Donald Trump, dal prossimo gennaio, presiederà gli Stati Uniti d’America, la più longeva democrazia moderna del mondo, che, con pregi e difetti, non ha mai vissuto pericoli destabilizzanti che la potessero portare a forme di tirannia o dittatura, nemmeno nei bruttissimi momenti della guerra civile (1861-1865) e dell’attentato delle Torri Gemelle (2001). Ora, forse, è alto il rischio di cadere in una degenerazione della democrazia, non una “copia” di dittature o totalitarismi del secolo scorso (socialcomunismo sovietico, nazismo, fascismo, franchismo e affini nel mondo) ma qualcosa che ad essi si avvicina molto. Questi nuovi sistemi vengono definiti dittature morbide, stati cesaristici, mostri miti (R. Simone). Si tratta di strutture politiche apparentemente democratiche, ma di fatto regni dittatoriali, che tradiscono i principi democratici fondamentali. L’inizio della degenerazione è segnato dall’emergere e affermarsi di politici populisti.
Donald Trump è un populista e, stando ad affermazioni e atti già visti nel suo primo mandato, potrebbe, insieme al suo staff e sostenitori politici e finanziari, traghettare gli USA in una dittatura morbida. A mio modesto parere è questo il primo problema che ha il Partito Democratico: il dovere sacrosanto di studiare, vigilare e operare perché ciò non avvenga. Questo non è solo un problema statunitense: Trump è in buona compagnia. Sono populisti, con diversi atteggiamenti, strategie e finalità, leader quali Erdogan, Salvini, Meloni, Le Pen, Grillo, Renzi, Chavez, Orban, Putin e via discorrendo. Non sono assolutamente uguali tra loro – per tratti umani, etici, storici e politici – ma hanno diverse cose in comune (The Guardian on line, The new populism).
Il populismo è una malattia democratica che ha due poli importanti: il popolo e il leader. Riguardo al popolo va detto che, in genere, si tratta di un popolo non ben definito, accomunato da bisogni o stato di crisi, in disagio culturale ed economico, che si sente orfano di reali rappresentanti dei suoi interessi, quasi in perenne stato di resistenza e assediato da alcuni nemici sociali storici (ebrei, immigrati, stranieri, neri e così via). A questo tipo di popolo il politico populista si presenta e chiede consenso, mostrando la pretesa di essere l’unico idoneo a rappresentare gli interessi fondamentali delle persone e a risolvere i loro problemi. Il populista è poco rispettoso di regole e procedure democratiche, in contatto costante con il suo popolo, specie sui social e qui, per Trump, va ricordato il sostegno del discutibile Elon Musk. I populisti normalmente sono anche caratterizzati da Ego grandi quanto metà degli USA e in egual misura da volgarità, mancanza di rispetto per persone e istituzioni e stupidità di ogni genere (in materia, riguardo a Trump, concordo con l’analisi di Gianni Cipriani, qui su Globalist.
Ma perché molti li votano e, avvolte, addirittura adorano i populisti? Perché i votanti (mancano ancora i dati affluenza) hanno preferito Trump (72.700 ml) a Kamala Harris (68.050 ml)? Perché il consenso per Trump è cresciuto in alcuni gruppi storici, come middle class, latinos ecc? A mio modesto avviso per un mix di ignoranza, paure economiche e sociali e ricerca del “salvatore della patria”. Esprimo qualche considerazione sintetica e limitata.
Ignoranza. I populisti vincono in Paesi che hanno scarsa formazione politica e, soprattutto, hanno seri problemi di tipo culturale, scolastico e universitario. Paesi dove: è alto l’analfabetismo (primo o di ritorno); esiste una crisi di larghi settori della scuola e dell’università; dominano saperi ridotti, monotematici e poco interdisciplinari, effimeri, estremamente dipendenti dalla superficialità di diverse fonti on line. Non manca solo la formazione civica, sociale e politica, manca la formazione tout court. Non è un caso che colto in inglese si dica educated. Questa è, dunque, la situazione in ampi strati di popolazione. Le cause del fenomeno sono tante. Ne sottolineo una. Il disimpegno di intellettuali e docenti, di sinistra come di destra nel formare non solo i propri studenti, ma anche gruppi e associazioni, specie in quartieri popolari e poveri culturalmente. È facile lamentarsi e giudicare negativamente chi segue i populisti del momento: ma, al di là delle responsabilità individuali, quante sono quelle del mondo politico, accademico, intellettuale, mediatico, ecclesiale? In particolare il dato educativo è strettamente intrecciato con quello della comunicazione odierna (in materia la lettura di Infocrazia di B-C. Han è illuminante).
Paure. Meno si conosce e più si ha paura. Più ci si chiude in forme di individualismo, egoismo, razzismo e omofobia e più crescono le paure, spesso infondate. I populisti lo sanno bene, manipolano i dati per accrescere le paure e così si presentano come risolutori dei problemi. Ma più che a risolvere i problemi sono interessati a carpire il voto e ad essere eletti, a consolidare le posizioni di potere e, spesso, a favorire, anche in maniera corrotta e illegale, parenti e amici che li hanno sostenuti. Le paure e i problemi vanno risolti insieme, con una classe politica di alto profilo umano, etico e professionale e con la partecipazione dei cittadini nelle diverse forme.
I “salvatori della patria”. Il deficit di formazione politica, cristiana o laica che sia, fa emergere il profondo bisogno di credere in un personaggio che si proponga come onnisciente, potente, capace di proteggere e di prendersi cura del singolo. Si chiama politica gnostica. Mancando oggi forma di discernimento, si seguono uomini politici aventi come comune denominatore l’atteggiamento combattivo, assertivo, narcisistico, rassicurante, decisionista e onnipotente, come se si trattasse di semidei. L’ignoranza sembra essere il terreno su cui cresce questa passione idolatra. Non a caso Milani scrisse sul muro della sua aula: “l’operaio conosce 100 parole, il padrone 1000, per questo è lui il padrone”. È la conoscenza, prima di tutto, che ha reso qualcuno padrone e l’operaio spesso subisce proprio perché sa di meno. È l’ignoranza dei cittadini uno degli elementi che fortifica i nuovi leader demagogici. Pochi anni prima Bonhoeffer, a proposito, avrebbe detto che “la potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri”.
Un’ultima nota. “Molte persone mi hanno detto che Dio mi ha salvato la vita (nell’attentato del 13 luglio in Pennsylvania ndr) per una ragione. E la ragione era salvare il nostro Paese e rifare grande l’America”, ha detto Trump durante il discorso della vittoria, in Florida. (Reuters, 6.11.24). Saranno queste frasi, sarà la promessa di combattere contro leggi permissive sull’aborto, sarà altro (promesse di sostegno economico?) ma Trump piace a diversi cattolici statunitensi (cardinali, vescovi, preti e fedeli laici). Niente di nuovo sotto il sole (Sir 1,10). Esistevano anche durante il fascismo, furono definiti clerico-fascisti e, come scriveva Sturzo, “per l’80% sono più clericali che cattolici”.
Guardando le immagini della vittoria di Trump e ripensando alla storia di questo grande Paese la memoria è andata a una pagina di Alexis de Tocqueville, che quasi due secoli fa, scriveva nel suo De la démocratie en Amérique: “Se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel [nostro] mondo, vedo una folla innumerevole di uomini eguali, intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i loro desideri. Ognuno di essi, tenendosi da parte, è quasi estraneo al destino di tutti gli altri: i suoi figli e i suoi amici formano per lui tutta la specie umana; quanto al rimanente dei suoi concittadini, egli è vicino ad essi, ma non li vede; li tocca ma non li sente affatto; vive in se stesso e per se stesso e, se gli resta ancora una famiglia, si può dire che non ha più patria. Al di sopra di essi si eleva un potere immenso e tutelare, che solo si incarica di assicurare i loro beni e di vegliare sulla loro sorte”.