Si chiama Zla Mavka, ed è il movimento di resistenza delle donne ucraine. Zla Mavka significa letteralmente “spirito malvagio della foresta”. Nella mitologia ucraina, le mavky sono esseri soprannaturali femminili che tentano gli uomini.
L’8 marzo dello scorso anno, durante la Giornata internazionale della donna, a Melitopol i soldati russi distribuivano fiori e rami di mimosa a donne e ragazze nel tentativo di promuovere relazioni amichevoli tra gli occupanti e gli abitanti. La storia, però, ha avuto una risposta inaspettata.
Alla vigilia di quella stessa giornata, infatti, nottetempo sui muri e sui lampioni della città apparvero manifesti raffiguranti una giovane donna ucraina che usava quei fiori per colpire alla testa un soldato russo. Lo slogan sui manifesti diceva: “Non voglio fiori, voglio la mia Ucraina”. Questo fu uno dei primi atti del movimento di resistenza delle donne ucraine nei territori occupati dalla Russia.
Usare la figura della mavka ha un duplice significato: da un lato, richiama la femminista ucraina del XX secolo Lesya Ukrainka; dall’altro, è un gioco di parole che si ricollega al modo in cui gli ucraini chiamano l’esercito russo: “orchi”, i brutali combattenti de Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien. Le donne del movimento ripetono spesso: “L’orco non può vincere sulla mavka“.
Il movimento si esprime attraverso piccoli atti di sabotaggio e resistenza, come la diffusione di giornali clandestini, la cancellazione dei messaggi di propaganda russa o lo spargimento di falsi rubli per strada. “Facciamo arrabbiare gli occupanti – dicono – gli causiamo mal di testa e ricordiamo loro che qui sono invasori”.
Quando qualcuno raccoglie una delle finte banconote da 2.000 rubli create da Zla Mavka, invece dell’immagine del ponte Russky, che collega Vladivostok all’isola Russky in Russia, trova il ponte di Crimea distrutto da un’esplosione ucraina nell’ottobre 2022.
Sul canale Telegram “Zla Mavka“, le donne condividono foto di atti di resistenza e notizie sull’occupazione, mantenendo l’anonimato. Il Guardian, che ha raccontato del movimento, non è stato in grado di verificare indipendentemente la veridicità dei resoconti, ma ha notato che alcune immagini mostrano punti di riferimento riconoscibili.
Nel frattempo, la popolarità di Zla Mavka cresce. È anche protagonista di una mostra itinerante, Unseen Force, che racconta la resistenza non violenta all’invasione russa. La mostra è attualmente visibile a Kiev, Leopoli e Dnipro (fino al 5 gennaio), e debutterà a Odessa a febbraio.
Le donne del movimento usano spesso un umorismo nero: “Abbiamo bisogno di questo umorismo per non impazzire, e allo stesso tempo fa infuriare davvero gli occupanti russi”.
Tuttavia, questa resistenza non violenta è anche pericolosa. Gli occupanti hanno creato una fitta rete di sorveglianza nelle città occupate, installando telecamere ovunque. “Certo che abbiamo paura – ammettono le donne – conosciamo bene i rischi. Ognuna di noi sa cosa sta facendo e prende la propria decisione”.
I racconti della vita quotidiana che arrivano dalle donne sono molto toccanti. Una donna di Yalta spiega: “Non posso permettermi di correre rischi: libri in ucraino, sull’arte ucraina, un libro di testo di storia in inglese, riviste straniere sull’arte femminista e queer… tutto questo deve essere nascosto prima che estranei entrino in casa”.
Altre donne raccontano che le scuole hanno introdotto programmi di studio russi e che molte famiglie russe si sono trasferite nelle aree occupate. Nei trasporti pubblici, sulle auto e sugli edifici campeggia la lettera Z, simbolo dell’invasione russa dell’Ucraina.
“Vi scrivo, ragazze, e piango”, ha scritto lo scorso febbraio una donna di una zona occupata nella regione di Zaporizhzhia. “Hanno preso mio figlio. Gli hanno detto che sarebbe stato arruolato nell’esercito. Risulta che sarebbe comunque considerato un traditore, sia dagli ucraini che dai russi”.