Cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah: un fragile accordo tra ombre e speranze per il futuro
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Cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah: un fragile accordo tra ombre e speranze per il futuro

La domanda che molti si fanno è questa: Hezbollah disarma dal confine con Israele fino al fiume Litani, ma sopra il fiume Litani, cosa ci farà con le armi che ancora possiede?

Cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah: un fragile accordo tra ombre e speranze per il futuro
Sfollati libanesi
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

27 Novembre 2024 - 12.24


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Dopo aver lungamente parlato di guerra tra Israele e Hezbollah, il cessate il fuoco da poco entrato in funzione tra chi è? Alle 8,30 italiane il governo libanese lo ha ratificato, rendendolo un cessate il fuoco tra Israele e Libano. Ma non è il governo libanese ad averlo trattato. Lo ha trattato, senza titoli costituzionali per farlo, il Presidente del Parlamento libanese, Nabih Berri, sciita, alleato da sempre di Hezbollah e dell’Iran. La stessa decisione di sottoporre l’intesa all’esecutivo, in carica per il solo disbrigo degli affari correnti, è stata press precipitosamente ieri sera, quando il problema è riecheggiato a Beirut per le parole del patriarca maronita Beshara Rai. 

Questi accordi infatti competono al Presidente della Repubblica libanese, poltrona vacante da più di due anni, visto che il Parlamento non è mai stato convocato dal Presidente Berri nel corso di tutto il 2024 per eleggerlo, prima a maggioranza qualificata, poi a maggioranza semplice, come previsto dalla Costituzione. E allora perché  i negoziati, ad ogni livello, non  sono stati condotti  dal governo?

Appare evidente che questo accordo è stato trattato da Nabih Berri perché il suo obiettivo  era salvare il salvabile, per Hezbollah, più che per il Libano. Tutto questo dimostra che forse lo Stato libanese a dir poco traballa e questo lo conferma la dinamica di questa guerra con Israele, dichiarata da Hezbollah, non dal Libano, per un calcolo politico, un anno fa. Quando è cominciata la guerra di Gaza, Hezbollah ha deciso di dichiarare una guerra di sostegno a Gaza. Una scelta con cui Hezbollah aveva sperato di intestarsi la paternità del cessate il fuoco a Gaza, senza facilitarlo né avvicinarlo: la guerra è proseguita a bassa intensità fino a settembre, quando Israele ha deciso di trasformarla in guerra aperta, che ha coinvolto tutto il Libano ma il negoziato per concluderla è stato gestito solo da Berri perché alleato di Hezbollah. 

Hezbollah accetta i termini che l’Onu aveva già imposto dal 2006, quando i suoi miliziani avrebbero dovuto ritirarsi a 30 chilometri dal confine con Israele, dove scorre il fiume Litani e Israele avrebbe dovuto sospendere i sorvoli dello spazio aereo libanese. Hezbollah in realtà non si è mai ritirato, Israele ha proseguito i suoi sorvoli. Ora ciò che non si applicò, dopo quasi 4mila morti e un milione e cinquecentomila sfollati libanesi, viene imposto al partito che fu di Hasan Nasrallah. Questa volta però ci sarà un ampio comitato internazionale a verificare il rispetto dei patti. E non è difficile immaginare cosa accadrà se fossero disattesi. 

Il Libano già prostrato da un collasso economico che in quattro anni di default ha portato la valuta locale dal cambio a quota 1500 contro il dollaro a quello attuale che si avvicina a quota 100mila, ci arriva in macerie: umane, infrastrutturali e politiche. La domanda che molti si fanno è questa: Hezbollah disarma dal confine con Israele fino al fiume Litani, ma sopra il fiume Litani, cosa ci farà con le armi che ancora possiede? Quale altro uso oltre che quello coercitivo verso i suoi connazionali si può immaginare? Dunque non si può che giungere, nell’opinione di molti, a un altro interrogativo:  chi governa oggi Hezbollah? Un partito con una tale milizia ma oggi senza leadership è forse gestito da chi lo finanzia, cioè dall’Iran? Nabih Berri, leader di un altro partito alleato di entrambi, Hezbollah e Iran, ne è la voce politica a livello internazionale? 

La tenuta dell’accordo dipenderà in gran parte oltre che dal rispetto dell’area di non presenza miliziana, quella a sud del fiume Litani, anche dal blocco dei carichi di armi che sono sempre giunti dall’Iran a Hezbollah tramite la Siria. Ora, con i buoni uffici di Mosca, si intende convincere Assad a cambiare casacca: dopo essere stato fisicamente salvato da Hezbollah dovrebbe essere lui a garantire, per ordine moscovita,  che non passino più armi per la milizia libanese. Ma quell’ordine arriverà, perentorio? Recentemente nei depositi di Hezbollah sono state trovate tantissime armi di recentissima fabbricazione russa.  E poi Assad non è uno, gli Assad sono due. Il Presidente siriano, Bashar, tenuto per i capelli da Putin, e suo fratello Maher, legatissimo a Tehran. Che a Bashar al Assad interessi solo il potere lo si sa da sempre, ma il suo recente decreto di non vendere più case a iraniani dimostra due cose: la volontà di mostrarsi fedele a Mosca come l’enormità delle acquisizioni già effettuate dagli iraniani. Mosca e Tehran poi sono legate da accordi militari molto importanti per entrambi. L’impressione, ipotizzano alcuni,  potrebbe essere questa, ferma restando la parzialità di ciò che sappiamo: che ognuno farà i suoi interessi senza andare però allo scontro totale con l’altro, né -per quanto attiene a Putin- con Trump e con Netanyahu. Come lo si vedrà. 

Per le strade di Beirut giustamente si festeggia, ma le ombre purtroppo rimangono e sono evidenti. Tanto che non si può non notare un altro dettaglio: nel comitato che vigilerà sulla tregua era offerto un posto ad un big arabo. Risulta però che il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti  e l’Arabia Saudita non si sono presentati per accettarlo. Ecco che dovrebbe esserci l’Egitto, o forse neanche lui, ma la fragilissima Giordania. 

I libanesi hanno tutto il diritto di festeggiare, ma il loro sistema deve includere tutti, non funzionerà se non è così. Per questo il patto nazionale, fragile e criticabile, prevede da un secolo che il Presidente della Repubblica sia maronita, il capo del governo sunnita, il capo del Parlamento sciita. Ora si è impedito ai cristiani e ai sunniti di dire la loro nel negoziato? Si vuole imporre nei prossimi giorni un Presidente della Repubblica esecutori e tutore di interessi altrui? Se ne discuterà con le armi a Beirut? 

In un Paese  prossimo alla carestia, è stato evitata la catastrofe piena, soprattutto nel sud, sciita e oggi incenerito nonostante tanti disperarti tentino già rientrarci. Ma le incognite sono tante e i libanesi avrebbero diritto a riprendersi il governo del loro Paese; con un ceto politico, possibilmente non con una casta autoreferente. Qualche settimane fa l’ambasciata americana voleva escludere gli sciiti dalla partita politica per l’elezione del nuovo Capo dello Stato. Era un errore; il Libano deve essere di tutti, con tutte le possibili idee, possibilmente però tutti disarmati. Questo è il punto per rifare il Libano e questo punto non è risolto. E molti pur tirando un sospiro di sollievo già vedono i vecchi signori della politica ricominciare i loro balletti, per il potere.

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