedono come mai ad oggi non sia sorta all’interno del Likud un’opposizione a Benjamin Netanyahu in grado di porre fine al suo lungo regno. 

Sebbene molti vedano ancora Netanyahu come una figura dirigenziale inattaccabile, l’ampia protezione che il suo partito gli concede è senza precedenti. Nella sua autobiografia in lingua ebraica, il cui titolo si traduce in “Perché il volto del mio Paese è cambiato”, Uzi Baram, uno dei politici più ammirati di Israele, ci riporta al tempo in cui un grande leader, David Ben-Gurion, perse la fiducia del suo partito, dopo che questo gli voltò le spalle. 

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Baram ci riporta all’Affare Layon: un’operazione di sabotaggio fallita da parte dei servizi segreti militari, per la quale nessuno si è assunto la responsabilità. Nel luglio del 1954 gli egiziani arrestarono due giovani ebrei con una bomba. L’obiettivo dell’operazione era quello di sabotare le relazioni tra Egitto e Gran Bretagna prima che la Gran Bretagna trasferisse all’Egitto la sovranità sul Canale di Suez. 

Fu condotta all’insaputa del Primo ministro Moshe Sharett e del Capo di Stato Maggiore Moshe Dayan. La domanda “Chi ha dato l’ordine?” è rimasta aperta per anni. Ben-Gurion pensava che fosse stato il capo dell’intelligence militare Binyamin Gibli, mentre altri davano la colpa all’allora ministro della Difesa Pinhas Lavon.

La disputa infuriava all’interno del Partito Laburista; Baram, in qualità di capo della Giovane Guardia del partito, si schierò contro Ben-Gurion. Durante un incontro con Ben-Gurion, i membri dell’unione studentesca del partito lo attaccarono. Nel suo libro, Baram scrive che, pur ammirando il primo ministro per le sue attività, “non ero d’accordo con il suo stile e con la brutalità che accompagnava la sua lotta. … Ben-Gurion si rese conto che il partito, di cui era stato fondatore e fino a poco tempo fa leader indiscusso, aveva smesso di vederlo come onnipotente”.

Baram racconta di aver lasciato l’incontro con la sensazione “di aver appena visto un grande leader in un momento molto piccolo. Si è battuto per presentarsi come un combattente per la democrazia e non come un dittatore che ha vinto ricorrendo alle minacce per costringere la leadership del partito a spodestare Lavon. Non mi ha convinto”. La fine è nota. Ben-Gurion si dimise dal suo partito, fondò un partito rivale, fallì alle elezioni e partì per il Kibbutz Sde Boker.

All’epoca Baram era uno studente. Ben-Gurion era considerato il fondatore dello Stato e il padre della nazione, eppure quando si incontrava con la Giovane Guardia del partito veniva fortemente criticato da quest’ultima. Il suo eccellente curriculum non lo proteggeva quando il suo comportamento diventava meschino. In una prospettiva contemporanea è impossibile non chiedersi perché a Netanyahu venga concessa una protezione totale nonostante il suo comportamento controverso. 

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Perché la Giovane Guardia del Partito Laburista è stata in grado di vedere gli errori di Ben-Gurion, nonostante le sue giustificazioni, e di non essere d’accordo con lui, mentre nessun membro del Likud è in grado di prendere le distanze da coloro che sono entusiasti di Netanyahu e di dirgli: “Non sono convinto”. La risposta è che il Partito Laburista si è comportato come un partito, non come una setta. Sebbene abbia decapitato i suoi leader più spesso del necessario, non li ha mai trasformati in figure immuni da critiche. Questo è uno dei motivi per cui il volto del nostro Paese è cambiato.

Un tempo un cittadino – un membro del partito, uno studente – poteva pensare in modo indipendente dai leader e giudicarli. Oggi, un passo del genere viene immediatamente etichettato come tradimento e provoca una controreazione da parte della tossica macchina della propaganda di destra. 

Ciò significa che viviamo in un mondo in cui il pensiero indipendente è soppresso e la libertà di espressione è negata non da forze politiche ma da forze interne, da un’autocensura che induce molti a credere che la critica – qualsiasi critica – sia pericolosa per l’individuo e per il partito. L’affascinante e stimolante libro di Baram chiarisce la differenza tra la leadership che ha fondato lo Stato e quella di oggi. 

I membri della generazione di Ben-Gurion non erano dei santi, hanno commesso molti errori, ma hanno anche fatto cose grandi e importanti. Erano ammirati, ma non erano al riparo da aspre critiche esterne e interne. Il fatto che quest’epoca sia giunta al termine è la prova più evidente della transizione di Israele da una democrazia funzionante a una dittatura malata. Dovete leggere il libro di Baram, anche solo per ricordare che le cose possono essere diverse”, conclude Tamir.

Sì, le cose possono essere diverse. Di certo, era diverso quell’Israele, a partire da chi lo guidava. 

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