Israele attacca l’Iran, la Harris con Beyoncé e Trump ad Austin: Texas protagonista
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Israele attacca l’Iran, la Harris con Beyoncé e Trump ad Austin: Texas protagonista

Solo dieci giorni al voto, anzi alla chiusura del voto, la differenza la farà chi andrà a votare, quanti lo faranno? Donne e giovani rimangono la chiave del voto, mentre continua la parità nei sondaggi più attendibili.

Israele attacca l’Iran, la Harris con Beyoncé e Trump ad Austin: Texas protagonista
Harris e Beyoncé
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Tiziana Buccico Modifica articolo

26 Ottobre 2024 - 23.40


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Solo dieci giorni al voto, anzi alla chiusura del voto, la differenza la farà chi andrà a votare, quanti lo faranno? Donne e giovani rimangono la chiave del voto, mentre continua la parità nei sondaggi più attendibili. Le polemiche, gli attacchi, le celebrity, Elon Musk e molto altro viene offuscato dall’attacco di Israele all’Iran. È pur vero che la politica estera non è il tema centrale ed importante di queste Presidenziali, eppure dovrebbe esserlo, i venti di guerra scuotono il mondo e non possono non condizionare le opinioni degli elettori americani. E importante citare Crisis Group e diversi giornalisti su X che hanno definito un attacco all’Iran 10 giorni prima come attacchi pro Trump, 5 giorni prima anti Trump, costringendo l’ex presidente ad impegnarsi per la guerra alla vigilia del voto.

Passando a cose più effimere oggi era il giorno tanto atteso di Beyoncé al fianco di Kamala Harris a Houston, in Texas città d’origine della popstar che nel suo discorso ha parlato di diritti riproduttivi, tema molto sentito dall’elettorato femminile. Ha aperto il raduno texano, un’altra celebrity con origini messicane, Jessica Alba cantando “Let’s get Loud” di Jennifer Lopez, e dicendo: “I nostri diritti e la nostra libertà sono in gioco” ad una folla entusiasta arrivata allo Shell Energy Stadium per parlare di donne, maternità, aborto. Tra gli ospiti anche Willie Nelson, 91 anni portati egregiamente, invitando il pubblico a cantare con lui. E sempre oggi la Harris ha guadagnato un altro endorsement, quello di Leonardo DiCaprio, che con un video su Instagram ha detto:” Il cambiamento climatico sta uccidendo la Terra e rovinando l’economia, abbiamo bisogno di un coraggioso passo avanti per salvare l’economia, il nostro pianeta e noi stessi. Ecco perché voterò Kamala Harris”.

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Un’altra notizia alimenta i media negli Stati Uniti: è la prima volta che il Washington Post non sosterrà un candidato. Per al prima volta da decenni, grande indignazione tra i collaboratori del giornale. L’editore del Post Will Lewis ha affermato:” Il Washington Post non sosterrà un candidato presidenziale in questa elezione. Né in nessuna futura elezione presidenziale. Stiamo tornando alle nostre radici”. La decisione è stata presa dal miliardario proprietario del giornale, il fondatore di Amazon Jeff Bezos. Sembra che i redattori della pagina editoriale del Post avessero stilato una bozza di approvazione per sostenere la Harris, ma la bozza non è mai stata presentata al direttivo. L’editorialista Robert Kagan, che si è dimesso venerdì in segno di protesta per l’accaduto, ha affermato che Bezos ha preso questa decisione per compiacere Bezos. “Questo è ovviamente un tentativo di Jeff Bezos di ingraziarsi Donald Trump in previsione di una possibile vittoria” ha detto Kagan a Erin Burnett della CNN “Trump ha minacciato di attaccare gli affari di Bezos, le relazioni tremendamente intricate con il Governo federale “. Anche Marty Baron si dimesso da direttore esecutivo del Post e non ha taciuto e con un post sui social ha scritto: “Questa è codardia, con la democrazia come vittima. Trump vedrà questo come un invito a intimidire ulteriormente il proprietario Bezos e altri. Inquietante mancanza di spina dorsale in un’istituzione famosa per il coraggio”. Sotto la direzione di Baron, il giornale ha vinto il Premio Pulitzer per il servizio per la copertura dell’assalto al Campidoglio, che fu descritto dal Post, come un “tentativo di colpo di stato”. Trump definì, durante la sua presidenza il giornale “The Fake News Washington Post” e derise Bezos come il “capo lobbista” di Amazon. 

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Sempre Trump ha accusato il colosso mondiale Amazon di non pagare le tasse e di approfittare del servizio postale statunitense, inoltre, durante l’amministrazione del tycoon, è stato bloccato il contratto di cloud computing da 10 miliardi di dollari di Amazon con il Pentagono. Fu proprio Bezos, scrive Baron nel suo libro “Collision of Power” a decidere lo slogan del giornale durante l’era di Donald Trump:” La democrazia muore nell’oscurità”. Le minacce di Trump, qualora venga eletto, di punire i suoi nemici evidentemente ha paralizzato Bezos. Tredici editorialisti del Post hanno pubblicato una dichiarazione di condanna, definendo la decisione: “un terribile errore”. “Rappresenta un abbandono delle convinzioni editoriali fondamentali del giornale che amiamo e per il quale abbiamo lavorato complessivamente per 218 anni” chiosano gli editorialisti. Un altro membro dello staff ha affermato, usando lo slogan del Post: “La democrazia non muore nell’oscurità, muore quando le persone acconsentono anticipatamente ai capricci di un fascista”. E ancora uno dei redattori di punta, vincitore del Premio Pulitzer David Maraniss:” Il giornale per cui ho amato lavorare per 47 anni sta morendo nell’oscurità”.

Hadas Gold e Brian Stelter della CNN nel loro articolo hanno anche scritto nel loro articolo: “Anche le principali catene di giornali statunitensi hanno ridotto i loro endorsement presidenziali negli ultimi anni. McClatchy e Alden Global Capital, che possiedono centinaia di giornali in tutto il paese, hanno posto fine a questa pratica. All’inizio di quest’anno, il New York Times ha annunciato che non avrebbe più sostenuto le elezioni locali, sebbene in seguito abbia sostenuto Harris come “l’unica scelta patriottica per la presidenza”. Venerdì, anche il Philadelphia Enquirer e l’Houston Chronicle hanno appoggiato Kamala Harris.

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“L’America merita molto di più di un aspirante autocrate che ignora la legge, scappa per evitare la prigione e non si preoccupa di nessuno tranne che di sé stesso”, ha scritto il comitato editoriale dell’Inquirer.

“L’America non ha inventato i diritti umani. In un senso molto vero… i diritti umani hanno inventato l’America”. Jimmy CarterXXXIX Presidente degli Stati Uniti d’America

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