I ministri degli esteri di Francia e Germania sono stati i primi leader europei a giungere nella nuova Siria e incontrare il nuovo leader dell’autorità di transizione, Ahmed al Sharaa, al quale gli Stati Uniti hanno già tolto la taglia di dieci milioni di dollari che pendeva sulla sua testa, ma non le sanzioni. L’ex-terrorista ora leader di un Paese mediterraneo è stato accolto con “scettico ottimismo” dalla diplomazia europea, che vincola a passi chiari nella direzione del pluralismo e delle garanzie politiche che darà al Paese la decisiva rimozione delle sanzioni.
I leader europei hanno indicato anche altre tre priorità: il ritiro militare russo, che per molti è apparso come il primo punto dell’agenda, seguito dal controllo delle armi chimiche ancora presenti nei laboratori del deposto regime di Assad, passato in sordina negli anni di Assad, un quadro capace di riassorbire i profughi siriani, milioni di persone espulse dal Paese dal regime assediano. Questa esigenza che in passato ha spinto l’Europa a dare cospicui contributi alla Turchia perché fermasse sul suo territorio questi milioni di profughi e si incrocia inevitabilmente con la prima: senza la rimozione delle sanzioni la vita economica in Siria difficilmente potrà riprendere e altrettanto difficilmente potrà esserci lo spazio e il modo per riassorbire milioni di siriani. Così si confida che al-Sharaa compia i passi opportuni.
Per la ripresa economica sarà determinante anche la vittoria della nuova Siria contro i gruppi terroristi ancora operanti sul suo territorio: la guerra all’Isis, combattuta da anni dalla coalizione internazionale e dai curdi, non è vinta e le cellule di quello che fu il gruppo di al Baghdadi sono tornate ad alzare la testa. E’ difficile però che la nuova Siria possa avere la forza per combattere e vincere senza una ripresa economica che tagli l’erba sotto i piedi ai reclutanti, che contano su enormi bacini di disperazione, quelli costituiti in particolare dal numero esorbitante di siriani sfollati in campi profughi posti soprattutto ai confini del Paese. L’intreccio delle emergenze è drammatico e isolarne una dalle altre è difficile.
Per questo chiedere prova di affidabilità al regime siriano prima di togliere le sanzioni può apparire convincente, ma chi traccia un percorso convincente è Julien Barnes-Dacey, direttore del programma per i Medio Oriente e il Nord Africa del Consiglio Europeo per le Relazioni Internazionali che ha messo in guardia i leader europei dal porre come premessa un taglio netto con Mosca: “ L’Europa potrebbe alla fine escludersi dalla conversazione con questo tipo di approccio, se Mosca riuscisse a proporre a Damasco termini di impegno molto meno legati alla condizionalità in termini di quadro politico”. Ha quindi invitato l’Europa a “mettere sul tavolo un’offerta di partnership economica e politica che la renda un partner di scelta”. Sarebbe dunque il parteneriato il condizionamento efficace sulle scelte future, a fronte dei vantaggi economici della scelta.
Il primo banco di prova sarà certamente il complesso processo di riscrittura della costituzione siriana, sul quale l’Europa esprime un fondato scetticismo, ma con un linguaggio che ha tratti ambigui. Se infatti allarma l’esclusione dei gruppi di esuli basati in molti casi a Parigi, testimoni di una storia di opposizione che servirebbe come il pane alla nuova Siria, lascia perplessi il linguaggio antico, basato sull’idea di tutela delle minoranze. Un Paese plurale non ha minoranze, ma una vera cittadinanza portatrice di uguali diritti per tutti.
Così seguitare a parlare di minoranze etniche e religiose sa di passato, ricorda le esperienze coloniali e gli errori soprattutto francesi. Come il sistema totalitario degli Assad ha saputo per cinquant’anni parlare i diritti delle minoranze senza garantire alcun diritto umano e civile, così potrebbe accadere al nuovo regime. Insistere sull’inclusività è dunque prioritario, prezioso, soprattutto apprezzando un possibile confronto tra nuovo potere, egemonizzato dal gruppo di al-Sharaa, e opposizioni interne, una sorta di contro-potere siriano espressione della ricca società civile, quella che ha dato vita alla Primavera araba e che non ha rinunciato alla sua agenda democratica.
Contemporaneamente sono emersi evidenti segnali di preoccupazione per i possibili intenti di destabilizzazione dal Libano, infatti proprio in queste ore di visita europea sono stati chiusi i valichi terrestri con il Paese vicino, per i più per il timori di incursioni, jihadiste o di Hezbollah, che per conto di Assad ha presidiato la Siria fino a pochi mesi fa.