Undici bambini uccisi sotto le bombe, 4 neonati morti per ipotermia: così finisce l’anno a Gaza.
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Undici bambini uccisi sotto le bombe, 4 neonati morti per ipotermia: così finisce l’anno a Gaza.

Undici bambini uccisi in attacchi. 4 neonati morti per ipotermia. Così finisce l’anno a Gaza. La denuncia del Direttore regionale dell'Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa

Undici bambini uccisi sotto le bombe, 4 neonati morti per ipotermia: così finisce l’anno a Gaza.
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

27 Dicembre 2024 - 19.46


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Undici bambini uccisi in attacchi. 4 neonati morti per ipotermia. Così finisce l’anno a Gaza. La denuncia del Direttore regionale dell’Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa Edouard Beigbeder: “Negli ultimi giorni dell’anno, non sembra esserci fine alle minacce mortali per i bambini di Gaza. Negli ultimi tre giorni, secondo le notizie, almeno undici bambini sono stati uccisi in attacchi. Ora stiamo assistendo anche alla morte di bambini a causa del freddo e della mancanza di un riparo adeguato.

Secondo il Ministero della Sanità palestinese, negli ultimi giorni quattro tra neonati e infanti sono morti per ipotermia. Queste morti evitabili mettono a nudo le condizioni disperate e in via di peggioramento in cui versano le famiglie e i bambini di Gaza. Con le temperature che si prevede scenderanno ulteriormente nei prossimi giorni, è tragicamente prevedibile che altre vite di bambini andranno perse a causa delle condizioni disumane in cui versano, che non offrono alcuna protezione dal freddo.

Il 2024 è stato un anno di difficoltà inimmaginabili per le famiglie di Gaza. Oltre alla costante minaccia di attacchi, molti vivono senza un riparo adeguato, senza nutrizione e senza assistenza sanitaria. Le ferite causate dal freddo, come l’assideramento e l’ipotermia, rappresentano un grave rischio per i bambini piccoli che vivono nelle tende e in altri rifugi di fortuna non attrezzati per il gelo. Per neonati, infanti e bambini vulnerabili dal punto di vista medico, il pericolo è ancora più grave.

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I team dell’Unicef sul campo continuano a lavorare instancabilmente, distribuendo ai bambini indumenti invernali, coperte e forniture di emergenza. Ma la capacità delle agenzie umanitarie di consegnare aiuti salvavita nella misura necessaria rimane fortemente limitata.  A novembre sono entrati a Gaza in media 65 camion carichi di aiuti al giorno, troppo pochi per rispondere adeguatamente ai bisogni urgenti di bambini, donne e altri civili. La parte più settentrionale di Gaza è ormai sottoposta a un assedio quasi totale da più di due mesi.

L’accesso umanitario sicuro e senza restrizioni alla Striscia di Gaza e al suo interno, per raggiungere le popolazioni colpite ovunque si trovino, anche nel nord, è fondamentale. Tutti i valichi di accesso devono essere aperti, anche per quanto riguarda il carburante e i materiali necessari per far funzionare e riabilitare le infrastrutture essenziali e le forniture commerciali. Deve essere garantita una circolazione sicura per gli operatori umanitari e le forniture attraverso la Striscia di Gaza, per raggiungere in sicurezza le comunità che ne hanno un disperato bisogno.

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Mentre ci avviciniamo a un nuovo anno, i bambini hanno il diritto a un futuro libero dalla paura e pieno di promesse. Questo inizia con un cessate il fuoco immediato e duraturo a Gaza, con il rilascio di tutti gli ostaggi e con un rinnovato impegno a lavorare insieme per affrontare i bisogni urgenti dei bambini e delle loro famiglie.”

Ma a Gaza c’è solo spazio per il dolore e la morte. Almeno 50 persone sono state uccise in un attacco aereo israeliano su un edificio vicino all’ospedale Kamal Adwan, nel nord di Gaza. Lo ha comunicato il direttore dell’ospedale, Hussam Abu Safiya.

Almeno 53 persone sono intrappolate sotto le macerie di un edificio che ospitava sfollati nel quartiere di Sheikh Radwan, nel nord di Gaza City, colpito dall’aviazione israeliana. Lo affermano fonti della protezione civile della Striscia, secondo cui le squadre di emergenza hanno estratto i corpi senza vita di 13 persone da quello che resta della casa di una famiglia Hatteh che forniva rifugio agli sfollati.

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