In Argentina, il presidente Javier Milei sta adottando una pericolosa posizione negazionista riguardo ai crimini atroci commessi dalla giunta militare durante la dittatura di Jorge Rafael Videla (1976-1983). Le sue dichiarazioni, che ridimensionano o negano il numero delle vittime e l’esistenza di un piano sistematico di sterminio, rappresentano un inquietante passo indietro rispetto al consolidato impegno del Paese per la verità e la giustizia. Milei e la vicepresidente Victoria Villarruel contestano il dato simbolico delle trentamila persone scomparse, riconosciuto dalle organizzazioni per i diritti umani, e giustificano le forze armate, responsabili di torture, omicidi e sparizioni forzate.
Le Madres e Abuelas de Plaza de Mayo, figure centrali nella lotta per il recupero della memoria storica, hanno denunciato con forza le posizioni del governo Milei. Queste affermazioni, sostengono, non solo delegittimano decenni di battaglie per la giustizia, ma alimentano un pericoloso revisionismo storico che mina la credibilità delle istituzioni democratiche. «Le dichiarazioni del presidente sono un insulto alla memoria delle vittime e una minaccia per il processo di riconciliazione del Paese», hanno ribadito.
Le organizzazioni per i diritti umani e gli attivisti, come H.I.J.O.S (Hijos por la identidad y la justicia contra el olvido y el silencio), esprimono un profondo sdegno. Ernesto Gayá, figlio di due desaparecidos, ha sottolineato il rischio di normalizzare una narrazione che giustifica i crimini di lesa umanità: «Milei ripropone la vecchia “teoria dei due demoni”, secondo cui gli abusi delle forze armate sarebbero stati solo una risposta sproporzionata a una guerra civile. I processi, tuttavia, hanno smontato questa tesi. Non c’è stata alcuna guerra, ma un progetto deliberato di repressione e sterminio».
Gayá, figlio di Gustavo Adolfo Gayá e Estela María Moya, entrambi vittime del regime, ha raccontato l’orrore vissuto dalla sua famiglia. Sua madre è stata assassinata nel 1976 e suo padre è stato sequestrato e torturato nel centro clandestino “Automotores Orletti”, uno dei settecento luoghi di detenzione illegale sparsi per il Paese. La sua storia, come quella di migliaia di altre famiglie, rappresenta un capitolo tragico che Milei sembra voler cancellare.
Dalla fine della dittatura, l’Argentina aveva mantenuto un percorso chiaro di condanna verso i crimini del regime. A partire dal governo di Raúl Alfonsín, i responsabili sono stati processati per sequestri, torture, omicidi e sparizioni forzate, con oltre milleduecento condanne per crimini contro l’umanità. Anche nei momenti di maggiore tensione, come durante il governo di Mauricio Macri, quando la Corte Suprema tentò di applicare il controverso principio del “2×1” per ridurre le pene dei condannati, la società civile si mobilitò massicciamente per bloccare ogni passo verso l’impunità.
L’ascesa di Milei segna però una svolta inquietante. Oltre a ridimensionare i crimini della dittatura, il presidente accusa le organizzazioni per i diritti umani di lucrare sulla tragedia, parlando di una presunta “decima” percepita per chiedere giustizia. Ancora più grave, la vicepresidente Villarruel ha minacciato di smantellare il Museo della Memoria, ospitato nell’ex Scuola di Meccanica della Marina (Esma), uno dei principali centri di detenzione clandestina, dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco.
Queste posizioni rappresentano un attacco diretto ai valori fondamentali della democrazia e alla memoria collettiva. Ogni 24 marzo, in occasione della Giornata della Memoria, migliaia di argentini scendono in piazza per ricordare le vittime del regime e riaffermare il loro impegno per la giustizia. Quest’anno, la manifestazione ha avuto un significato ancora più profondo. «Non avremmo mai immaginato di dover affrontare di nuovo il negazionismo – afferma Gayá – ma continueremo a lottare affinché nessuno possa riscrivere la storia o cancellare il dolore delle nostre famiglie».
Le dichiarazioni di Milei e Villarruel non sono soltanto una rilettura indulgente di un passato oscuro: rappresentano un pericolo reale per la tenuta democratica dell’Argentina e un’offesa per le migliaia di vittime e sopravvissuti che continuano a chiedere verità, memoria e giustizia.