La tragedia nella tragedia: quella dei profughi libanesi costretti a fuggire dalle zone di guerra per cercare rifugio in un paese in macerie: la Siria.
L’appello di Grandi
L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, ha concluso martedì una visita urgente in Siria per mobilitare il sostegno a 250.000 persone che sono fuggite dagli attacchi aerei in Libano e hanno attraversato la Siria.
Grandi ha visitato il valico di frontiera di Jdeidet Yabous. Ha incontrato rifugiati libanesi e siriani che hanno appena attraversato il confine e che hanno raccontato di come sono sfuggiti agli intensi bombardamenti israeliani che hanno terrorizzato i loro figli.
“Le famiglie con cui ho parlato sono scappate per salvarsi la vita e non hanno idea di cosa possa portare loro il domani, dopo un viaggio estenuante e pericoloso verso il confine. Arrivano con pochi mezzi e hanno bisogno di aiuti urgenti”, ha dichiarato Grandi.
Con la strada principale tra i posti di frontiera libanesi e siriani distrutta da un attacco aereo, le persone sono costrette ad attraversare a piedi con i loro bambini e tutti gli effetti personali che possono portare con sé.
L’Unhcr, l’Agenzia Onu per i Rifugiati, insieme alla Mezzaluna Rossa Araba Siriana, ad altre agenzie Onu e alle Ong, è al confine per fornire acqua, cibo e coperte. I nostri team stanno anche supportando i nuovi arrivati con assistenza legale, documentazione e consulenza sulle procedure amministrative e di altro tipo. “Il nuovo afflusso di persone arriva in un momento in cui milioni di siriani vivono in condizioni di disagio e hanno bisogno di assistenza umanitaria. Dobbiamo aumentare il sostegno ai nuovi arrivati e alle comunità ospitanti vulnerabili che li accolgono”, ha dichiarato Grandi.
Grandi ha sottolineato l’urgente necessità di mobilitare gli aiuti umanitari e risorse più consistenti per sostenere le attività di recupero precoce, come previsto dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. A Damasco, Grandi ha anche incontrato personalmente e virtualmente i donatori per lanciare un appello di emergenza inter-agenzie per 324 milioni di dollari per aiutare, per un periodo di sei mesi, tutte le persone in fuga in Siria e le famiglie che ospitano molti di loro.
L’Unhcr sta seguendo le persone in tutta la Siria e amplierà i suoi programmi umanitari per rispondere alle esigenze dei nuovi arrivati e delle comunità che li ospitano. Saranno inoltre rafforzati i nostri programmi di assistenza legale.
La visita di Grandi in Siria segue la missione a Beirut, in Libano, nel mezzo della terribile crisi di sfollamento che sta travolgendo il Paese a seguito di due settimane di attacchi aerei israeliani sempre più intensi.
Secondo quanto comunicato dal governo libanese, la maggior parte dei 310 mila civili che hanno lasciato il Paese dei Cedri negli ultimi giorni sono siriani: gli stessi che, a partire dal 2011, erano stati costretti a fuggire dalla Siria a causa del conflitto scoppiato nel loro Paese d’origine.
Un’organizzazione umanitaria attiva ai valichi di al-Masnaa, al-Dabousiyah e al-Arida, Shafak, ha dichiarato che circa 16.500 persone sono arrivate nelle aree del nord-est della Siria, a maggioranza curda, dove sono presenti contingenti americani. Diverse migliaia di altri rifugiati hanno invece trovato riparo nelle zone al confine nord, controllate dalle forze di opposizione sostenute dalla Turchia. I profughi in fuga hanno evitato città come Aleppo, Damasco e altre aree sotto il controllo di Assad, per timore non solo di attacchi israeliani, ma soprattutto di possibili persecuzioni da parte del regime.
Sempre secondo Shafak, i rifugiati hanno dovuto affrontare attese interminabili in lunghe code ai valichi di frontiera e, in molti casi, sono stati vittime di soprusi e abusi sia da parte delle forze militari siriane che delle forze di opposizione. La situazione rappresenta un nuovo capitolo nel cambiamento demografico che sta investendo la Siria. Nel nord del Paese, infatti, risiedono attualmente circa 5 milioni di persone, di cui 3,9 milioni sono sfollati provenienti da altre regioni. Di questi, 1,9 milioni vivono in campi profughi.
Un eventuale esodo di massa dal Libano potrebbe rappresentare un ulteriore shock demografico per la Siria e suscitare preoccupazioni anche in Turchia. In queste prime due settimane è diventato evidente che i flussi di profughi si dirigono principalmente verso nord, in direzione del confine turco. Negli ultimi anni, l’opinione pubblica turca ha assunto una posizione fortemente anti-migranti e il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, non può permettersi di gestire nuovi arrivi di profughi. Una crisi umanitaria di vasta portata costringerebbe Ankara a prendere misure drastiche. Attualmente, la zona sotto il controllo dei gruppi sostenuti dalla Turchia ospita circa 5,5 milioni di persone, una popolazione quasi quadruplicata rispetto agli 1,5 milioni che vi risiedevano prima dell’inizio del conflitto.
Un dramma che si ripete
Scrive Annalisa Camilli su Internazionale: “Mentre l’offensiva militare israeliana in Libano s’intensifica, costringendo più di un milione di persone ad abbandonare le loro case, i rifugiati siriani che si erano trasferiti in Libano negli ultimi anni per mettersi in salvo dalla guerra civile, sono stati tra le comunità più colpite, tanto che migliaia di loro hanno deciso di tornare in Siria, nonostante i pericoli. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), dal 23 settembre più di duecentomila persone hanno attraversato il confine tra Libano e Siria.
“Il 70 per cento sono siriani che stanno tornando nel loro paese di origine per sottrarsi ai combattimenti”, ci racconta da Beirut Dalal Harb, portavoce dell’Unhcr in Libano. Ma per molti dei circa 1,5 milioni di rifugiati siriani in Libano, fuggiti dalla guerra scoppiata nel 2011, ma anche da anni di persecuzione politica e dal servizio militare obbligatorio, tornare a casa non è una scelta sicura, come denunciano le organizzazioni che si occupano della difesa dei diritti umani. “Le persone che stanno andando in Siria stanno tornando in un paese ancora in crisi in cui rischiano molto”, continua Harb.
Inoltre, i valichi di frontiera tra Siria e Libano sono stati ripetutamente bombardati negli ultimi giorni. Secondo alcune organizzazioni, in Siria quelli che tornano rischiano di essere incarcerati o perseguitati dal regime di Bashar al Assad. Nove rifugiati su dieci in Libano vivono in condizioni di estrema povertà e dipendono dagli aiuti umanitari. Per anni, hanno dovuto affrontare una crescente xenofobia da parte dei libanesi in un contesto di una profonda crisi economica nel paese che ospita il maggior numero di rifugiati pro capite al mondo.
Le leggi molto restrittive sui permessi di soggiorno e di lavoro hanno reso ancora più difficile trovare un impiego per molti profughi. “Abbiamo ricevuto molte denunce da parte dei rifugiati negli ultimi giorni secondo cui gli è stato impedito di entrare nei rifugi antiaerei sovraffollati”, racconta Harb. “Stiamo cercando delle soluzioni con il governo libanese perché non ci sono abbastanza rifugi antiaerei e questo crea ulteriore tensione”, continua Harb.
Negli ultimi giorni secondo diverse testimonianze ad alcuni rifugiati siriani è stato impedito di accedere ai rifugi antiaerei in Libano. Molti sono riservati ai libanesi e sono sovraffollati, con persone lasciate a dormire per strada, sulle spiagge o nelle loro auto. Inoltre in Libano c’è ancora un forte sentimento antisiriano, che risale all’intervento militare di Damasco durante la guerra civile libanese e poi all’occupazione durata fino al 2005: per questo spesso i siriani sono presi di mira in modo specifico.
“Decine di migliaia di rifugiati siriani, che hanno cercato sicurezza in Libano, si vedono negare l’aiuto”, ha affermato l’ong Action Aid in una dichiarazione. “Molti sono stati costretti a dormire per strada o a attraversare i confini per tornare in Siria”. Ci sono ovviamente anche dei casi in cui i libanesi hanno aperto le loro case ai rifugiati, mentre alcune ong locali stanno assicurando che i rifugi forniscano assistenza a tutti…”.
I più reietti tra i reietti
Ne scrive Elisa Brunelli per Il Manifesto: “Non hanno altra terra che li accolga, invece, i palestinesi del Libano. Mentre i bombardamenti si intensificano e interi campi si svuotano, altri sono ormai al collasso per l’afflusso costante di sfollati, in quella che molti cominciano a definire una «nakba permanente». Nelle strade della capitale spuntano intanto sempre più insediamenti improvvisati, fatti di tende e baracche precarie, sotto il passaggio minaccioso dei droni israeliani che volano a bassa quota, accompagnati dal loro ronzio insopportabile.
«La situazione sta diventando sempre più simile a quella che per mesi abbiamo guardato impotenti dagli schermi dei nostri cellulari – spiega Manar dei comitati delle donne di Shatila, che assieme a molte altre organizzazioni, palestinesi e libanesi, stanno coordinando gli sforzi per acquistare e distribuire beni di prima necessità agli sfollati -. Manca di tutto, dai materassi ai pannolini, e ogni giorno è sempre peggio». Dal 24 settembre l’Unrwa ha aperto sette rifugi di emergenza in diverse aree del Libano. Più di 1400 persone si sono già registrate, ma l’agenzia stima che il numero di sfollati palestinesi aumenterà drasticamente nelle prossime settimane.
Secondo fonti locali circa 500 famiglie sono state costrette ad abbandonare i giorni scorsi le proprie case nel campo di Burj al-Shamali, vicino alla città di Tiro, per sfuggire ai violenti raid che hanno colpito i villaggi e le città vicine. Anche nei campi limitrofi di Rashidieh e al-Bass, così come negli insediamenti di al-Maashuq e Jal al-Bahr, si registrano continue ondate di sfollamenti. La maggior parte si è diretta verso il nord del Libano, unendosi ai palestinesi in fuga dai campi di Burj al-Barajneh e Shatila, nel tentativo di ripararsi nei campi di Nahr al-Bared e Beddawi, vicino a Tripoli, dove solamente il 28 settembre, sono arrivate centinaia di famiglie. In quest’ultimo, la situazione si è fatta così urgente che alcuni residenti hanno iniziato ad aprire le proprie case e a forzare la porta di una scuola dell’Unrwa per accogliere gli sfollati. Monta intanto la rabbia per l’assenza di un piano ufficiale per la gestione degli sfollati che si riversano nelle regioni settentrionali, sempre più vulnerabili agli speculatori senza scrupoli, che approfittano dell’elevata domanda per gonfiare i prezzi degli alloggi”