di Antonio Salvati
Il 17 dicembre scorso l’Assemblea Generale dell’Onu ha votato a favore della moratoria della pena di morte, stabilendo un record straordinario di consensi: 130 paesi – circa i due terzi degli stati membri delle Nazioni Unite – si sono dichiarati voti favorevoli, 22 astenuti e 32 contrari.
Così si comincia ad assaggiare una vita senza pena di morte. In un tempo di forti attacchi alla legittimazione dell’Onu, si tratta di un importante segno di speranza – come giustamente sottolineano dalla Comunità di Sant’Egidio – alla vigilia dell’inizio del Giubileo che verrà inaugurato ufficialmente nella giornata di martedì 24 dicembre con l’apertura della Porta Santa della Basilica di San Pietro in Vaticano.
La Risoluzione, che viene votata ogni due anni, ha registrato un rilevante aumento dei sostegni rispetto al 2022, registrando cinque paesi favorevoli in più. Un considerevole segnale della comunità internazionale per il progresso di una cultura della vita e della possibilità di un superamento di questa pratica ingiusta e disumana.
A mente fredda, non è irrilevante riportare seppur succintamente alcuni dati e passaggi che hanno caratterizzato la lunga campagna di sensibilizzazione condotta da Amnesty International, dalla Comunità di Sant’Egidio e da Nessuno tocchi Caino. Campagna, quella per l’abolizione definitiva della pena capitale, che – come direbbe Mario Marazziti – non ha paura del gradualismo e che si articola nell’umanizzare la vita concreta in carcere, rompere l’isolamento, nella riduzione dei reati passibili di pena di morte, nell’esclusione dei vulnerabili dal numero di chi può essere giustiziato, a partire dalle donne con bambini, i disabili mentali, i bambini, commutare sentenze capitali in pene certe ma senza morte, nella moratoria di fatto delle esecuzioni, nelle iniziative legislative per moratorie per legge, nel voto favorevole per una Moratoria Universale all’Onu, nella ratifica di Trattati internazionali come il Secondo Protocollo Opzionale sui diritti civili e politici, nell’abolizione della pena capitale dal codice penale, dal codice di guerra, il divieto di reintroduzione dopo la sua abolizione all’interno della Costituzione. Per questo umanizzare la vita nelle carceri e nei bracci della morte, è un inizio: per non infliggere una pena aggiuntiva, non scritta a quella già comminata. E per non umiliare i nostri sistemi giudiziari producendo altra rabbia e violenza.
Ma torniamo all’ultimo voto sulla moratoria della pena di morte. Le variazioni principali rispetto al voto tenutosi in Assemblea Generale del 2022 sono: il fronte dei favorevoli raggiunge la quota di 130 con un incremento del 27% rispetto alla prima votazione del 2007; gli assenti risalgono a 9 dopo (nel 2007 erano 5); gli astenuti confermano quota 21, il minimo da quando sono iniziate le votazioni; i contrari scendono al minimo storico di 32, con una diminuzione di quasi il 40% rispetto all’assemblea Generale del 2007. Per la prima volta votano ha favore il Marocco. Hanno sorpreso l’atteggiamento della Guinea Conakry e dello Zimbabwe che durante le votazioni svoltesi lo scorso novembre presso la Commissione dell’Assemblea Generale dell’Onu avevano votato a favore, mentre in Assemblea si sono astenuti.
Non comprensibile l’atteggiamento della Repubblica Centrafricana e delle Isole Marshall che hanno votato a favore in Commissione e si sono assentati in Assemblea. Da segnalare che il Gabon e il Ciad in Commissione si erano astenuti, mentre in Assemblea hanno votato a favore. Degno di nota che la Siria e il Sud Sudan, due paesi che continuano ad erogare condanne capitali, in Commissione hanno votato contro la Moratoria, mentre in Assemblea sono risultati assenti.
Alla prima votazione del 2007 i favorevoli erano 104. I contrari erano 54, oggi sono 32. Interessante il comportamento dei singoli continenti in queste votazioni. In Africa su 54 stati (nel 2007 non esisteva il Sud Sudan) nel 2007 i favorevoli furono 17, i contrari 12. Nel 2024 i favorevoli sono stati 33 (con un incremento di oltre il 120%), i contrari 6. L’Europa ha sempre avuto 44 voti favorevoli su 45 stati. In Oceania nel 2007 i favorevoli erano 6 su 13 stati. Nel 2024 i favorevoli sono saliti a 10 con una crescita del 67%. L’Oceania è ormai quasi tutta a favore della moratoria (ad esclusione di Papua New Guinea e Tonga) come l’Europa. Anche in Asia l’incremento dei favorevoli è sostanzioso: nel 2007 erano 15 i favorevoli su 46 stati; saranno 22 nel 2024 con un aumento di oltre il 40%. Nelle Americhe su 35 nazioni nel 2007 hanno votato a favore in 19, nel 2024 in 21. I contrari sono passati da 14 nel 2007 a 8 nel 2024.
Resta da chiedersi perché abolire la pena di morte con tanti problemi che ci stanno? Perché è così che inizia la pace e abbiamo bisogno di pace. Perché la pena di morte è la forma più estrema di distruzione della cultura della vita, e perché attorno alla pena capitale si concentrano tutte le debolezze dei sistemi giudiziari. Perché è la negazione del potere riabilitativo della pena e della sanzione, si favoriscono gli abusi delle persone, perché sempre crea nuove vittime, le vittime innocenti che sono i familiari delle vittime. Perché nega in radice – sottolinea Marazziti – la ragione stessa per cui esistono i sistemi giudiziari e le leggi: la legge esiste, nasce sempre per ridurre la violenza, è per difendere la società, per difendere la vita. Anche quella di chi sbaglia. Un sistema giudiziario «che dà la pena di morte, anche se lo fa appoggiato dall’opinione volatile dei cittadini, nega, sempre, sé stesso in radice. È inganno, perché promette una guarigione impossibile ai familiari e amici delle vittime, ma nella vendetta non c’è mai guarigione, si aggiunge sempre morte a una morte già avvenuta». Non è un farmaco per la violenza diffusa, per le gangs.
È un sogno un mondo senza pena di morte? Pensiamo di no. È realismo che chiede coraggio civile e politico, in tempi in cui la coscienza collettiva sembra addormentata. Essere contro la pena di morte rappresenta – ha dichiarato Marco Impagliazzo – una vigilanza continua sul nostro pensiero e sulla società: un modo per sottrarsi al sonnambulismo che porta al disinteresse per la vita degli altri o, addirittura, a negare un possibile cambiamento. Per questo è fondamentale quanto sta accadendo negli Stati Uniti, e in molte parti del mondo, dove un vasto movimento popolare chiede al presidente Biden, in carica fino al 20 gennaio prossimo, di commutare le quaranta sentenze capitali nel braccio della morte delle carceri federali degli Stati Uniti, prima di lasciare il suo Ufficio. In molti hanno rilanciato l’appello a Biden per commutare queste quaranta condanne: lo hanno fatto i vescovi Usa, organizzazioni cattoliche e non che da anni chiedono l’abolizione di questa pena negli Usa. Le commutazioni del presidente Biden mostrerebbero che una giustizia capace di rispettare sempre la vita – sostiene Impagliazzo – «è un argine alla cultura della morte, la stessa che dà per scontata l’uccisione di civili e bambini nelle guerre: un baluardo di civiltà alla pratica semplificata e generalizzata della violenza».