Giù le mani da Francesca Albanese
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Giù le mani da Francesca Albanese

Francesca Albanese ha parlato all’Onu attaccando l’inazione del Palazzo di Vetro a fronte della situazione nei Territori Palestinesi Occupati e soprattutto a Gaza e raccomandando all’Assemblea Generale la sospensione di Israele

Giù le mani da Francesca Albanese
Francesca Albanese
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

2 Novembre 2024 - 19.16


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Lo gridiamo con quanta voce abbiamo. Lo scriviamo a chiare note. A lettere cubitali: GIÙ LE MANI DA FRANCESCA ALBANESE. Una donna coraggiosa. Una giurista che fa onore alle Nazioni Unite e al ruolo che ricopre. 

Tiro incrociato

Sotto tiro da parte di Israele e degli Stati Uniti (su X la Rappresentante Permanente americana all’Onu Linda Thomas Greenfield ne ha chiesto le dimissioni perche’ “antisemita” e “inadatta al ruolo”), la Special Rapporteur Francesca Albanese ha parlato all’Onu attaccando l’inazione del Palazzo di Vetro a fronte della situazione nei Territori Palestinesi Occupati e soprattutto a Gaza e raccomandando all’Assemblea Generale la sospensione di Israele dall’Organizzazione.

“L’impunità garantita a Israele gli ha permesso di diventare un violatore seriale del diritto internazionale”, ha detto l’esperta italiana, di cui in Italia l’associazione filo-israeliana SetteOttobre ha chiesto la destituzione, facendo rapporto alla Terza Commissione dell’Assemblea Generale assieme ad altri colleghi che fanno capo al Consiglio per Diritti Umani di Ginevra. “La violenza genocida descritta nel mio primo rapporto dopo il 7 ottobre si è metastizzata in altre parti dei territori Palestinesi”, ha aggiunto parlando con i giornalisti e criticando “l’indifferenza e la capacità di distogliere lo sguardo di molti stati a dispetto dell’impegno che ‘non succeda mai piu” preso dopo la Seconda Guerra Mondiale e in particolare in Europa dopo l’Olocausto”.

Nel suo rapporto in Terza Commissione, Albanese aveva oggi raccomandato la sospensione di Israele dall’Onu riferendosi al Capitolo Sei della Carta dell’Onu che autorizza l’Assemblea Generale, su raccomandazione del Consiglio di Sicurezza, a prendere questa misura quando uno stato membro ne “viola persistentemente” le prescrizioni. Quest’anno “l’escalation della violenza nella regione contro le stesse Nazioni Unite ha posto un terribile precedente”, ha detto citando l’agenzia per i profughi Unrwa e la forza di pace Unifil, e aggiungendo che, “se lasciata impunita”, potrebbe spingere a simili reazioni verso l’Onu da parte di altri Paesi. “Non deve succedere”, ha detto la Special Rapporteur: “E’ arrivato il momento di fare un passo esemplare”.

Giurista specializzata in diritto internazionale dei diritti umani e delle migrazioni, Albanese è nata a Ariano Irpino in Campania. È nota soprattutto per il suo ruolo come Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati, un incarico che ha assunto nel 2022. Albanese ha un’ampia esperienza accademica e professionale in questioni di diritti umani e diritto umanitario, e ha lavorato in varie organizzazioni internazionali, promuovendo i diritti dei rifugiati e la protezione dei civili in situazioni di conflitto.

Un appello da sostenere

“Esprimiamo la nostra vicinanza a Francesca Albanese, relatrice speciale Onu per i diritti umani nei territori palestinesi occupati, vittima di sistematiche accuse diffamatorie anche da parte di taluni diplomatici e esponenti di governi che invece dovrebbero facilitare lo svolgimento della sua attività. Albanese ha ricevuto dalle Nazioni Unite il mandato di riferire sulle condizioni in cui versa la popolazione palestinese e con onestà e coraggio, senza cedere a pressioni di alcun tipo, sta denunciando le violazioni dei diritti umani e i crimini commessi dal governo israeliano a Gaza e in Cisgiordania. Le accuse di antisemitismo mosse a coloro che criticano le politiche del governo israeliano sono infondate, strumentali e dannose anche per le stesse comunità ebraiche poiché banalizzano e indeboliscono la lotta all’antisemitismo reale, il quale risiede in contesti ben lontani da chi difende i diritti umani e chiede il rispetto della legalità internazionale. In particolare le accuse ad Albanese si inseriscono in un piano più ampio e mirato a delegittimare il sistema delle Nazioni Unite definite dallo stesso Netanyahu “una palude antisemita” e come dimostrano anche gli attacchi dell’esercito israeliano al contingente Unifil, le leggi che la Knesset si appresta ad approvare per dichiarare Unrwa, la più grande organizzazione umanitaria a sostegno dei rifugiati palestinesi, “organizzazione terroristica” e il divieto di ingresso in Israele imposto al segretario generale Antonio Guterres, oltre che alla stessa Francesca Albanese”.
Lo affermano in una nota i parlamentari dell’Intergruppo per la Pace tra la Palestina e Israele coordinato dalla deputata M5S Stefania Ascari.

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Un’intervista anticipatrice

È quella concessa a chi scrive da Albanese nel maggio 2023. Cinque mesi prima lo scoppio della guerra a Gaza. Quando ancora dell’apartheid instaurato da Israele nei Territori palestinesi occupati in pochi avevano il coraggio di parlare. Tra quei pochi, Francesca Albanese.

Come definirebbe oggi la situazione nei Territori palestinesi. Da più parti, e non solo quella palestinese, si denuncia il regime di apartheid che Israele avrebbe instaurato.

La situazione nel territorio palestinese – invito a usare il singolare per preservare l’importanza dell’unità territoriale della Palestina, o ciò che ne resta – è estremamente complessa, volatile e violenta. È il frutto dell’incancrenirsi di un’occupazione che da quasi 56 anni opprime un intero popolo con mezzi sempre più sofisticati, in violazione dei trattati internazionali e nell’impunità più totale. A Gaza, due milioni di persone vivono sotto assedio e spesso sotto attacco militare di Israele. In Cisgiordania, alla presenza dei militari israeliani si aggiunge quella di 750 mila coloni e per garantire la loro sicurezza i diritti fondamentali dei palestinesi sono violati sistematicamente. Gerusalemme è illegalmente considerata ‘annessa’ allo stato di Israele contro la stessa Carta dell’Onu. Le risorse del territorio occupato sono utilizzate a beneficio esclusivo di Israele, non esistono diritti civili e politici perché non c’è attività politica che non sia passata al vaglio o che non venga soppressa da Israele e, spesso, anche dalle autorità palestinesi. Persino esporre in pubblico la bandiera palestinese è proibito perché, nella logica dell’occupante e del colonizzatore, l’identità nazionale palestinese è una minaccia per quella di Israele. Questo regime è incontrovertibilmente apartheid: adesso la comunità internazionale comincia a prenderne consapevolezza, anche se i paesi occidentali fanno fatica anche solo a considerare l’utilizzo del termine nei confronti dello stato di Israele.

Eppure, non si può chiamare in altro modo il regime di discriminazione istituzionalizzata e violenta che da oltre mezzo secolo Israele mantiene sulla popolazione palestinese sotto occupazione, al fine di sottometterla e depredarla (senza considerare quello che è accaduto alla Palestina dall’epoca del Mandato Britannico e soprattutto dal 1947/9). Io sostengo che il crimine di apartheid costituisca un elemento analitico necessario ma non sufficiente, giacché chiede l’uguaglianza, ma non mette in discussione la mancanza di sovranità di Israele sul territorio che occupa dal 1967. Chiedere uguaglianza tra coloni e palestinesi, tra occupanti e occupati, non ha senso dal punto di vista legale. Il concetto che a mio parere meglio si adatta alla situazione è quello di colonialismo d’insediamento (settler-colonialism). Un termine che descrive il controllo da parte di un popolo su di un altro a mezzo di presenza fisica del colonizzatore, con intento acquisitivo, segregante e repressivo. É quello che è successo in Algeria, in Sudafrica, in Canada, negli Stati Uniti e in Australia, con il trasferimento massiccio di coloni europei e la sottomissione delle popolazioni indigene locali. Ed è quello che sta succedendo in Cisgiordania e a Gerusalemme Est: si cacciano i palestinesi per sostituirli con una minoranza di israeliani, spesso originari dell’America o dell’Europa, che arrivano con la missione ideologico-colonizzatrice di ‘riprendersi la terra che Dio ha promesso loro.’ Anche Gaza rientra in questa logica come riserva, parte del territorio dove ammassare e rinchiudere i nativi sgraditi, invisi al colonizzatore. 

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La legalità internazionale s’invera nelle risoluzioni Onu, nel diritto internazionale, nel diritto umanitario, nelle delibere assunte dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, nella Convenzione di Ginevra sulla guerra. Su queste basi, le chiedo: cosa ne è della legalità internazionale in Palestina?

La giustizia in merito alla Palestina è più vicina agli interessi geopolitici degli Stati occidentali, ma questo deve cambiare e bisogna ri-orientarla verso il diritto internazionale. Non può esserci pace senza libertà e pieno godimento dei diritti e delle libertà fondamentali di tutti e tutte.

Israele e i suoi sostenitori in Italia l’accusano di essere parziale, “filopalestinese”, e di non avere l’equilibro necessario per ricoprire l’importante incarico che assolve. 

Il mio ruolo mi impone di condurre inchieste in modo imparziale ed indipendente, e di relazionare in modo onesto e trasparente sul contenuto delle mie osservazioni alla luce del diritto internazionale; ed è quello che faccio.  Israele è potenza occupante nel territorio palestinese dal 1967 e opera marcatamente al di fuori di ciò che é permesso dal diritto internazionale. Non è un caso che il mio mandato, creato nel 1993, mi obblighi a relazionare sulle violazioni del diritto internazionale commesse da Israele. Ciò nonostante, io ho chiarito dal principio del mio mandato che intendo esaminare le violazioni commesse da chiunque nel territorio palestinese occupato, incluso le autorità palestinesi. La questione della mia presunta parzialità ha altra matrice…

Quale?

Le campagne diffamatorie contro il mio mandato sono solo l’esempio più recente di una campagna globale guidata da Israele e dai suoi sostenitori, con l’obiettivo di distrarre la comunità internazionale dai potenziali crimini di guerra e crimini contro l’umanità che Israele commette ogni giorno e per cui è sotto inchiesta dalla Corte Penale Internazionale. Citando il mio collega Nils Melzer, il precedente Relatore Speciale sulla tortura, “Se un governo si rifiuta di impegnarsi in un dialogo costruttivo e viola ripetutamente i suoi obblighi in modo grave, allora c’è un punto in cui devo rendermi impopolare e mobilitare il pubblico. Qualsiasi altra cosa mi renderebbe un traditore del mio mandato.”

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Nel giustificare le azioni condotte in Cisgiordania e a Gaza, Israele invoca il diritto di difesa dalla minaccia terroristica.

Israele è la potenza occupante – in quanto tale, è ossimorico che invochi il diritto all’autodifesa ‘in bianco’ contro il popolo che sta tenendo sotto occupazione da quasi 56 anni. Vorrei ricordare inoltre che la creazione di gruppi ritenuti terroristici, Hamas in primis, è stata sostenuta da Israele stesso – Hamas, per l’appunto, è stato aiutato a crescere e ad inserirsi nella scena politica palestinese da Israele, per contrastare una forza politica (guidata da forze laiche) in grado di unire tutto il popolo palestinese, volutamente frammentato da Israele. Tale unità rappresentava una minaccia per Israele, che invece ha sempre mirato a rompere e prevenire una simile realtà politica, elemento fondante del diritto all’autodeterminazione. Inoltre, dal 22 Novembre 1967, quando il Consiglio di Sicurezza ha ordinato l’immediato ritiro delle forze di occupazione israeliane dal territorio palestinese, in quanto tale occupazione non ha ragion d’essere. Tale ordine, incessantemente rinnovato dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu (ultima risoluzione: 2234 del 2016), viene continuamente ignorato da Israele, che rafforza la sua stretta sul territorio palestinese ostentando, ancora una volta, la lettura apologetica di una guerra difensiva, presupponendo equivalenti interessi, poteri e mezzi da entrambe le parti.

Sul piano umano, cosa l’ha più colpita nell’esperienza che sta conducendo?

Mi colpisce l’ignoranza dei fatti fondanti della questione israelo-palestinese, l’uso arbitrario della legge internazionale – da quest’ultima non sono colpita, ma sbalordita da come gli stati e anche certi funzionari internazionali pensino che il diritto sia sul ‘menù delle opzioni’ o anziché uno strumento essenziale per la risoluzione dei conflitti. E ancora di più, mi colpisce la mancanza di empatia con il popolo palestinese. I palestinesi hanno contro: Israele, USA, i poteri occidentali e la mancanza di solidarietà dei governanti arabi. Sono soli nello scacchiere internazionale in compagnia di un diritto vilipeso per ragioni di geopolitica. Mi colpisce anche la violenza e l’organizzazione capillare di chi cerca di silenziare qualsiasi voce critica solo per “proteggere” Israele dalle condanne che si merita in punto di diritto.  Ma mi colpisce anche la solidarietà di tanti nei confronti del mio mandato e la capacità di essere forza creativa. Io credo nella forza delle leggi e nella potenza della ragione umana.  credo nella solidarietà e spero che tutto questo sinergicamente funzioni prima o poi. 

Così nell’intervista. Chiudiamo come abbiamo iniziato. Con la stessa determinazione. Giù le mani da Francesca Albanese.

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