Il ritorno di Trump: impatto sui regimi arabi e preoccupazioni per Iran e diritti umani
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Il ritorno di Trump: impatto sui regimi arabi e preoccupazioni per Iran e diritti umani

Tra le ragioni della preferenza di molti del mondo arabo per Donald Trump, alcuni osservatori pongono l’accento sulla vecchia consuetudine popolare di affidarsi all’uomo forte.

Il ritorno di Trump: impatto sui regimi arabi e preoccupazioni per Iran e diritti umani
Bin Salman e Trump
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

6 Novembre 2024 - 17.13


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Quando si parla di orientamenti del mondo arabo, bisogna sempre distinguere tra quelli dei regimi e quelli delle basi popolari, che nella gran parte dei casi non li riconoscono come loro espressioni. Tuttavia, in queste elezioni, le preferenze profonde e quelle dei regimi sono apparse alla gran parte degli osservatori arabi molto spesso coincidenti. Si può quindi dire che il Medio Oriente abbia vinto le sue elezioni americane.

Tra le ragioni della preferenza di molti in questo mondo per Donald Trump, alcuni osservatori pongono l’accento sulla vecchia consuetudine popolare di affidarsi all’uomo forte. Per altri, è stato un anno di guerra con scelte di Biden ritenute inaccettabili a livello popolare ad aver pesato nell’orientamento dell’opinione pubblica. Entrambe le rappresentazioni contano e forse entrambe hanno avuto un senso.

C’è anche la vecchia preferenza per i repubblicani rispetto ai democratici, originante in un altro mondo, quando i repubblicani esprimevano il mondo dei petrolieri, sensibili al mondo che produce petrolio. Questa percezione dell’America persiste ancora in alcuni.

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Ma perché i regimi hanno chiaramente preferito Trump, pur non sbilanciandosi ufficialmente? Per molti, la risposta è evidente: il punto decisivo è “diritti umani”. L’egiziano al Sisi, davanti al condizionamento del sostegno americano al rispetto di alcuni limiti alla repressione da parte dell’amministrazione Biden, ha esemplificato il favore dei regimi arabi per Trump.

Anche se la scelta del Cairo come co-mediatore nell’infinito negoziato su Gaza ha stemperato nell’ufficialità il favore del regime per Trump, questa simpatia esisteva, così come a Riad. La simpatia dei salotti sauditi per un presidente, che si era presentato quattro anni fa promettendo di ridurre Mohammad bin Salman a un paria della comunità internazionale, era difficile da immaginare.

Riad ora si caratterizza per un nuovo protagonismo regionale che non vuole fughe in avanti, nemmeno con l’Iran, che non si vuole umiliare ma certamente disarmare in Libano, Siria e Iraq.

Un altro interlocutore per la nuova amministrazione americana sarà l’emiratino bin Zayed. Anche qui, parlare di diritti umani non è risultato popolare a corte, considerato un linguaggio ostile, nonostante le poche pressioni esercitate dalla Washington di Biden. Ora, il tema scivola e il riassetto regionale diventa cruciale per le politiche energetiche e nuove direzioni commerciali.

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Per attrarre questi Paesi decisivi, occorre garantire prospettive di sviluppo commerciale e linee aperte all’interscambio globale, in cui si sentono centrali.

L’attenzione si sposta poi sull’altro fronte, quello di Iran e alleati, che confidavano in un nuovo accordo con i democratici. L’Ayatollah Khamenei ha mantenuto un inusuale silenzio durante le ore del voto, in contrasto con i suoi abituali attacchi al giorno delle elezioni americane.

Alcuni hanno ipotizzato un possibile bombardamento delle centrali nucleari iraniane. Tehran aveva mostrato l’intenzione di usare la minaccia: “se ci mettete all’angolo sceglieremo davvero la deterrenza nucleare”, contraddicendo la sentenza religiosa di Khamenei che proibisce l’uso militare del nucleare.

Successivamente, la posizione ufficiale non è cambiata, ma il nervosismo è palpabile. Tehran teme il ritorno di Trump, il presidente che ordinò l’eliminazione del generale Qassem Soleimani, capo delle milizie filo-iraniane in Medio Oriente.

Tehran sostiene che il risultato elettorale non cambi nulla e che i piani per una reazione al recente bombardamento israeliano siano già pronti. Tuttavia, sembra vero l’opposto: Tehran è l’unica capitale che teme realmente il nuovo corso.

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Resta da capire quale massima pressione verrà esercitata dalla Casa Bianca.

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